Dicembre 4, 2024
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“Il Mondo nuovissimo? Ci siamo quasi. Imprenditori e manager scelgano ora come entrarci”

Parla il docente e imprenditore, Fabio De Felice, autore di un libro con Roberto Race


Il Mondo nuovissimo? Nelle aziende ci siamo quasi. “Imprenditori e manager scelgano come entrarci” perché la transizione sarà meno dolorosa, se studiata per tempo e consapevole.

Ma come immaginarlo? Lo abbiamo chiesto a Fabio de Felice, professore di ingegneria all’Università degli Studi di Napoli Parthenope, imprenditore e fondatore di Protom, protom.com/ nonché componente della task force Digitalization del B20, il Business Forum del G20, che di recente con Roberto Race ha scritto per Luiss un libro nella collana Bellissima, diretta da Nicoletta Picchio,, in cui si raccolgono dialoghi su etica e Ai. Il testo ha la prefazione di Vincenzo Paglia.

“Nel Mondo Nuovissimo, che dà il titolo al mio nuovo lavoro – afferma il docente- immagino un futuro in cui la distinzione tra il digitale e il fisico si attenua, dando vita a un nuovo spazio esistenziale ibrido. Questo mondo è definito non solo dalla progressiva dematerializzazione dell’arte e dall’ascesa dei NFT, ma anche dall’integrazione sempre più profonda dell’intelligenza artificiale nella nostra vita quotidiana. Non esiste un confine netto o un momento preciso in cui entreremo completamente in questo nuovo mondo. Siamo già in un processo di transizione, visibile nei cambiamenti nei nostri modelli di consumo, nelle nostre interazioni sociali e nelle strutture economiche. Il Mondo Nuovissimo è già qui in forme nascenti, ma la sua piena realizzazione dipenderà da come continueremo a integrare e ad adattarci alle tecnologie emergenti, mantenendo al centro le questioni etiche e il benessere umano. La vera questione non è quando entreremo, ma come sceglieremo di abitarlo e modellarlo”.

Gli imprenditori e i manager italiani sono sufficientemente preparati? Hanno capito che, per dirla con Massimo Cifalitti, presente con un suo contributo nel libro, “una nuova fase storica sta portando al passaggio dall’Industria 4.0, basata sulle tecnologie abilitanti all’Industria 5.0, la quale  esige che la tecnologia sia al servizio della qualità della vita?”

Gli imprenditori e i manager italiani stanno gradualmente comprendendo la transizione dall’Industria 4.0 all’Industria 5.0, che non è solo tecnologica, ma anche sociale. Questo passaggio richiede un approccio collaborativo, investimenti in formazione continua e una cultura aziendale che valorizzi l’interazione tra tecnologia e persone.

Come?

La selezione del personale dovrà considerare competenze tecniche e soft skills – creatività e adattabilità – come prerequisito per affrontare le sfide del mondo che sta cambiando. Dal punto di vista produttivo, l’Industria 5.0 enfatizza la sostenibilità, l’efficienza energetica e la personalizzazione. Pertanto è fondamentale prepararsi a questa nuova era sviluppando visione strategica a lungo termine e attuando investimenti in innovazione e sostenibilità per migliorare la qualità della vita.

Quali soni i maggiori costi che imprenditori e manager stanno sopportando in questa transizione? E come convincerli che si tratta di una grande opportunità?  

La digitalizzazione e la crescente integrazione dell’intelligenza artificiale nel tessuto aziendale portano notevoli cambiamenti nel modo in cui le imprese operano. I maggiori costi che imprenditori e manager stanno affrontando in questa transizione includono investimenti significativi in nuove tecnologie, formazione del personale per nuove competenze digitali, e l’adattamento dei processi aziendali per massimizzare l’efficienza digitale. E’ una fase in cui siamo tutti come dei migranti, costretti a confrontarci con terreni inesplorati, divari culturali e linguistici, oltre che difficoltà di comprendere la realtà che incontriamo. Eppure, oltre questi costi non trascurabili legati alla sicurezza dei dati e alla conformità normativa, intravedo numerose opportunità. Dobbiamo impegnarci per rendere evidente a imprenditori e manager che questa transizione può condurci in un nuovo ecosistema ricco di vantaggi, tra i quali: apertura di nuovi mercati, aumento dell’efficienza operativa oltre la creazione di nuovi modelli di business innovativi.

In concreto, l’elemento più disruptive per le aziende?

Dal lato operativo, se mettiamo l’uomo al centro e l’AI a supporto dell’uomo, il contributo sarà enorme e ci consentirà di gestire meglio il nostro tempo e il bilanciamento vita – lavoro. Dal lato filosofico, ci sarebbe molto da studiare sulle interferenze in quella che è la nostra capacità distintiva, ossia pensare, immaginare, generare contesti. Se non insegniamo ai nostri figli a gestire la tecnologia, potremmo incorrere nel rischio di trovarci fruitori passivi e anestetizzare le nostre capacità. Su questo campo si gioca la partita, ma siamo ancora in tempo ed abbiamo tutte le carte in regola per portare la bilancia dalla nostra parte. Come ogni tecnologia, ogni innovazione, non è né buona, né cattiva, ma siamo noi a darle una connotazione o uno specifico impiego. Pertanto se dobbiamo parlare di rischi, dobbiamo guardare molto di più alle persone che alla tecnologia in sé. Detto questo, dal momento che non disponiamo di persone ‘a misura di tecnologia’ e non abbiamo un sistema normativo che regolamenti per il futuro, ma sul passato, in difensiva, i rischi che possiamo immaginare sono di gran lunga inferiori alle opportunità che l’AI ci può fornire come mezzo di potenziamento delle capacità umane. Dobbiamo superare la legge di Amara?

Cioè?

E’ quella secondo la quale come esseri umani siamo portati a sopravvalutare gli effetti di una innovazione nel breve periodo e sottovalutarne quelli nel lungo periodo. Infatti diamo un’importanza elevata a una innovazione nel momento in cui emerge e si afferma, ma ne sottovalutiamo gli effetti a medio lungo termine. Dobbiamo invertire questo paradigma. Per eliminare possibili rischi connessi all’uso di AI – deep fake, cybercrime, riduzione della creatività e spirito critico– sarà sufficiente iniziare a non rincorrere la tecnologia, ma anticiparla e lavorare sul nostro ‘androritmo’ per rendere AI uno strumento utile a potenziare le nostre capacità.

Da imprenditore, come la sua Protom sta vivendo la transizione digitale? 

Protom offre un mix unico di competenze diverse che operano in maniera integrata: Knowledge Development, Digital Trasformation, Advanced Engineering e Smart Manufacturing. Grazie ai suoi due Lab attivi nel campo della R&D e dell’Innovation, produce innovazione di prodotto e/o processo per i suoi clienti e, nel contempo, prodotti innovativi che portano direttamente al mercato. Tra i nostri clienti figurano aziende come ABB E-MOB, Enersys, Leonardo, Airbus, Atr, Hitachi Rail, Accenture e NTT Data, che ci ispirano e spingono a guardare sempre più lontano verso nuovi orizzonti. Il nostro impulso verso il cambiamento e l’innovazione è legato alla consapevolezza che l’uomo impara finché vive mentre l’azienda vive finché impara. Pertanto non possiamo che continuare a costruire la strada del progresso piuttosto che percorrerla semplicemente.

Dal canto suo, lo Stato non dovrebbe garantire maggiori competenze digitali e fronteggiare il digital divide?

La digitalizzazione e l’innovazione tecnologica sono fondamentali per la trasformazione sociale ed economica. In questo contesto, il ruolo dello Stato è essenziale per garantire che nessuno sia escluso. Lo Stato deve assumere un ruolo proattivo nel garantire l’accesso universale alle competenze digitali, partendo dall’istruzione di base fino alla formazione continua per adulti e lavoratori. Questo approccio non solo ridurrebbe il divario digitale, ma migliorerebbe anche la competitività nazionale a livello globale. È importante, tuttavia, un fatto.

Quale?

Eevitare di sostituire il settore pubblico nel suo ruolo primario, ma lavorare per facilitare e promuovere la collaborazione tra il settore privato, le istituzioni accademiche e la pubblica amministrazione. Solo così si può creare un ecosistema in cui le competenze digitali vengano costantemente aggiornate e potenziate. Implementare politiche che facilitino l’accesso a Internet e alle tecnologie moderne nelle aree meno sviluppate è un passo cruciale per assicurare che ogni cittadino possa sfruttare le opportunità offerte dalla digitalizzazione. Se non si colma il divario digitale, ciò che dovrebbe democratizzare l’accesso alle informazioni e al sistema socio-economico rischia di diventare un ostacolo all’inclusione, aumentando il divario che inizialmente si voleva eliminare. Affrontare il divario digitale non è solo una questione di equità, ma una necessità democratica per garantire che la nazione rimanga competitiva in un’epoca dominata dall’innovazione tecnologica.

Cinzia Ficco

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