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Maggio 18, 2024
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Il manager del futuro? Dovrà ispirarsi al Mago di Oz e creare una social organization

Ne parla Marco Minghetti, fondatore dello Humanistic management

Poche settimane fa è apparso in libreria un volume dal titolo strano: Ariminum Circus Stagione 1 di Federico D. Fellini, illustrato da Marcello Minghetti. Nelle note di retrocopertina si legge : “Una Rimini stroboscopica alla vigilia dell’Armageddon, tra androidi, ologrammi, avatar e spettrali Artisti Dannati precognitivi. Ispirato alla Popsohia di Deleuze, il volume – un po’ romanzo, un po’ saggio, un po’ graphic novel- è una metafora dei cambiamenti in atto, con la competizione tra Realtà Virtuale e quella analogica, tra macchinico e umano, tra Intelligenza Artificiale e quella naturale. L’Opera è stata segnalata per due anni consentivi (2022 e 23) dalla Giuria del Premio Calvino.

Dietro lo pseudonimo Federico D. Fellini si cela Marco Minghetti (in foto), fondatore dello Humanistic Management – che in questi giorni sta postando su LinkedIn alcuni stralci dei suoi Prolegomeni al Manifesto del Pop Management: una nuova visione della cultura d’impresa. marcominghetti.com

Ma al di là delle etichette filosofiche acchiappa like, cosa c’è di concreto e applicabile alla realtà?

“Nel 2024 – replica l’autore – cade il ventennale del Manifesto dello Humanistic Management, fondato sulla grande tradizione dell’umanesimo europeo e aperto all’apporto di ambiti che l’impresa aveva spesso considerato a sé estranei, come la filosofia, la letteratura, il cinema, il teatro, ma anche di strumenti innovativi come il networking multimediale, la business television, l’edutainment. In continuità con quel filone teorico e progettuale, oggi la cultura d’impresa attualizza, spesso inconsapevolmente, la Filosofia Pop di Deleuze, che non si limita a semplificare le domande sempiterne dell’umanità rendendole comprensibili a un pubblico di massa, ma produce nuovi paradigmi che articolano la complessità del mondo contemporaneo. Se l’azienda vuole ascoltare ed essere ascoltata dai propri stakeholders interni ed esterni, deve essere in grado di competere con tutto ciò che oggi assume le forme – i format – della Cultura Pop: un podcast, un videogioco, una serie tv, un reel. Ogni contenuto o strumento di comunicazione aziendale che richieda un’attenzione diversa giunge da un’altra epoca e lo condanna definitivamente. Le faccio un esempio. BIP, la multinazionale di consulenza di cui sono partner, ha prodotto Connected, un docu-film che racconta il viaggio sul potere trasformativo dell’Intelligenza Artificiale e sugli impatti sulla società contemporanea.

Libro di Marco Minghetti

Già vincitore del premio per la miglior regia al Western Canadian International Film Festival, Connected è distribuito da Direct To Digital sulle piattaforme Prime Video e Apple TV in 74 Paesi. Non solo: la stessa BIP, oltre al linguaggio cinematografico e narrativo, ha utilizzato anche quello dei podcast per esplorare gli impatti dell’innovazione tecnologia sulla qualità della vita, sulla professionalità e sul mercato del lavoro, con la serie Superpowers, che racconta le caratteristiche del manager moderno attraverso esperienze di personaggi e protagonisti della storia contemporanea. Oppure pensiamo alle pratiche formative: oggi sono essenzialmente basate sulla cosiddetta “gamification”, ossia l’applicazione di aspetti propri del gioco – elementi e meccaniche di gioco, tecniche di game design- a contesti non specificamente ludici, che risultano essere le più efficaci. Mi spiego meglio attraverso alcuni esempi pratici, tratti dalla mia esperienza degli ultimi anni come consulente in OpenKnowledge, Il primo che mi viene in mente; la Corporate Academy di Assicurazioni Generali che ha trasformato la formazione digitale in un momento di entertainment, sia dal punto di vista dei formati utilizzati, sia dal punto di vista della creatività e dello storytelling. Dopo aver costruito un modello di fruizione dei contenuti basato su quello di Netflix e delle più moderne piattaforme di streaming, abbiamo lavorato per catturare l’attenzione degli utenti con riferimenti culturali a loro familiari, ispirandoci alla storia del Mago di Oz, rivisitandola per rendere i personaggi, i colori, il tono di voce, adatto a un contesto multiculturale, e per permettere agli oltre 70mila utenti di tutto il mondo di riconoscersi nei protagonisti. L’obiettivo? Portare l’intera popolazione aziendale ad acquisire le competenze di base in ambito digital, in particolare quelle relative ai principali trend e cambiamenti in ambito assicurativo. E ancora, il percorso di adoption degli strumenti digitali di Edison che, come da manuali del change management, prevedeva il coinvolgimento di un gruppo di champion. Dov’è il pop? Questi champion si sono presentati ai propri colleghi in azienda con un video che replicava gli schemi e le dinamiche di una diretta Facebook. Con emoticon, commenti, live reaction. Non solo: tutte le comunicazioni di progetto, dalle DEM alle news sulla intranet, ai poster, richiamavano nella grafica e nel tone of voice i principali social media (al tempo Facebook, Twitter, Instagram, Linkedin). Terzo esempio: un videogioco ideato per Fondazione Vodafone dedicato ai cosiddetti neet, persone giovani di età, tra i 18 e i 25 anni, ma attualmente non occupate, né impegnate nello studio o altri percorsi formativi, appunto not in education, employment or training. Abbiamo proposto loro un’app, disponibile sia per iOS che per Android, con la finalità di aumentare le loro competenze digitali, stimolarli e renderli più interessati e qualificati a entrare nel mondo del lavoro utilizzando una metodologia di apprendimento basata sul gioco.​ Abbiamo creato uno storytelling che mantenesse alto il linguaggio degli utenti e allo stesso tempo gli permettesse di vivere in prima persona le avventure all’interno del gioco. Il percorso era suddiviso in diversi livelli con: o un meccanismo ad episodi ricco di contenuti sempre differenti (video, infografiche, quiz e sfide) o una community per permettere un continuo scambio alla ricerca di risorse utili per superare le prove e quindi i livelli di gioco”.

In realtà cosa c’è al centro del Pop Management ? “C’è – risponde il consulente- quella che in un mio libro di qualche anno fa definivo Intelligenza Collaborativa: risorsa indispensabile in un mondo in cui dimensione fisica e digitale sono ormai interconnesse, ci si muove verso nuovi paradigmi di lavoro ibridi e flessibili in cui il ripensamento di logiche e modelli organizzativi coinvolge, oltre che nuove tecnologie, anche fattori esperienziali, ambientali e umani.

Uno scenario fluido in cui diventa cruciale per le organizzazioni ripensare le modalità con cui le persone operano e co-operano, realizzando una social organization, basata sulla trasformazione digitale dei processi aziendali e sul passaggio da un’azienda centrata su organigrammi calati dall’alto a reti relazionali emergenti dal basso: le community. Formative, informative, di pratica o d’innovazione, interamente digitali o ibride, supportate da piattaforme diffuse come quelle M365 (come nel caso di Unipol e tantissime altre realtà) o da CMS custom, ma anche importate direttamente dal più Pop dei social media, Facebook, attraverso partnership con Meta (è il caso di Carrefour o Eni), le community sono ormai al cuore dei processi aziendali, consentono alle aziende di progettare e accompagnare la propria evoluzione culturale, abilitando logiche partecipative di inclusione, innovazione e scambio mutuate dai social e dalla cultura Pop.

V.F.

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