A cura di Mario Rosso
“Scrivo a ridosso della scomparsa di Gianni Vattimo, che mi ha attivato la riflessione sul rapporto tra management e filosofia.
Sono stato allievo di Vattimo all’Università di Torino, con lui ho dato l’esame di Estetica. Poi l’ho incontrato poche volte, spesso in contesti non accademici, ma anche informali e mondani. Vattimo è stato un Filosofo, ha vissuto da Filosofo, ha testimoniato, sofferto, arricchito la nostra comprensione della vita, è stato un saggio, e anche sempre una persona autentico.
Molti che oggi fanno i filosofi, sui media, nel web, sui blog, you tube, nella produzione libresca del self help, invece, non sono mai filosofi.
Al massimo sono professori di filosofia, slavati ripetitori di formule, citazioni, ormai svuotate di significato. spacciatori di illusioni, commercianti di approssimative verità invecchiate, forse alla ricerca di un successo facile e indolore sulla pelle, ma di chi? Naturalmente qualche eccezione c’è.
Tornando a Vattimo, il tema del Pensiero Debole mi aveva ispirato un passaggio in un documento di qualche anno fa sull’evoluzione del mestiere manageriale nel mondo digitale, che forse oggi risulta ancora un po’ significativo.
Eccolo qui di seguito:
Una parte importante della evoluzione tecnologica ha tassi di cambiamento troppo elevati per poter essere approfondita e metabolizzata a livello manageriale, cioè non tecnico/specialistico. L’offerta è frenetica, l’innovazione scissa dai bisogni veri del fruitore. Basta scorrere gli allegati tecnologici di quotidiani e riviste o guardare all’alluvione di post su nuovi prodotti, applicazioni, servizi, che ci travolge giornalmente su Linkedin: sembra un catalogo di sogni digitali o di fantastiche opportunità che per numero, tasso di cambiamento, complessità, ambiziosità, rimangono ai margini della portata del manager. Quindi cosa fare? Al massimo si reagisce con un semplice surfing di conoscenza, intuizione delle opportunità di utilizzo, delega agli specialisti, test, consulenze.
E vero, non si può negare che la tecnologia abbia spaventosamente aumentato la produttività individuale del management, sia nell’unità di tempo, che nell’estensione del tempo giornaliero e settimanale reso disponibile al lavoro.
Nell’unità di tempo, basta pensare a quanto se ne dedicava a una trattativa commerciale o alla redazione di un atto legale prima del digitale. Si spediva l’offerta, si aspettava la risposta, si correggevano le bozze, le copie. Oggi un commerciale fa in 24 ore ciò per cui solo 20 anni fa noi lavoravamo per settimane
Ma l’ossessione dell’essere connesso always on rende possibile, anzi, peggio in una prima fase legittima, e poi rende quasi obbligatorio l’utilizzo di qualsiasi tempo, più o meno privato e personale, per il lavoro.
Fino agli anni ‘90, avremmo accettato di scambiare messaggi o documenti, richieste alle 23 a casa nostra, la domenica pomeriggio a casa in famiglia, o avremmo dato risposte o accesso a call o e-mail, tweet, in qualsiasi momento della giornata? E’ vero che all’assuefazione e alla dipendenza spesso si aggiunge la maleducazione.
Con le nuove tecnologie siamo diventati per sempre iperproduttivi, iperconnessi e ultradisponibili.
Ma l’aspetto più problematico non è quello esistenziale, quanto quello più propriamente manageriale.
Accade al manager che la continua disponibilità dell’ always on lo appiattisca sul presente, prosciughi la disponibilità di tempo non direttamente strumentale alla gestione immediata del problema hic et nunc.
Prevale – come risposta indotta da questi fattori- il ricorso alla “ragione strumentale” (Horkheimer & Adorno), al pensiero breve che si occupa del problem management, più che del problem solving. Intanto nell’esperienza direzionale, in un contesto di mutamenti in continua accelerazione, talvolta indecifrabili, e sempre indominabili, ci siamo rassegnati alla consapevolezza che non c’è più alcuna decisione che risolva per sempre un problema. Al massimo esiste una pseudo soluzione che consente di passare con successo o senza danni alla decisione successiva o costituisce la premessa al successivo pensiero breve
Sparisce la base di sostegno e di riferimento del pensiero tecnico e professionale: è il “pensiero debole” del management.
Nello stesso modo nessuna pratica può essere riposta nell’ultimo cassetto, ma anzi vanno tutte tenute – per così dire – sottotraccia, sempre pronte a una emersione di emergenza.
Inoltre non c’è più un ultimo cassetto: la virtuale infinita disponibilità di spazio per l’archiviazione di dati progetti prodotti semilavorati, documenti, idee rende ogni problema potenzialmente rivitalizzabile. Abbiamo i file pieni di zombie gestionali, pronti a risorgere e inquinarci le notti.
E Vattimo riesce a trasformare questa potenziale minaccia di rassegnazione e relativismo nella riscoperta di una nuova, laica consapevolezza, responsabilità, etica. Chissà se tanti manager oggi, coscientemente o meno, si stanno avviando a percorrere un cammino simile”.
Mario Rosso
Nasce a Roma da genitori sardi, , con la famiglia si trasferisce a Torino, dove compie tutti gli studi laureandosi in
Filosofia teoretica con il massimo dei voti. ( tesi sulla Fenomenologia Husserl, medaglia d’oro)
Entra nel Gruppo Fiat all’interno della Direzione Personale e Organizzazione, occupa della gestione e sviluppo del
Management del Gruppo, ricerche sociologiche, consulenza organizzativa. Dal 1983 al 1985 diventa Responsabile Personale ed Organizzazione, Comunicazione e Sistemi Informativi alla IVI ,
ceduta da FIAT alla PPG (Pittsburgh Plate Glasses) con lunghi periodi di residenza in USA.
Nel 1988 si trasferisce a Milano, dove assume la responsabilità di Direttore Personale Organizzazione, Sistemi
Informativi, Comunicazione, del Gruppo La Rinascente (Grandi Magazzini, Upim , Ipermercati, Trony, Brico…),
Nel 1992 diviene Senior Vice President della New Holland, con sede a Londra, ricoprendo ruoli con crescenti
responsabilità: Human Resources , Pianificazione Strategica e Attività internazionali, Gestisce Joint Ventures e
partnerships in Cina, Turchia, India, Pakistan, Messico, Ucraina e Romania.
Rientrato in Italia, per un anno guida l’”Ufficio di Roma” del Gruppo Fiat, curando relazioni e il lobbying con Enti,
Istituzioni, Associazioni.
Nel 1999 E’ in Telecom Italia, come Responsabile Risorse Umane di Gruppo, . Partecipa direttamente all’Opa e alla
fase successiva, gestione delle emergenze, ricambio del management , ristrutturazione.
Dal 2002 al 2003 entra in TISCALI come Executive Vice President WorldWide e Direttore Generale Tiscali Italia, per
poi passare, nel 2003, in ANSA come Amministratore Delegato e Direttore Generale
Nel 2008 rientra in Tiscali come Presidente e Amministratore Delegato di Gruppo. In questo ruolo gestisce la vendita
di Tiscali UK a Carphone Warehouse, la ristrutturazione del debito, un aumento di capitale , un nuovo piano
industriale.
Ha ricoperto successivamente l’incarico Relazioni Istituzionali in Almaviva S.p.A., e attualmente vive tra Roma ,
Londra e la Sardegna, occupandosi di consulenza direzionale, business development, start up nei settori New Media,
Web, Editoria, ICT.