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Ottobre 11, 2024
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Gabriele Ghini: “Perché i nani non diventano Ceo?”

E’ il titolo del libro di Gabriele Ghini, Managing Director di Transearch Italy, pubblicato da Este


Perché le PMI non possono avere un amministratore delegato con la statura e il fisico del pianista Jazz, Michel Petrucciani? E perché fanno fatica a diventare direttori generali le persone nere, gli uomini bassi e le donne troppo alte? E ancora, in cosa si differenziano gli uomini dalle donne che ambiscono a ruoli apicali? E cosa trattiene un talento più di uno stipendio alto?

A queste domande provano a dare una risposta Gabriele Ghini e Alessandra Fogola nel loro libro, pubblicato di recente da Este Libri e intitolato “Perché i nani non diventano Ceo e altre sette tossicità aziendali”, che è soprattutto un invito rivolto a chi guida un’azienda a liberarsi di alcuni pregiudizi e ad abbracciare una cultura più inclusiva.

“Né in Italia, né all’estero – afferma Ghini, cacciatore di teste, Managing Director di Transearch Italy – abbiamo mai incontrato un Ceo nano. Si conoscono persone autistiche che lavorano e che per le loro caratteristiche si sono  ben integrate in azienda. Ma fino ad oggi nessun uomo molto basso ha ricoperto il ruolo di un amministratore delegato, o si è proposto per tale ruolo, mandandomi il suo curriculum. Un uomo di colore in giacca e cravatta rischia spesso di essere scambiato per un addetto alle pulizie. E la strada è molto più complicata per chi ha le gambe lunghe quanto una seduta. Perché? Eppure la differenza sta solo in una manciata di centimetri. Il problema è che non c’è consapevolezza, e continua ad essere  un mistero il motivo per cui non vengano presi in considerazione per la poltrona di Ceo un uomo alto non più di 130 centimetri e una donna che non superi i 100. Questa è una delle otto tossicità di cui i vertici di una azienda, chi si occupa di risorse umane dovrebbero liberarsi perché incide sulla reputazione di un’azienda e quindi sulla sua produttività. Noi cacciatori di teste dovremmo far conoscere meglio queste persone escluse, far emergere le loro capacità offuscate da un pregiudizio. Da una ricerca a livello internazionale che ho portato avanti con alcuni colleghi, è pure venuto fuori che dappertutto queste persone hanno minori incrementi retributivi. Non è accettabile”.

Conferma che oggi spesso i responsabili delle risorse umane e gli imprenditori non riescono a trattenere i talenti?

Intanto bisognerebbe intendersi sulla parola talento. Il talento così come lo intendo è chi fa la differenza in azienda per un determinato obiettivo e in un certo lasso di tempo. Non si è talenti per sempre e in modo assoluto. La verità è che oggi l’azienda pensa a coltivare quel 5 per cento di persone più creative e impegnate e a lasciar andare il resto.

In tanti oggi si dimettono più che per uno stipendio basso per mancanza di coinvolgimento. E’ così? E in genere cosa allontana dall’azienda?

La mancanza di una vision. Spesso non ci si sente integrati perché non si capisce dove si stia andando. Il caos incide negativamente. Anche se in un contesto complesso  come l’attuale definire una strategia e mantenere la barra dritta non è semplice. Servono una grande flessibilità, ma anche certezze e massima trasparenza. Il manager deve rendere partecipi i dipendenti sulle questioni più spinose. Dalla sua capacità di coinvolgimento derivano motivazione e impegno. Bisogna far sentire tutti parte di un gruppo, non di una famiglia perché in una famiglia non si possono licenziare i figli. Si deve dire a tutti impegniamoci, facciamo insieme i soldi e dividiamo. Su cosa trattiene uomini e donne devo dire che lo stipendio alto o una posizione più determinante incantano più facilmente gli uomini. Le donne sono più complesse. Per loro sono più importanti il clima aziendale e il fare rete in azienda, l’equilibrio famiglia – lavoro. Questo aspetto, confermato da ricerche mondiali, rende la ricerca dei cacciatori di teste più attempati un po’ più difficile.

Ci sono ancora i padri padrone alla guida delle aziende?

Lavoriamo con tipologie di aziende in cui i  capi hanno sostituito il comanda e controlla con la partecipazione.

Cosa consiglia ad un manager alla ricerca di un lavoro?

Intanto di non stalkerare, non mandare curriculum a raffica. Non serve a niente. Fondamentale è imparare a pensare che si possa perdere lavoro anche lavorando. Avere obiettivi, costruire un rapporto proficuo, di scambio reciproco con il cacciatore di teste.  Utilizzare i social come Linkedin con post intelligenti, che permettano al cacciatore di teste di capire l’evoluzione del mercato che interessa.

Nel suo libro scrive che un manager deve avere sempre la disponibilità ad imparare.

Sì. E posso confermare che oggi si assiste all’ascesa di manager svegli, competenti, con la giusta dose di volontà per mettersi sempre in gioco. Questa è la grande differenza rospetto al passato. Aggiungo che in genere non mi colpiscono né gli umili, né gli arroganti, ma i manager curiosi.

Come si costruisce oggi una carriera?

Non si deve più pensare di arrivare all’apice quando muore il proprio capo o dopo determinati anni. Non funziona più così. Bisogna essere flessibili e prendere i treni quando passano. Quindi pensare di cambiare anche se si è stati assunti da sei mesi.

L’Ai può aiutare i cacciatori di teste?

Certo, partendo dalle target list, continuando con le job descriptiom. L’Ai amplia gli elenchi di persone da contattare. Però bisogna stare attenti a lavorare su dati verificati. E per questo ci sarà sempre lavoro per le persone, non solo per i chatbot.

Cinzia Ficco

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