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Novembre 21, 2024
Focus

“Di comunicazione ce n’è solo una: quella organizzativa. Magari Pop”

Parla Marco Stancati, docente alla Sapienza di Roma


Come sta cambiando la comunicazione interna ad un’azienda in un’epoca di change management? Perché continua ad essere fondamentale? Quanto incide sulla produttività e sulla reputazione?

Lo abbiamo chiesto a Marco Stancati, Responsabile della comunicazione della Fondazione Rigel, docente di comunicazione d’impresa alla Sapienza di Roma, che subito dice: “La comunicazione interna è strategica, ma non da oggi. Diciamo che la pandemia lo ha reso evidente. Il Covid, che ha chiuso le persone dentro casa obbligando tutto il mondo a un gigantesco esperimento di home working, allontanando il personale dai capi, ha reso consapevoli top manager e Ceo che, se non funziona la comunicazione interna non può funzionare quella esterna. Per il resto, non ho vissuto periodi storici che non fossero di change management. In questo Terzo Millennio poi, in cui tutto evolve con una velocità mai conosciuta prima, il change management è davvero una costante.

Quali e quanti problemi nascono in seguito ad una pessima comunicazione interna? E in genere, come si risolvono

Una pessima comunicazione interna vuol dire che non c’è alcuna comunicazione funzionale. E quindi non ci sarà un buon clima aziendale, mancherà il benessere organizzativo, il senso di appartenenza latiterà. Il lavoratore di quell’azienda si limiterà a fare i compiti, senza metterci alcun valore aggiunto. Pronto ad abbandonarla alla prima occasione. Come si risolvono? Se la governance dell’azienda non capisce l’importanza di una relazione costante con il personale e non è capace di questo salto culturale, non si risolverà e basta!

Oggi che tipo di comunicazione interna si utilizza? E-mail, messaggi, zoomate, riunioni vecchio stile?

Lei sta parlando di strumenti e canali di comunicazione: si usano tutti quelli citati e tanti altri ancora. Oggi la comunicazione aziendale assume tutte le forme, anche pop, del connettersi, collegarsi, relazionarsi: post, reel, podcast, streaming-TV, stories, dirette web. Quanto alle riunioni vecchio stile, se convocate in maniera mirata, sono irrinunciabili, perché una comunicazione a cinque sensi è molto più potente di una a due soli sensi – come quella mediata da uno schermo e una tastiera. Anche la mensa aziendale e la macchinetta del caffè sono canali formidabili di comunicazione interna.

In genere cosa comunica il datore di lavoro, cosa il lavoratore?

Non è una domanda, è un tema sconfinato. Devo essere sintetico. Un cattivo datore di lavoro comunica, anzi impartisce, ordini. Un buon datore di lavoro comunica obiettivi. Un cattivo lavoratore si limita ad eseguire. Un buon lavoratore ci mette valore aggiunto e dà un feedback, facendo proposte migliorative. Più la comunicazione interna è funzionale e di buona qualità, meno equivoci e incomprensioni ci saranno.

Quindi comunicazione interna ed esterna in che rapporto dovrebbero essere?

Non ci deve essere soluzione di continuità tra comunicazione interna ed esterna. La tripartizione storica tra comunicazione interna, esterna e di prodotto è stata superata già da molto tempo dal concetto di comunicazione organizzativa: la comunicazione è una, non una serie di compartimenti stagni.

La comunicazione, dunque, per garantire un maggiore engagement. Cos’altro?

La risposta è, in parte, nelle cose che ho già detto prima. Ma aggiungo: non puntare solo sulla gratificazione economica del lavoratore. Altrimenti ne facciamo un mercenario che si mette al servizio di chi lo paga meglio. Riconosciamo il suo ruolo, le sue responsabilità, mettiamoci in posizione d’ascolto dei suoi feedback e delle sue esigenze. Facciamo in modo che senta l’azienda come qualcosa che è anche sua, non solo un posto dove lavorare e tirare a campare. Grandissima importanza hanno poi, con un welfare pubblico che si va sempre più riducendo, le politiche di welfare aziendale: polizza sanitaria, asilo nido, borse di studio, formazione, assistenza familiare.

Quanto spazio danno le aziende italiane ai dipendenti che vogliano comunicare nuove idee?

Il panorama è inevitabilmente variegato: ci sono quelle che lo assicurano, altre che lo negano. Negli anni 50-60 del secolo scorso le politiche interne di Olivetti e Mattei erano tra le più innovative del mondo occidentale e le più attente ai bisogni del personale, all’ascolto della persona che lavorava. Poi questo abbrivio, dopo la loro morte, si è progressivamente affievolito. Ma in epoca più recente imprenditori come Michele Ferrero, Bernardo Caprotti, Bruno Cucinelli e altri hanno dimostrato che un’azienda può essere vincente sul mercato rispettando e valorizzando costantemente tutte le persone che lavorano (manager, quadri, operai) favorendo pari opportunità, inclusione, rispetto dei diritti. E nuovi progetti.

Cinzia Ficco

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