Le politiche retributive delle imprese possono influire sul divario salariale di genere, come mostra uno studio. Ora, se applicata correttamente, la direttiva sulla trasparenza retributiva può avviare un processo virtuoso di informazione e cambiamento.
La direttiva sulla trasparenza retributiva
La trasparenza retributiva di genere è stata inclusa come priorità chiave nella Strategia europea per la parità di genere 2020-2025. Secondo la direttiva sulla trasparenza retributiva, le aziende dell’Ue saranno tenute a condividere le informazioni su quanto pagano le donne e gli uomini per un lavoro di pari valore e a prendere provvedimenti se il divario retributivo di genere supera il 5 per cento. Sono inoltre previste disposizioni per il risarcimento delle vittime di discriminazione retributiva e sanzioni, tra cui multe, per i datori di lavoro che violano le regole.
Il dato chiave citato per inquadrare l’azione sulla trasparenza retributiva di genere è il divario retributivo di genere (non aggiustato). Secondo Eurostat, nel 2021 le donne nell’Ue hanno ricevuto salari orari in media del 13 per cento inferiori a quelli degli uomini, con grandi differenze tra il settore privato e quello pubblico, e divari più elevati nel primo. In Italia il dato si attesta al 5,5 per cento nel settore pubblico e al 15,5 per cento in quello privato. Il tasso di occupazione femminile nel terzo trimestre 2023 è stato pari a circa il 52 per cento, il più alto di sempre nel nostro paese. Il divario occupazionale di genere è comunque di quasi 19 punti percentuali, uno dei maggiori dell’intera Unione europea.
L’attenzione alle imprese e alla divulgazione di informazioni sulle retribuzioni in base al genere si spiega con la crescente evidenza empirica secondo la quale la politica retributiva delle imprese è cruciale per spiegare i livelli e le dinamiche delle disuguaglianze salariali in generale, e di quelle di genere in particolare.
Le imprese e le differenze salariali
Come possono emergere le differenze salariali di genere legate all’impresa? Per esempio, se le donne si orientano verso aziende che pagano salari inferiori o se hanno preferenze per una maggiore flessibilità, un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata o spostamenti più brevi. Possono anche emergere come conseguenza di un diverso comportamento nella ricerca di lavoro tra uomini e donne, data la diversa disponibilità di tempo, o di una discriminazione statistica nelle offerte salariali da parte dei datori di lavoro. Le differenze salariali di genere possono comparire anche all’interno delle imprese, a causa del minore potere delle donne nella contrattazione salariale, dei diversi standard di promozione tra uomini e donne o della minore crescita dei guadagni delle madri dopo il parto.
La crescente disponibilità di dati collegati tra datore di lavoro e dipendente, che registrano la storia lavorativa e retributiva dei lavoratori e le caratteristiche delle imprese che li impiegano, consente di studiare il ruolo delle imprese nel contribuire ai divari salariali di genere. Se è noto che le donne si concentrano soprattutto nel settore dei servizi, in occupazioni a bassa retribuzione e a tempo parziale o temporaneo, meno si sa delle caratteristiche delle imprese in cui sono impiegate.
Lo studio
In un recente studio, utilizzando un ampio set di dati collegati tra datore di lavoro e dipendente sull’universo dei lavoratori italiani del settore privato non agricolo tra il 1995 e il 2015, documentiamo come le politiche retributive delle imprese possano influire sul divario retributivo di genere alla media e lungo la distribuzione dei salari. Guardiamo inoltre a come si sono evolute nel tempo e come cambino per coorte. Questi aspetti non erano ancora stati esplorati e il loro studio può approfondire la nostra comprensione del ruolo delle politiche retributive aziendali nel ridurre o rafforzare la disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro.
Troviamo che le differenze nei premi salariali delle imprese rappresentano circa il 34 per cento del divario retributivo di genere medio in Italia. Nel corso del tempo, il differenziale salariale di genere si è ridotto (e questo è un buon segnale), ma il ruolo delle politiche salariali delle imprese nello spiegarlo è aumentato nel tempo, rendendo ancora più importante considerare questi aspetti quando si riflette sulle politiche. “L’effetto impresa” deriva in parte (due terzi) dal fatto che uomini e donne lavorano in aziende con caratteristiche diverse e che gli uomini sono maggiormente concentrati in imprese che pagano salari mediamente più elevati; in parte (il restante terzo) deriva dalle differenze di genere nella distribuzione di lavoratori e lavoratrici tra i vari livelli gerarchici all’interno delle imprese o nella efficacia nella contrattazione salariale.
La mobilità da impresa a impresa di uomini e donne può essere un potenziale meccanismo alla base dell’importanza delle politiche retributive aziendali? La risposta è positiva, perché le donne hanno meno probabilità degli uomini di trasferirsi in un’azienda con una politica salariale più elevata e più probabilità di trasferirsi in aziende con una maggiore disuguaglianza nei redditi di lavoro. Accade soprattutto quando i trasferimenti sono causati dalla chiusura delle imprese, il che indica che le donne possono avere opzioni esterne peggiori o reti più deboli rispetto agli uomini nella ricerca di un lavoro alternativo. Il segnale positivo è che i divari di genere nella mobilità tendono a diminuire nelle coorti e negli anni più recenti.
La trasparenza retributiva non risolverà in modo automatico i complessi processi che generano il divario salariale di genere. Ma, se applicata correttamente, può attivare un processo virtuoso di informazione, conoscenza e analisi dei dati, delle scelte che li originano e, in ultima analisi, può determinare un cambiamento. Recente evidenza empirica su Canada e Regno Unito, che già applicano una normativa sulla trasparenza salariale, ne mostra l’efficacia nella riduzione del differenziale retributivo di genere (tramite una contrazione nella crescita dei salari maschili) quando le informazioni sono aperte al pubblico invece che unicamente ai rappresentanti sindacali all’interno delle imprese.
Alessandra Casarico – Professoressa di Scienza delle finanze all’Università Bocconi.