Tag: ricerca applicata

  • Innovazione: “Serve far aumentare i fondi statali e affidarne  la distribuzione a un’Agenzia Centrale della Ricerca”

    Innovazione: “Serve far aumentare i fondi statali e affidarne la distribuzione a un’Agenzia Centrale della Ricerca”

    Così l’avvocato e docente Cesare Galli, che in questa intervista parla anche dei vantaggi dei brevetti


    “L’Italia ha tutte le potenzialità per essere un Paese per brevetti, ma continua a non sfruttarle appieno. I brevetti italiani sono ancora troppo pochi, specie se rapportati all’importanza del nostro settore manifatturiero: solo il 2,5% dei brevetti depositati all’EPO (Ufficio Europei dei Brevetti) nel 2022 veniva dall’Italia, contro il 5,6% della Francia e addirittura il 12,8% della Germania, che dovrebbe rappresentare il nostro modello”.

    Lo afferma Cesare Galli (in foto), avvocato e titolare dal 1998 della cattedra di Diritto industriale nell’Università degli Studi di Parma, che dal 2002 figura nelle guide specializzate internazionali come uno dei maggiori specialisti italiani nella difesa della proprietà industriale, e che continua: “I depositi però continuano a crescere, in quantità e in qualità, nonostante scelte deleterie”.

    Professore, a cosa allude?

    Per esempio, all’abolizione dopo pochissimi anni dalla sua introduzione del cosiddetto Patent Box, un sistema di sgravi fiscali sugli utili generati dallo sfruttamento di invenzioni, know-how e design, al quale è stato preferito un sistema di benefici a pioggia per gli investimenti effettuati in questi campi a prescindere dai risultati. Questo non premia i migliori e dunque non induce a migliorare la qualità dell’innovazione e soprattutto allontana gli investimenti stranieri. Ma parlo anche della sconsiderata gestione della trattativa sul Tribunale Europeo dei Brevetti, che ha privato Milano delle competenze sui brevetti chimici e sui più importanti di quelli farmaceutici. E’ stata un’occasione perduta per fare di Milano – e quindi dell’Italia- un hub europeo dei settori più innovativi. Tuttavia le basi ci sono: ed è su queste che si deve costruire.

    Ci può spiegare perché gli imprenditori dovrebbero depositare più brevetti?

    Uno studio dell’Unione Europea conferma che le imprese ad alta concentrazione di diritti della proprietà intellettuale, ed anzitutto di brevetti, generano maggiore ricchezza, creano più occupazione – anche per l’indotto che originano – e sono in grado di competere meglio su un mercato che resta globale, nonostante la difficile situazione internazionale che stiamo vivendo, dalla pandemia ai venti di guerra. Anche l’accesso al credito è facilitato e la possibilità di valorizzare questi diritti, cedendoli o concedendoli in licenza, può determinare un effetto leva, in grado di far compiere alle nostre imprese il salto di qualità più che mai necessario per affrontare le nuove sfide del nostro tempo. Inoltre brevettare costa meno ed è più facile di quanto si creda. Anche la sfiducia nella giustizia non è più giustificata nel settore della proprietà intellettuale, che ha ormai raggiunto standard europei, ma molte imprese non lo sanno. Soprattutto, manca nel nostro Paese una vera cultura della ricerca, a cominciare da quella pubblica. Con poche rilevanti eccezioni. Penso a una realtà straordinaria quale l’Istituto Italiano di Tecnologia e oggi anche a Human Technopole. La ricerca pubblica è abbandonata alle iniziative individuali, spesso pregevoli, ma isolate. In Italia gli investimenti pubblici in ricerca nel 2020 sono stati pari all’1,5% del PIL in Italia, contro il 3,1% della Germania e una media europea del 2,2%, ed anche i finanziamenti privati, sempre in rapporto al PIL, sono la metà di quelli tedeschi. La proposta del Professore Garattini e di un gruppo di altri scienziati di aumentare significativamente i fondi statali, affidandone la distribuzione a un’Agenzia Centrale della Ricerca Scientifica, come autorità indipendente, è una priorità assoluta. Per i privati, occorre abbandonare la logica del piccolo è bello, superata dalla storia, e capire che senza innovazione e quindi senza investimenti in ricerca si è condannati all’irrilevanza e all’estinzione.

    Quali sono i campi, i settori su cui puntare di più e da dove partire per depositare un brevetto?

    Life science, meccatronica, nanotecnologie: sono solo alcuni dei settori più promettenti, ma l’innovazione può portare a successi in tutti i settori della tecnica. Occorre però dotarsi delle risorse necessarie: gli algoritmi di intelligenza artificiale, se usati in modo appropriato, già oggi riducono di molto i tempi dell’innovazione, ma non bastano, perché vanno alimentati di dati, a cominciare da quelli ricavabili dai database brevettuali, che, chiunque voglia fare innovazione dovrebbe consultare, per essere aggiornato sugli ultimi progressi nel proprio campo. E poi occorre avvalersi di professionisti preparati, sia per i depositi, sia per la difesa giudiziale sia per le strategie di valorizzazione. Bastano poche migliaia di euro per ottenere un brevetto italiano, che è un buon punto di partenza, perché una convenzione tra UIBM ed EPO consente di ottenere gratis il rapporto di ricerca europeo, sulla base del quale si può capire se conviene rendere internazionale la brevettazione. Poi si possono trovare potenziali finanziatori.  Il mercato è comunque ricco e inevitabilmente c’è anche chi si improvvisa esperto senza esserlo. Le professionalità migliori costano di più, ma sono una garanzia.

    Pensa che il nostro Paese tuteli a sufficienza le nostre imprese dalle contraffazioni? Cosa si augura da questo Esecutivo?

    Dal 2005 ho sempre fatto parte delle Commissioni di esperti che hanno riscritto le norme contro la contraffazione e posso testimoniare in prima persona che l’Italia ha fatto passi da gigante, istituendo Sezioni Specializzate nei maggiori Tribunali e introducendo norme speciali che sono considerate best practice a livello europeo. Ma le Sezioni Specializzate ci sono solo in sede civile, sono distribuite male sul territorio e per giunta i Giudici possono restarci solo per dieci anni, con un turn over assurdo, che disperde esperienze e disincentiva la preparazione in una materia comunque difficile. Se il Governo abolisse questo vincolo decennale, concentrasse le Sezioni in poche sedi giudiziarie dotate di un carico di lavoro sufficiente a specializzarsi davvero ed estendesse la specializzazione anche alla contraffazione penale, il salto di qualità sarebbe decisivo e anche a livello internazionale ci farebbe tornare attrattivi. Per il resto, come disse il grande Marzotto a un Ministro che lo interpellava in tal senso negli Anni Cinquanta, basterebbe che la politica lasciasse lavorare le imprese e il mondo dell’innovazione. Pochi mesi fa il Governo ha fatto mettere fuori legge la ricerca sui novel foods, così come da anni ostacola le innovazioni biotecnologiche. Politiche che rischiano di penalizzare il nostro Paese non solo nel breve, ma anche nel medio e lungo termine.

    Cinzia Ficco

    Cesare Galli

    Dal 2004 ha sempre fatto parte degli esperti designati dal Parlamento e dal Governo che hanno
    predisposto le riforme del diritto IP, tra cui l’attuazione italiana della Direttiva n. 2004/48/C.E. e le riforme del 2010 e del 2023 del Codice della Proprietà Industriale, ed è attualmente Esperto Giuridico presso la Presidenza del CNAC – Consiglio Nazionale Anti-Contraffazione, ora CNALCIS – Consiglio Nazionale per la Lotta alla Contraffazione e all’Italian Sounding, e membro dell’European Counterfeiting and Piracy Observatory istituito in seno alla DG Markt della Commissione Europea, ora EU Observatory on infringements of IP rights presso l’EUIPO, oltre a collaborare stabilmente con
    INDICAM, Confindustria, AIPPI e AmCham sulle tematiche IP.

    Autore di alcune centinaia di pubblicazioni su tutti gli aspetti della proprietà intellettuale, ha anche
    diretto il più ampio (4.000 pagine) commentario di tutte le norme nazionali e comunitarie in materia (GALLI-GAMBINO, “Codice commentato della proprietà industriale e intellettuale”, Torino, UTET-Wolters Kluwer, 2011, di cui sta curando la nuova edizione).

    Nel corso della sua attività professionale si è occupato di importanti cause, in Italia e all’estero,
    relative a tutte le branche del diritto industriale, in particolare marchi e domain names, brevetti per
    invenzioni e modelli, industrial design e denominazioni di origine, ed affrontando più volte problematiche di carattere internazionale e con aspetti cross-border. Coinvolto in alcune delle più
    importanti litigations IP degli ultimi 25 anni, nel 1999 ha ottenuto la prima sentenza italiana di
    merito in materia di brevetti biotech e nel 2004 la prima decisione italiana che riconosce la validità
    di un brevetto per computer implemented invention e tra il 2005 e il 2022 ha fatto concedere alcuni
    tra i provvedimenti più innovativi ed avanzati a tutela del segreto industriale e dei marchi rinomati
    e per la repressione del look-alike, tra cui la sentenza della Corte di Giustizia europea che ha obbligato il Governo italiano a tutelare più efficacemente l’industrial design.

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  • Atenei e pmi distanti? L’Università di Pisa lancia la strategia delle 4E e i lunch dell’innovazione

    Atenei e pmi distanti? L’Università di Pisa lancia la strategia delle 4E e i lunch dell’innovazione

    Parla Corrado Priami, da un anno Prorettore per la valorizzazione della conoscenza e suo impatto


    “Uno dei miei compiti è sicuramente quello di far crescere la cultura imprenditoriale all’interno dell’ateneo anche in quei settori non STEM che, in genere, faticano ad interagire con il mondo delle imprese, pur avendo notevoli potenzialità”.

    Ad annunciarlo, Corrado Priami, da un anno Prorettore per la valorizzazione della conoscenza e suo impatto all’Università di Pisa, che sente forte l’esigenza di accorciare le distanze tra il mondo accademico e quello del lavoro e che per questo rimarca: “La stessa difficoltà a creare relazioni con l’Università la si osserva anche nelle piccole e medie imprese che spesso non sanno cogliere le opportunità di crescita legate all’innovazione. Per questo, abbiamo attivato una serie di iniziative, sperando di agevolare l’incontro in modo costruttivo e concreto, mostrando quali possano essere i vantaggi dell’una e delle altre in un ecosistema collaborativo in cui tutti gli attori sono sullo stesso piano”.

    Qual è l’errore più frequente degli accademici e degli imprenditori?

    Troppo spesso i primi pretendono di insegnare alle imprese come fare il loro mestiere e troppo spesso le imprese pensano che gli accademici siano dei teorici, incapaci di risolvere problemi concreti. L’Università di Pisa ha pensato di partire dagli studenti, applicando una strategia che noi chiamiamo delle 4E. La prima E è education e consiste in un corso aperto a tutti gli studenti dell’ateneo su startup e multidisciplinarietà indipendentemente dall’anno di corso e dal corso di studi scelto (https://startupedu.unipi.it). Questa introduzione di base a fare impresa e agli strumenti utili vuole stimolare la curiosità che poi viene coltivata nella fase di experiment (seconda E), gestita nel nostro Contamination Lab (https://contaminationlab.unipi.it). Qui gli studenti affinano le loro competenze e provano a cercare idee di impresa che potrebbero essere realizzate. Fornire agli studenti queste competenze li rende più qualificati anche per un futuro lavoro in azienda e più aperti al confronto con l’Università. È una strategia di lungo periodo, ma darà i suoi frutti.

    Corrado Priami, Prorettore per la valorizzazione della conoscenza all’Università di Pisa

    La terza E?

    Sta per execute. Qui abbiamo avviato il progetto Start Attractor dell’Università di Pisa per creare una calamita di competenze e capitali per  favorire progetti di open innovation e venture building. Start Attractor cerca di attrarre aziende per identificare i loro bisogni e i trend di mercato su cui investire. E lo fa con le competenze dell’ateneo e del suo ecosistema. Start Attractor è un portale unico di accesso alle competenze dell’Università che spesso le aziende non conoscono in modo completo.

    Veniamo all’ultima E.

    Che è exit. Si riferisce alla capacità delle start-up – che Start Attractor ha contribuito a far crescere – di camminare con le proprie gambe sul mercato e sfruttare realmente i risultati dei progetti di Open Innovation attivati, con le grandi aziende. È un processo di medio periodo che realizza prodotti e soluzioni innovative, e – cosa fondamentale – consente di creare fiducia tra aziende e Università.

    Da uno a dieci quanto l’Università in Italia è lontana dalle esigenze del mercato del lavoro rispetto ad altri Paesi?

    Come dicevo prima, non è un problema di lontananza in termini di competenze offerte agli studenti – quelle sono più o meno le stesse in tutto il mondo. Il problema italiano è culturale. Collaborare con le aziende è considerata un’attività di serie B. Questo non avviene, ad esempio, in UK, Stati Uniti, Nord Europa, Germania, Giappone solo per citarne alcuni. E questa non è solo colpa degli accademici. Le norme di reclutamento del personale docente, derivate dalle linee guida ministeriali, considerano tali attività marginali. Le norme che regolano la partecipazione di docenti ad attività imprenditoriali, che potrebbero drasticamente ridurre le distanze, sembrano essere fatte per limitarne al massimo – se non impedirne- la possibilità. Direi quindi che il legislatore dovrebbe avere una visione più aperta nei confronti dei rapporti Università – impresa. Molte distanze si eliminerebbero in modo automatico.  Quello che possiamo fare come Università è cercare di abbattere le barriere culturali tra i due mondi: la strategia delle quattro E è un esempio. Come I lunch dell’innovazione.Torto e ragioni di docenti e imprenditori? Ci insegnano da piccoli che la colpa non sta mai completamente da una parte sola.Sono stato amministratore delegato di una PMI per dodici anni e da quell’esperienza hocapito che non si possono fare politiche di breve respiro, basate solo sull’obiettivo di fare cassa. La sopravvivenza nel medio termine e la crescita passanosempre per l’innovazione, e l’innovazione ha bisogno di investimenti. In questo momento, stiamo cercando di individuare partner per lanciare Start Attractor e dialogare con  aziende, soprattutto di grandi dimensioni. È interessante scoprire le loro strategie aziendali Ci sono realtà più propense di altre ainvestire su progetti ad alto rischio, con ritorni altissimi. E la principale differenza tra chi è propenso a investire echi no, dipende dalla cultura aziendale. Quella stessa cultura che io sto cercando dimodificare all’interno dell’università per renderla più aperta al mondo delle imprese.Quindi direi che i problemi sono simili. Organizzazione,reclutamento di giovani con visione e spirito imprenditoriale e investimenti ininnovazione sono la chiave per avvicinare l’industria alle università.

    Mi fa esempi di un’azienda e di un ateneo che si sono “presi subito”?

    All’Università di Pisa abbiamo molte collaborazioni sia con grandi aziende che con PMI. Non le faccio esempi perché non ci sono collaborazioni di serie A e serie B: sono tutte importanti. Il mix perfetto per la nascita delle collaborazioni nasce sempre dal rapporto tra le persone e non tra le istituzioni. Due persone desiderose di collaborare cominciano a parlare e a individuare temi comuni su cui ottenere insieme vantaggi. Così si comincia a creare un rapporto di fiducia. Se i risultati sono positivi, si avviano progetti di una portata più alta fino ad arrivare ad accordi strategici e di sviluppo congiunto. Partire da piccole cose per verificare se il rapporto può funzionare e poi espanderlo, è sempre il processo che paga di più.

    Sempre perseguendo lo stesso obiettivo ha lanciato i Lunch dell’innovazione.

    Esatto, fanno parte della strategia di avvicinamento del mondo accademico e imprenditoriale. Sono momenti per stimolare il dialogo e creare fiducia.  Li abbiamo avviati da poco. Continueranno sino a maggio prossimo. (https://www.unipi.it/index.php/trasferimento/item/27307- lunch-dell-innovazione) quando si terrà la seconda edizione del convegno Converging Skills, che ha lo scopo di esaminare le buone pratiche di collaborazione università- azienda, analizzare i processi e i percorsi che seguono le aziende e le università in questo contesto. Conoscersi fa aumentare la possibilità di un approccio collaborativo. Lo scorso anno (https://convergingskills.unipi.it), l’evento ha avuto un notevole successo e portato ricadute positive in termini di collaborazioni. Quest’anno aggiungeremo un paio di sessioni in cui l’Università di Pisa presenterà dieci progetti molto maturi – alludo al Livello di Maturità Tecnologica e che potrebbero essere di interesse per le aziende e gli investitori presenti. Quindi, quest’anno facciamo un passo verso l’incontro concreto dei bisogni reciproci.

    Alla fine l’Italia è un Paese per innovatori, dove poter fare ricerca applicata e avere risultati concreti?

    La qualità delle nostre Università non è in discussione, altrimenti non avremmo il problema della fuga dei cervelli, tanto sono ben preparati i nostri laureati. Talento e competenze non ci mancano. La burocrazia spesso fiacca la capacità di innovare, ma innovazione vuol dire anche avere pazienza e perseverare sulla propria idea. I veri innovatori riescono. Il progetto Start Attractor dell’Università di Pisa vuole essere un aiuto concreto a chi voglia fare impresa innovativa, aperto a tutte le aziende interessate, non solo agli spin-off dell’Università. Con progetti come Start Attractor speriamo di aiutare il Paese a crescere”.

    Cinzia Ficco

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