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Maggio 17, 2024
DirittoInnovazione

Innovazione: “Serve far aumentare i fondi statali e affidarne la distribuzione a un’Agenzia Centrale della Ricerca”

Così l’avvocato e docente Cesare Galli, che in questa intervista parla anche dei vantaggi dei brevetti


“L’Italia ha tutte le potenzialità per essere un Paese per brevetti, ma continua a non sfruttarle appieno. I brevetti italiani sono ancora troppo pochi, specie se rapportati all’importanza del nostro settore manifatturiero: solo il 2,5% dei brevetti depositati all’EPO (Ufficio Europei dei Brevetti) nel 2022 veniva dall’Italia, contro il 5,6% della Francia e addirittura il 12,8% della Germania, che dovrebbe rappresentare il nostro modello”.

Lo afferma Cesare Galli (in foto), avvocato e titolare dal 1998 della cattedra di Diritto industriale nell’Università degli Studi di Parma, che dal 2002 figura nelle guide specializzate internazionali come uno dei maggiori specialisti italiani nella difesa della proprietà industriale, e che continua: “I depositi però continuano a crescere, in quantità e in qualità, nonostante scelte deleterie”.

Professore, a cosa allude?

Per esempio, all’abolizione dopo pochissimi anni dalla sua introduzione del cosiddetto Patent Box, un sistema di sgravi fiscali sugli utili generati dallo sfruttamento di invenzioni, know-how e design, al quale è stato preferito un sistema di benefici a pioggia per gli investimenti effettuati in questi campi a prescindere dai risultati. Questo non premia i migliori e dunque non induce a migliorare la qualità dell’innovazione e soprattutto allontana gli investimenti stranieri. Ma parlo anche della sconsiderata gestione della trattativa sul Tribunale Europeo dei Brevetti, che ha privato Milano delle competenze sui brevetti chimici e sui più importanti di quelli farmaceutici. E’ stata un’occasione perduta per fare di Milano – e quindi dell’Italia- un hub europeo dei settori più innovativi. Tuttavia le basi ci sono: ed è su queste che si deve costruire.

Ci può spiegare perché gli imprenditori dovrebbero depositare più brevetti?

Uno studio dell’Unione Europea conferma che le imprese ad alta concentrazione di diritti della proprietà intellettuale, ed anzitutto di brevetti, generano maggiore ricchezza, creano più occupazione – anche per l’indotto che originano – e sono in grado di competere meglio su un mercato che resta globale, nonostante la difficile situazione internazionale che stiamo vivendo, dalla pandemia ai venti di guerra. Anche l’accesso al credito è facilitato e la possibilità di valorizzare questi diritti, cedendoli o concedendoli in licenza, può determinare un effetto leva, in grado di far compiere alle nostre imprese il salto di qualità più che mai necessario per affrontare le nuove sfide del nostro tempo. Inoltre brevettare costa meno ed è più facile di quanto si creda. Anche la sfiducia nella giustizia non è più giustificata nel settore della proprietà intellettuale, che ha ormai raggiunto standard europei, ma molte imprese non lo sanno. Soprattutto, manca nel nostro Paese una vera cultura della ricerca, a cominciare da quella pubblica. Con poche rilevanti eccezioni. Penso a una realtà straordinaria quale l’Istituto Italiano di Tecnologia e oggi anche a Human Technopole. La ricerca pubblica è abbandonata alle iniziative individuali, spesso pregevoli, ma isolate. In Italia gli investimenti pubblici in ricerca nel 2020 sono stati pari all’1,5% del PIL in Italia, contro il 3,1% della Germania e una media europea del 2,2%, ed anche i finanziamenti privati, sempre in rapporto al PIL, sono la metà di quelli tedeschi. La proposta del Professore Garattini e di un gruppo di altri scienziati di aumentare significativamente i fondi statali, affidandone la distribuzione a un’Agenzia Centrale della Ricerca Scientifica, come autorità indipendente, è una priorità assoluta. Per i privati, occorre abbandonare la logica del piccolo è bello, superata dalla storia, e capire che senza innovazione e quindi senza investimenti in ricerca si è condannati all’irrilevanza e all’estinzione.

Quali sono i campi, i settori su cui puntare di più e da dove partire per depositare un brevetto?

Life science, meccatronica, nanotecnologie: sono solo alcuni dei settori più promettenti, ma l’innovazione può portare a successi in tutti i settori della tecnica. Occorre però dotarsi delle risorse necessarie: gli algoritmi di intelligenza artificiale, se usati in modo appropriato, già oggi riducono di molto i tempi dell’innovazione, ma non bastano, perché vanno alimentati di dati, a cominciare da quelli ricavabili dai database brevettuali, che, chiunque voglia fare innovazione dovrebbe consultare, per essere aggiornato sugli ultimi progressi nel proprio campo. E poi occorre avvalersi di professionisti preparati, sia per i depositi, sia per la difesa giudiziale sia per le strategie di valorizzazione. Bastano poche migliaia di euro per ottenere un brevetto italiano, che è un buon punto di partenza, perché una convenzione tra UIBM ed EPO consente di ottenere gratis il rapporto di ricerca europeo, sulla base del quale si può capire se conviene rendere internazionale la brevettazione. Poi si possono trovare potenziali finanziatori.  Il mercato è comunque ricco e inevitabilmente c’è anche chi si improvvisa esperto senza esserlo. Le professionalità migliori costano di più, ma sono una garanzia.

Pensa che il nostro Paese tuteli a sufficienza le nostre imprese dalle contraffazioni? Cosa si augura da questo Esecutivo?

Dal 2005 ho sempre fatto parte delle Commissioni di esperti che hanno riscritto le norme contro la contraffazione e posso testimoniare in prima persona che l’Italia ha fatto passi da gigante, istituendo Sezioni Specializzate nei maggiori Tribunali e introducendo norme speciali che sono considerate best practice a livello europeo. Ma le Sezioni Specializzate ci sono solo in sede civile, sono distribuite male sul territorio e per giunta i Giudici possono restarci solo per dieci anni, con un turn over assurdo, che disperde esperienze e disincentiva la preparazione in una materia comunque difficile. Se il Governo abolisse questo vincolo decennale, concentrasse le Sezioni in poche sedi giudiziarie dotate di un carico di lavoro sufficiente a specializzarsi davvero ed estendesse la specializzazione anche alla contraffazione penale, il salto di qualità sarebbe decisivo e anche a livello internazionale ci farebbe tornare attrattivi. Per il resto, come disse il grande Marzotto a un Ministro che lo interpellava in tal senso negli Anni Cinquanta, basterebbe che la politica lasciasse lavorare le imprese e il mondo dell’innovazione. Pochi mesi fa il Governo ha fatto mettere fuori legge la ricerca sui novel foods, così come da anni ostacola le innovazioni biotecnologiche. Politiche che rischiano di penalizzare il nostro Paese non solo nel breve, ma anche nel medio e lungo termine.

Cinzia Ficco

Cesare Galli

Dal 2004 ha sempre fatto parte degli esperti designati dal Parlamento e dal Governo che hanno
predisposto le riforme del diritto IP, tra cui l’attuazione italiana della Direttiva n. 2004/48/C.E. e le riforme del 2010 e del 2023 del Codice della Proprietà Industriale, ed è attualmente Esperto Giuridico presso la Presidenza del CNAC – Consiglio Nazionale Anti-Contraffazione, ora CNALCIS – Consiglio Nazionale per la Lotta alla Contraffazione e all’Italian Sounding, e membro dell’European Counterfeiting and Piracy Observatory istituito in seno alla DG Markt della Commissione Europea, ora EU Observatory on infringements of IP rights presso l’EUIPO, oltre a collaborare stabilmente con
INDICAM, Confindustria, AIPPI e AmCham sulle tematiche IP.

Autore di alcune centinaia di pubblicazioni su tutti gli aspetti della proprietà intellettuale, ha anche
diretto il più ampio (4.000 pagine) commentario di tutte le norme nazionali e comunitarie in materia (GALLI-GAMBINO, “Codice commentato della proprietà industriale e intellettuale”, Torino, UTET-Wolters Kluwer, 2011, di cui sta curando la nuova edizione).

Nel corso della sua attività professionale si è occupato di importanti cause, in Italia e all’estero,
relative a tutte le branche del diritto industriale, in particolare marchi e domain names, brevetti per
invenzioni e modelli, industrial design e denominazioni di origine, ed affrontando più volte problematiche di carattere internazionale e con aspetti cross-border. Coinvolto in alcune delle più
importanti litigations IP degli ultimi 25 anni, nel 1999 ha ottenuto la prima sentenza italiana di
merito in materia di brevetti biotech e nel 2004 la prima decisione italiana che riconosce la validità
di un brevetto per computer implemented invention e tra il 2005 e il 2022 ha fatto concedere alcuni
tra i provvedimenti più innovativi ed avanzati a tutela del segreto industriale e dei marchi rinomati
e per la repressione del look-alike, tra cui la sentenza della Corte di Giustizia europea che ha obbligato il Governo italiano a tutelare più efficacemente l’industrial design.

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