Formatrice, business coach, ha scritto di recente il libro Partecipazione (FrancoAngeli)
Si intitola Partecipazione ed è un invito a far ascoltare la propria voce al lavoro, il nuovo libro di Roberta Zantedeschi.
La parola nel mondo del lavoro è nuova ed è fondamentale in una fase in cui il must per imprenditori e manager è engagement.
La partecipazione di tutti alla vita lavorativa attraverso scelte e azioni quotidiane favorisce il benessere, fa aumentare il senso di fiducia e l’accountability, stimola al miglioramento, promuovendo quindi l’evoluzione dell’ organizzazione.
Relazione consapevole, cambiamento, comunicazione e diversità sono le colonne portanti di questo sviluppo irrinunciabile.
Grazie ad una duplice prospettiva, individuale e collettiva, il volume esorta a trovare il proprio spazio di espressione. Suggerisce come operare sulla base di consapevolezza, dialogo ed equità, per la co-costruzione di un immaginario e di modelli differenti. Porta una serie di casi concreti di organizzazioni che sono già in cammino, ma soprattutto di persone che stanno segnando la via, offrendo a chi legge la possibilità di fare rete e di partecipare al cambiamento sentendosi già parte di una comunità.
Il libro fa parte della collana Voci del lavoro nuovo (Franco Angeli), diretta da Silvia Zanella.
Roberta Zantedeschi ha lavorato a lungo come recruiter e formatrice: oggi si occupa di comunicazione efficace, scrittura professionale e relazione in ambito HR.
E’ stata nominata LinkedIn Top Voices nel 2020. Autrice di Comunicare e scrivere per trovare lavoro (2023) crede nelle parole scelte con cura.
Ecco qui di seguito alcuni estratti dal libro.
2. La migliore forma di comunicazione è la conversazione
Nessuno accetta più di sentirsi dire in modo perentorio quale detersivo acquistare. Scegliamo e acquistiamo sulla base di diversi fattori, tra cui la relazione che abbiamo con un certo brand, lo facciamo per i detersivi, per gli abiti, per l’arredamento, per i servizi ecc.
Lo stesso succede all’interno del mercato del lavoro: pubblicare un annuncio non è più sufficiente a ricevere molti curricula; comunicare un’opportunità di lavoro non garantisce una fila di candidate e candidati fuori dall’azienda.
Perché? Perché ciò di cui abbiamo bisogno è fiducia e la comunicazione che crea fiducia è la conversazione.
Ecco, quindi, che le aziende sono sempre più impegnate in iniziative di employer branding il cui scopo è creare, attraverso il dialogo e le conversazioni, una relazione di fiducia tra
azienda e potenziali nuovi collaboratori e collaboratrici.
Lo stesso fanno le persone che vogliono coltivare il proprio personal brand e che, con strategia e autenticità, nutrono relazioni attraverso conversazioni e interazioni, online e offline.
Anche l’employee advocacy, di cui abbiamo già parlato, usa la leva della conversazione.
La conversazione è una forma di dialogo e, quindi, ha in sé la partecipazione; avviene ovunque vi sia la possibilità di esprimersi e deve diventare pratica quotidiana anche all’interno delle aziende.
2.1. Ridurre l’asimmetria comunicativa nelle aziende
Il luogo dove le conversazioni sono talvolta meno presenti e meno partecipate è forse proprio l’azienda. Soprattutto quelle aziende rigidamente ancorate a una struttura piramidale e gerarchica, che credono e applicano il controllo e usano le regole in modo preventivo, non sono luoghi di conversazione (magari di pettegolezzo sì, ma è un’altra cosa).
Un modo per sostenere e incentivare la partecipazione nelle aziende è proprio quello di dare spazio – e metodo – alla conversazione e alle conversazioni. Ma perché succeda devo- no verificarsi due precondizioni:
• deve ridursi l’asimmetria comunicativa presente in molte di queste organizzazioni. Per “asimmetria comunicativa” intendo la differenza di “potere” dato dai ruoli, dalla gerarchia o dalle relazioni. Questo è un passaggio obbligato perché la comunicazione rispettosa si realizza in condizioni di equità. Laddove, per esempio, la funzione HR è un ente che non si immerge ogni giorno nella vita quotidiana lavorativa delle persone che popolano l’azienda, a poco varranno le circolari scritte con tono empatico;
• deve esserci, inoltre, uno spazio ad hoc per conversare e non può essere solo quello della pausa caffè. La conversazione non può essere un’attività casuale ma va invece prevista, programmata e progettata.
2.2. Conversazioni in azienda, qualche esempio
Esempi di aziende che promuovono il dialogo come strumento di comunicazione interna a supporto dell’employee experience, del benessere delle persone, della trasparenza e, non da ultimo, del business non mancano.
Eccone alcuni:
• Zappos è un’azienda di e-commerce specializzata in calzature e abbigliamento. I Zappos Insights Culture Camps sono momenti dedicati al dialogo durante i quali le persone possono discutere di vari argomenti, condividere idee e fornire feedback sulle politiche e le pratiche dell’azienda;
• Whole Foods Market, azienda di alimentari specializzata inmprodotti naturali e biologici, ha implementato gli All Team Meetings come parte della sua comunicazione interna. Queste riunioni sono momenti in cui i dipendenti di tutti i reparti si riuniscono per discutere di questioni aziendali, condividere aggiornamenti e partecipare attraverso le loro idee e riflessioni.
In Italia, Ferrero e Barilla promuovono entrambe dei momenti ad hoc dedicati all’ascolto, nei quali le persone hanno l’opportunità di condividere idee, preoccupazioni, opinioni e suggerimenti.
Ma non serve sempre citare le multinazionali: nel trevigiano l’agenzia di web marketing Moca Interactive è conosciuta per aver sempre promosso al proprio interno il dialogo, la condivisione, lo scambio, l’ascolto attivo attraverso iniziative mocainteractive.com/. concrete di incontro e di confronto, in un contesto informale ma sempre attento e curato. Lo stesso succede in Tangible, azienda che abbiamo già incontrato e che riserva uno spazio intenzionale al dialogo e al confronto. Lo scopo è portare la conversazione all’interno dei processi aziendali per rendere anche la partecipazione una prassi e non un’eccezione.
3. Conversare bene
Per partecipare a una comunicazione trasformativa, dentro e fuori l’azienda, non dobbiamo per forza essere influencer, guru, LinkedIn Top Voices, CEO o Content Creator e non dobbiamo nemmeno portare argomenti ogni volta inattaccabili, scientificamente provati e privi di vulnerabilità. Possiamo però seguire alcune indicazioni pratiche utili a stare nel dialogo in modo responsabile.
1.1. Attraction, recruiting, onboarding, retention: rivedere i processi in una logica partecipativa
Possiamo intervenire anche sui processi più tipici dell’HR per rivedere nella sostanza la relazione tra domanda e offerta. Si dice “social recruiting” ma si chiama “fiducia” perché è sulla fiducia che dobbiamo investire se vogliamo attrarre, assumere, integrare e motivare persone di valore in azienda.
Come primo passo, dobbiamo accettare che alcune attività, fino a qualche tempo fa snelle e appannaggio della funzione HR, oggi siano più complesse e richiedano la partecipazione e la collaborazione di più funzioni (es. marketing, comunicazione, IT). Fare ricerca e selezione di personale, per esempio, è parte del processo più ampio che va dalla fase di attrazione (employer branding) fino a quella detta di retention, cioè di motivazione e coinvolgimento (employee experience), e si compone di attività e concetti che escono dal perimetro classico di chi si occupa di HR.
Ma non solo, il recruiting è un processo che ha bisogno di umanizzazione (non solo di digitalizzazione), di partecipazione e di dialogo tra tutti gli attori in gioco. Servono annunci di lavoro più chiari e rispettosi, trasparenza nel processo, realismo in ciò che si cerca, feedback e risposte alle persone che non vengono scelte. Ecco alcune delle attenzioni concrete che vanno nella direzione di una nuova relazione tra domanda e offerta dove la partecipazione diventa centrale. Anche l’onboarding, ovvero quel processo aziendale che si occupa di accogliere e integrare una nuova persona in azienda, va valorizzato e reso più partecipato, come abbiamo visto con iliad. L’onboarding è una promessa mantenuta o lo schianto di tante belle aspettative create nelle fasi precedenti; riguarda un numero ampio di persone perché coinvolge anche chi è già par- te dell’azienda e non inizia il primo giorno di lavoro della persona neoassunta. Quante aziende ho incontrato che, durante il periodo di preavviso, si sono viste soffiare una persona già scelta.
Di favorire la partecipazione ha bisogno anche l’employee experience per generare un’esperienza che motivi le persone e le faccia sentire coinvolte. Serve che l’azienda investa esplicitamente e concretamente – attraverso formazione, facilitazione, contaminazione – nello sviluppo di soft skill, in progetti dedicati alla cultura e ai valori aziendali, in responsabilità sociale e partecipazione alla comunità esterna ecc.
2. #MenoCircolariPerTutti
Possiamo anche iniziare a cambiare le comunicazioni che inviamo all’interno della nostra azienda. #MenoCircolariPer- Tutti è un progetto che curo dal 2021 insieme a Elena Bobbola e Marie Louise Denti: lo scopo è quello di liberare le aziende da una comunicazione fredda, ridondante, anacronistica, pesante e poco efficace di cui le circolari sono un emblema.
Una circolare è tendenzialmente un documento asettico e formale, informa ma non apre un dialogo, dice, proclama, annuncia, di certo non conversa. La partecipazione che genera una circolare è tendente allo zero e il fatto che venga letta (se e quando ciò avviene) è imputabile unicamente a una leva: quella dell’obbligo. In un mondo del lavoro che fa della partecipazione un mezzo abilitante e un valore, le circolari, e ogni contenuto che sfrutti l’obbligo per farsi leggere, sono via via da ridurre a favore di una comunicazione che crei una relazione significativa e positiva. Certo, non possiamo eliminare di colpo tutte le comunicazioni funzionali e formali. Però possiamo fare due cose:
• lavorare sulla forma di queste comunicazioni per renderle più coinvolgenti, attrattive e leggibili o fruibili;
• affiancare e via via dare sempre più spazio al dialogo come strumento di comunicazione interna (di questo parleremo nel prossimo paragrafo).
Sul primo punto ci vengono in aiuto ancora Bobbola e Denti, in arte le Slide Queen, con il Docuslide, ovvero uno strumento comunicativo ibrido, che unisce i vantaggi di una presentazione (è visual, è immediato, è accattivante all’occhio, punta alla sintesi) e la necessità esplicativa del documento classico (che argomenta, spiega e non ha bisogno di intermediari perché contiene tutte le informazioni necessarie). Una presentazione che si autosostiene.
Elena Bobbola e Marie Louise Denti sono due designer della comunicazione molto attive sui social e specializzate in comunicazione visual, puoi trovarle anche come Slide Queen, https://slidequeen.com/.
Ma non è solo una questione di circolari, chiariamoci. L’invito è a coltivare il dialogo imparando e adottando una scrittura meno impersonale (e meno spersonalizzante), adottando il plain language e la scrittura per la relazione che abbiamo visto nel Capitolo 6.