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Luglio 27, 2024
FocusInnovazione

Gli imprenditori italiani? Tanti i “capitalisti” degli stakeholder

Parla Paolo Braguzzi, autore di un libro (L’impresa for good), pubblicato di recente da FrancoAngeli


Rispetto al numero di aziende che usano il business per creare valore umano, sociale e ambientale, il nostro Paese è al secondo posto dopo la Gran Bretagna. Del resto, puntare al benessere in tutta la catena del valore e oltre la il fine vita del prodotto, d’ora in avanti sarà l’unica bussola per non essere spazzati via dal mercato.

Le sfide ambientali, sociali e tecnologiche incalzano e chiedono a imprenditori e manager di ricercare nuove vie per rendere le proprie imprese adatte al futuro. Perché questo accada non è più sufficiente rivedere business model e strategie, ma è necessario far evolvere la ragione d’essere dell’impresa, trasformando queste sfide in un modello virtuoso in grado di creare valore economico, sociale ambientale a favore di tutti gli stakeholder.

Ecco che entra in scena l’impresa for good, a cui Paolo Braguzzi (in foto), mantovano (1962) – che si definisce attivista di un modello d’impresa in grado di conciliare il profitto con il bene comune- ha dedicato un libro, pubblicato di recente da FrancoAngeli, in cui ha raccolto le sue esperienze professionali. Dopo aver guidato la trasformazione in B Corp e società Benefit da parte di Davines, l’impresa di cui è stato Ceo per 17 anni, oggi è docente all’Università di Verona, advisor e consigliere indipendente.

A lui la redazione di Aziendatop.it ha chiesto cosa sia in concreto e come operi un’impresa for good.

“Intanto – chiarisce –  è un’impresa in cui il profitto non è il fine, ma una conseguenza del suo buon lavoro e dell’attenzione a chi ci lavora e a chi vive intorno. Non è solo oggetto di studio, ma è già pratica. È in sintesi un’azienda che si muove intorno ad un perno: il principio di responsabilità integrale, un livello di responsabilità che coinvolge tutte le forme d’impatto, quindi non solo quello economico ma anche quello umano, sociale ed ambientale. Tutte le fasi della catena del valore – dalla scelta delle materie prime al fine vita del prodotto e infine tutti gli stakeholder dell’impresa quindi fornitori, collaboratori, clienti, ambiente e comunità circostante.

Quanto gli imprenditori italiani sono for good? E quali sono gli step necessari?

In Italia ci sono più di 3mila società benefit e più di 200 BCorp, che corrispondono al modello for good. Il punto di partenza è comunque aderire ai principi che lo ispirano, al di là della forma attraverso cui questo si esprime.

B Corp e Società Benefit: qual è la differenza?

Il sistema di certificazione B Corp, in cui la B sta per benefit, è nato da tre imprenditori statunitensi, fondatori di una azienda di abbigliamento sportivo che si chiama And1. Dopo averla venduta, i tre avevano assistito alla sua trasformazione da impresa attenta ai propri stakeholder a impresa tradizionale. Questa delusione li ha portati a immaginare che fosse necessario un modello robusto in grado di fornire sia la misurazione oggettiva delle performance ambientali e sociali della impresa che la protezione della missione delle aziende che vogliono conciliare profitto e valore umano. Secondo il modello delle B Corp, un’impresa diventa apportatrice di valore diffuso, anziché estrattrice di valore, quando le sue pratiche relative all’ ambiente, le persone, le comunità e la governance corrispondono a standard oggettivi e misurabili. La certificazione è basata quindi su un processo di assessment che avviene attraverso un questionario auto-compilato dall’impresa, denominato Benefit Impact Assessment, validato da una review attuata nella maggior parte dei casi da remoto e in altri attraverso audit in loco. La certificazione stessa è concessa da B Lab, un’organizzazione no profit che ha sede negli Stati Uniti e viene promossa in tutto il mondo. Esistono una B Lab Europe e una B Lab Italia. La società benefit è, invece, una forma giuridica che si integra in modo volontario a quella originaria, sia essa quella di una SpA una Srl o un’altra forma societaria, e aggiunge uno status ulteriore che la vincola a determinati obblighi ed impegni. Il primo prevede il perseguimento in parallelo al profitto di una o più finalità di beneficio comune, dichiarate nel proprio statuto. Le società benefit hanno inoltre l’obbligo di pubblicare una relazione annuale che deve essere resa disponibile sia come allegato al proprio bilancio che sul proprio sito. L’Italia è stata il primo Paese sovrano al mondo ad approvare una legge a favore di questa nuova forma giuridica, chiamata, appunto, società benefit. Un grande motivo di orgoglio.

Difficile diventare for good per le imprese storiche?

Non la metterei sul piano anagrafico. Gli imprenditori e i manager meno giovani forse impiegano più tempo a comprendere il cambiamento di paradigma retrostante questi nuovi modelli di governance, ma non per questo sono meno motivati a perseguirli.

La scala di priorità dell’imprenditore for good: purpose, poi vision, mission e solo alla fine profitto?

Guardi, come scrivo nel libro, quasi sempre gli imprenditori non sono mossi solo dall’idea del profitto, ma da un sogno. Quindi esplorare il perché profondo – che ha motivato l’imprenditore quando la sua azienda è nata -può portare a scoprire qualcosa di interessante per identificare la ragione ultima che la può ispirare anche in prospettiva futura. Direi che l’imprenditore for good è quello che vuole realizzare il suo sogno e trarne un profitto senza che qualcuno debba pagarne il prezzo, il che spesso accade senza dovere sostenere costi superiori. Produrre acquistando elettricità da fornitori di energia da fonti rinnovabili per ridurre le proprie emissioni di C02, è un esempio di un’azione virtuosa, a portata di tutti e che non comporta costi aggiuntivi.

Prospettive?

Siamo vicini ad una svolta, perché oltre all’azione volontaria delle imprese la normativa europea chiede loro maggiore responsabilità. È un nuovo percorso di sostenibilità, giusto di per sé ma che diventa anche conveniente in quanto sempre di più il mercato tenderà a marginalizzare le imprese che non lo seguiranno. E poi, diciamolo: a fronte delle diseguaglianze e dei problemi ambientali che rischiano di compromettere il benessere dell’umanità, è giunta l’ora in cui la prevalenza dell’etica sull’interesse esclusivamente economico debba scoccare.

Cinzia Ficco

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