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Dicembre 8, 2024
Focus

“Contro il disagio dei neogenitori a lavoro? Rendere obbligatorio il supporto psicologico in azienda”

Cristina di Loreto, founder di Me First, metodo-mindset di self-coaching, problem solving ed empowerment


In un contesto lavorativo ancora dominato da stereotipi di genere, anche la figura del padre lavoratore può essere vulnerabile.

Secondo l’ultima indagine condotta da Me Firsthttps://mefirstinazienda.com/  in collaborazione con LabCom, former spin-off dell’Università di Firenze, sulla paternità in Italia dal titolo Come stanno i working dad in Italia?”, condotta un anno dopo la ricerca sulle working mom in Italia, quasi il 66% dei padri lavoratori intervistati sperimenta livelli medio-alti di esaurimento emotivo e burnout, mentre oltre il 75% lamenta scarsa realizzazione professionale. Inoltre, il 65,5% dei working dad coinvolti nello studio ha dichiarato di percepire un “paternal wall”, ossia una serie di bias e pregiudizi sul lavoro legata al loro ruolo di padre.

Per approfondire l’argomento, ci siamo rivolti a Cristina Di Loreto (in foto), founder di Me First e co-autrice della ricerca, la quale spiega: “La società e il mondo del lavoro ritengono ancora che il caregiver primario sia la madre. Altro dato emerso è che 8 padri su 10 sarebbero interessati a ricevere sostegno aziendale, ma solo il 31% lo ha ricevuto”.

Cerchiamo intanto di scoprire cos’è Me First.

E’ il primo metodo-mindset di self-coaching, problem solving ed empowerment progettato per supportare i genitori lavoratori.   Il metodo è raccolto nel suo acronimo: Mentoring, Empowerment, Flessibilità, Immersione, Ritualità, Strategie e Trappole. Gli step, tramite esercizi mirati e raccolti in ogni momento del percorso, consentono di portare la persona a individuare e raggiungere obiettivi di salute psicosociale. Il momento Strategie raccoglie una serie di protocolli di intervento per raggiungere una serie di obiettivi settati da noi perché noti come obiettivi di salute. Parlo di: gestione del tempo, comunicazione efficace in coppia, gestione del senso di colpa, gestione del carico mentale. Abbiamo sviluppato oltre 15 kit. Infine la T di Trappole rappresenta il momento in cui la persona, dopo aver trovato la propria strada, impara a visualizzare ciò che la porterebbe al punto iniziale così da poter prevedere e gestire le proprie trappole mentali. Il metodo e i kit strategici vengono erogati tramite workshop formativi, libri che accompagnano i nostri programmi, piattaforme con contenuti on demand e live streaming e in alcuni casi colloqui individuali tenuti da psicologhe psicoterapeute formate con il nostro metodo.

Chi sono i vostri clienti?

Singoli genitori e aziende. Genitori che provengono dal mondo social o genitori che lavorano in aziende illuminate. In azienda formiamo anche manager e genitori wish to be. Per un vero cambiamento culturale è necessario lavorare su più fronti e non trascurare freelance o partite Iva, spesso dimenticati da misure di sostegno sulla genitorialità.

Ci saranno altri metodi per aiutare i genitori che lavorano e che hanno bambini piccoli. Qual è la novità del vostro metodo?

Il metodo Me First, che fa da cornice a tutti i nostri servizi e programmi, poggia le sue radici sul problem solving e il coaching strategico, due modelli ideati dallo psicologo Giorgio Nardone, il mio mentore. E’ quindi un modello consolidato, validato e testato ormai su migliaia di persone,  semplice e pragmatico, ben recepibile dalle persone e al contempo altamente professionale. Inoltre è un metodo verticale sulla genitorialità, approfondito e nutrito da ricerche convalidate scientificamente oltreché dall’esperienza maturata in questi anni. Tutto il metodo è anche contenuto in un libro che spesso le aziende donano alle madri e ai padri al rientro dal congedo o al momento della nascita o dell’arrivo di un bambino. Il nostro team di professioniste è composto dal livello di expertise più alto in materia psicologica e noi psicologhe e psicoterapeute diamo garanzia all’azienda di eticità, deontologia, oltre alla possibilità di poter prevenire o trattare la patologia. Me First è un metodo di coaching, ma esistono dei casi in cui questo non è sufficiente e noi abbiamo la professionalità per poter intercettare e trattare con successo anche quelle situazioni. In quanto psicologhe psicoterapeute, possiamo fare diagnosi e intervento e non solo prevenzione e promozione della salute psicosociale. Altro punto di forza del progetto è che la persona può proseguire se lo desidera il lavoro con noi. Non abbiamo solo programmi aziendali, ma anche servizi aperti alle singole persone.

Quali i costi per una azienda? E quanto dura il vostro supporto?

I costi sono variabili, per i genitori sono consultabili sul sito www.mefirstacademy.com.  Per le aziende variano da programma a programma. Il nostro supporto in azienda può durare 3/4 mesi quando lavoriamo sul back to work dei genitori che rientrano dal congedo. Sui neogeniotri abbiamo anche il programma Becoming che lavora già dal momento della notizia dell’arrivo di un bebè. Per questo  accompagniamo il genitore per oltre 15 mesi. Quando lavoriamo sull’empowerment psicologico dei già genitori infine creiamo cicli annuali di incontro che via via rinnoviamo, modificando i contenuti degli appuntamenti. Non ci rivolgiamo solo ai neo-genitori. Possiamo attivare anche programmi che coinvolgono il genitore nell’intero arco della sua vita, fino a quando sarà caregiver non solo dei suoi figli, ma anche dei suoi genitori. I nostri programmi offrono una grande varietà, utile anche per poter proseguire negli anni il lavoro con le aziende che ci intercettano. Andiamo anche a supportare i piani strategici per la certificazione di parità di genere (UNI/PDR 125) .

Concentriamoci sui papà che lavorano. Da una vostra indagine, svolta con LabCom, former spin-off dell’Università di Firenze, sembra che 6 papà su dieci si sentano stressati, siano vittime di burnout.

Esatto. I padri che hanno risposto  sono quelli coinvolti dal tema della ricerca, probabilmente padri che tendenzialmente si occupano della cura dei figli. Il dato è il risultato della somministrazione di una scala validata. La domanda non era “ti senti esaurito?”, ma abbiamo inserito nel questionario la scala ufficiale relativamente alla misurazione del burnout. Dall’analisi qualitativa, le difficoltà più grandi venute fuori sono nella gestione del tempo da dedicare ai figli e anche a sé stessi. Emerge infatti che l’81,6% del campione si dedica mai o quasi mai a hobby e passioni personali, riconoscendo il suo ruolo e il suo valore, oppure perché soddisfatto del lavoro e del reddito economico.

Il fenomeno riguarda imprese di varie dimensioni e operanti in settori diversi?

Sì, il campione della ricerca è eterogeneo. I padri lavoratori, tutti dipendenti, hanno partecipato su base spontanea e, seppure non siamo in possesso di un’anagrafica dell’azienda di appartenenza, possiamo dire che provengono da realtà diverse per settore, dimensione e territorio di appartenenza.

Si può dire che i papà lavoratori siano meno bravi a gestire il disagio con i bambini piccoli e che stiano peggio?

Non possiamo dirlo. Il campione di riferimento è più piccolo di quello in nostro possesso sulla ricerca “Come stanno le working mom in Italia?” Dunque, non comparabile. Anzi, rispetto alla risposta che per le madri è stata in soli 5 giorni di 2691 compilazioni complete e per i padri in 4 settimane di 373, potremmo dire il contrario. Ossia che le madri sentono fortemente il disagio e il bisogno di dichiararlo. Possiamo però affermare che, del campione che ha preso parte alla nostra ricerca, emerge un altro dato: i padri hanno meno risorse per gestire lo stress genitoriale, lo subiscono fortemente e sono meno “capaci” di conciliare. Questo in parte perché forse sono stati dati loro meno modelli e strumenti. Esistono aziende virtuose che supportano la paternità attiva, migliorando i giorni concessi per il congedo, arricchendo la normativa, e attivando i programmi e i servizi di welfare e supporto alla genitorialità anche ai padri, ma sono pochissime. Ancora poche sono inoltre quelle che offrono loro programmi come i nostri per aiutarli a conciliare bambini e lavoro e a ritrovare benessere.

Qual è la differenza più rilevante tra le mamme e i papà che lavorano?

Per quanto non sia statisticamente corretto comparare i due campioni, poiché molto diversi per numero, la differenza più rilevante personalmente sta nelle risorse e nella possibilità di bilanciare famiglia e lavoro oltre che sé stessi. Le madri riescono a bilanciare famiglia e lavoro al prezzo di dimenticare sé stesse. Anche i padri si dedicano poco a sé (lo scarto è solo del 10% tra i due sessi), ma la metà dei padri rispetto alle madri – seppur non comparabili i campioni dal punto di vista prettamente statistico- dichiarano di bilanciare bene famiglia e lavoro. Questo perché il mondo del lavoro spesso non lo consente facilmente. Infatti il paternale wall, cioè il sentirsi penalizzati nel vivere il proprio ruolo paterno o la carriera, è molto elevato. Per cultura, in epoche passate non è mai stato richiesto ai papà l’accudimento. Di cosa ci sarebbe bisogno? In questo percorso, servono strumenti,  normative e iniziative adeguate per: restituire ai padri il poter vivere i propri figli, alleggerire il carico delle madri, aumentare la loro occupazione nel mondo del lavoro e, soprattutto, garantire ai bambini e ragazzi due figure genitoriali. Le politiche di supporto alla genitorialità che potrebbero essere implementate sono tante: dai congedi paritari ed estesi e condivisi a mamme e papà e obbligatori, alle indicazioni su come incentivare il lavoro agile e lo smart working, passando per l’empowerment e il supporto psicologico obbligatori e con enti accreditati per creare prevenzione e promozione della salute mentale e sociale dell’individuo che diventa genitore. Grazie al nostro sguardo come problem solver, continueremo a fare ricerca. Come tecnici, invece, teniamo a portare la nostra voce anche alle realtà aziendali e alle istituzioni. Alle aziende suggeriamo di scaricare il nostro “Inspiring Paper” per la tutela e la promozione della salute psicosociale del genitore lavoratore, frutto del lavoro di un anno del tavolo che abbiamo promosso e condotto con 12 aziende, scaricabile da questo link:mefirstinazienda.com/tavolo-interaziendale-stayhumam/#inspiring E’ un documento strategico in cinque linee”.

Cinzia Ficco

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