È inutile girare intorno: la terza guerra mondiale è già in corso. Potrebbe non concretizzarsi con un massiccio intervento militare che coinvolga un numero rilevante di nazioni, resta il fatto che troppi focolai si siano già aperti e sviluppati.
Dopo un lasso di tempo tanto prolungato, in cui il pericolo di un conflitto diffuso, era rimasto davvero sopito, adesso con una escalation fuori controllo, si sono accesi gli animi e per di più gli interessi in gioco sembrerebbero andare al di là della logica e del buon senso.
Sono d’altra parte in corso le manovre per costruire un nuovo ordine mondiale e la battaglia non si combatte più nelle strategie economiche dei prezzi, delle valute, delle materie prime e degli scambi commerciali, tanto per cominciare a mettere un po’ di carne al fuoco. È arrivato il momento di far prevalere la prepotenza di controllare il pensiero collettivo e di condizionare scelte e consumi, in questa fase finale dell’era della globalizzazione.
Siamo così dentro la più grande rivoluzione dell’epoca moderna, che se da una parte rende irrequieti , dall’altra ci fa comprendere che sia necessaria una nuova strategia per resistere, per cavalcare il
cambiamento e per adattarsi a nuove circostanze. Proviamo per questo a fare un’analisi usando la razionalità ed evitando di fare voli pindarici dentro apocalittiche previsioni.
Si registrano repentine trasformazioni che sono causate oltre che dalle guerre in corso (quella tra Russia e Ucraina, dalla paura ancora del Covid (che tanti segni ha lasciato) e fino all’incognita dell’inflazione che a prescindere ha creato sconquassi coi tassi volati nella direzione di una nuova normalità (in realtà in economia era più anomalo avere i tassi negativi).
Si è creato così una sorta di negazionismo economico che se da una parte ha già stravolto gli schemi del passato, dall’altra ci dovrebbe stimolare ad assumere nuovi comportamenti, nel tentativo di ricercare nuove tendenze e per sviluppare nuove capacità.
Un concetto che sembra di largo respiro che dall’unità d’intenti aperta a territori ampi, dovrebbe coinvolgere in qualche maniera i singoli territori non per effetto a cascata, ma perché da qui dovrebbe partire quella necessità di una nuova stabilità. Sembrerebbe improponibile questa artificiale condotta, eppure la grave crisi d’identità della politica sembrerebbe sostenere questo ricercato atteso espediente.
Prendiamo ad esempio le prossime elezioni di fine anno degli Stati Uniti che sembrerebbero sempre di più convergere verso un altro testa-a-testa tra un presidente vecchio, malato e palesemente incapace di stare in piedi e il suo antagonista, con guai giudiziari e qualcuno direbbe anche economici, che mira esclusivamente a ritrovare il potere per salvaguardare il proprio fragile impero.
Guarda caso le stesse fragilità di quelle multinazionali che oggi sorridono nelle quotazioni dentro gli indici economici mondiali, ma che non sono mai certe di stare al comando per un tempo prolungato.
L’esigenza di salvaguardare l’ambiente (il pianeta è sotto stress da tempo), di osservare cambi climatici che cominciano a creare qualche preoccupazione di troppo e di monitorare i flussi migratori sono temi così determinanti che mettono in discussione la forza del grande (il dinosauro della situazione) che in ogni momento rischia l’estinzione.
Non a caso cadendo tendenzialmente, come già inteso, il concetto della globalizzazione, si tenta di narrare il mondo che verrà che non può non guardare in primo luogo alla sostenibilità, poi subito a ruota all’ambiente (ecologia), alle questioni sociali ed alla governance.
Se per un tempo non così breve, sembravano solo slogan di non facile applicazione e perfino irrealizzabili ed inutili, adesso si è facilmente compreso quanto al contrario sia determinante adottare questi stili che coinvolgeranno i modi di agire, di fare e di pensare della stragrande maggioranza della popolazione mondiale che occupa i territori maggiormente organizzati e produttivi.
Le trasformazioni andranno riviste alla luce di un cambiamento sociologico e delle aspettative di vita,
dell’occupazione e delle rendite da lavoro, della soddisfazione percepita e dell’orientamento dello sviluppo demografico. Ogni paese e ogni governo dovrà prendere in seria considerazione quelle riforme apparentemente impopolari che coinvolgano la cittadinanza (produttiva e non) con un particolare sforzo verso una opportuna sensibilizzazione che indirizzi e guidi. Ogni paese dovrà ricercare un equilibrato confronto e una nuova forma di cooperazione nel contesto dei territori limitrofi e nell’approccio di internazionalizzazione.
Le imprese e gli imprenditori, di conseguenza, dovranno seguire questo modello, nell’intento di riqualificare la loro condotta in strategie di controllo dei rischi e dell’organizzazione aziendale, che vadano oltre le sensazioni territoriali. Insomma sono richieste nuove capacità per uno sviluppo più attento delle proprie caratteristiche al servizio di uno scambio in un mercato più ampio, più competitivo e più esigente.
Alla produttività e all’attenzione della performance, deve rimanere però di essenziale salvaguardia, quel tempo per dare spazio alla vitalità oltre l’esercizio della professione. Ecco perché il concetto di intelligenza artificiale, che incute – in maniera spropositata – timore e preoccupazione, peggio ancora qualora fosse senza controllo e senza regole, potrà invece diventare il mezzo e l’aiuto più determinante per vincere in situazioni complesse.
Donato Massimo, Consulente finanziario presso FinecoBank