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Maggio 19, 2024
FocusManagement

Un senso a questa azienda, che sia condiviso, autentico e coinvolgente

Rosario Sica, fisico cibernetico, parla di purpose nel suo nuovo libro (Guerini)


Voglio trovare un senso a questa azienda, perché un senso questa azienda ce l’ha.

E’ riprendendo e rimaneggiando un vecchio pezzo di Vasco Rossi che si trova l’obiettivo dell’ultimo libro di Rosario Sica (in foto) pubblicato di recente da Guerini e intitolato: Il valore del purpose.  

In poco meno di 170 pagine, il fisico cibernetico di formazione, specializzato nei processi di trasformazione digitale, attualmente partner di Bip e amministratore delegato di OpenKnowledge, di cui è stato fondatore nel 2008, sembra guidare imprenditori e manager in un viaggio non si sa quanto spericolato, ma necessario: quello alla scoperta della stella polare di un’azienda.

Un dovere nei confronti dei cosiddetti stakeholder, un passo utile per la sopravvivenza dell’impresa, in un’epoca in cui si invoca sempre maggiore attenzione all’impatto sociale e ambientale delle organizzazioni.

Il purpose, a detta di Sica, che insegna in varie Università in Italia e all’estero, va oltre l’identità aziendale, non si identifica con la CSR e si concentra sul perché una organizzazione esiste.

“E’ una forma estremamente profonda e motivante di energia – scrive- che corrisponde all’anima di una azienda e come tale può attrarre e animare clienti e dipendenti, che sia espressa in modo esplicito o tacita. L’azienda, che definisce e persegue  in modo autentico  il suo purpose, non solo raggiunge risultati migliori, ma si predispone ad una durata più profittevole ed estesa nel tempo in accordo con l’ambiente circostante”.

E’ necessario individuarlo e adottarlo in modo consapevole. Ma trovarne uno in cui tuti si riconoscano, non è facile.

Nel testo l’autore indica gli strumenti per il purpose con tanto di “ruota degli archetipi” e di “architettura”  per creare e aggiornare il purpose, il quale, come si legge in un articolo recente su Harvard Business Review, deve essere “autentico, credibile, rilevante, coinvolgente”.

Non è un dovere averlo, ma leggendo le esperienze riportate nel libro, di Marina Salamon, Elena Zambon, Chiara Aluffi Pentini, Carlo Alberto Pratesi e Serena Porcari, si comprende quanto alla fine possederlo significhi avere chiari il dove, il con chi, il per cosa e il come un’organizzazione possa arrivare alla meta.

Come distinguere purpose, mission e vision?

Per fare un esempio semplice, pensiamo a un’azienda che operi nel settore energetico. I tre concetti potrebbero funzionare così. Purpose: “Esistiamo per rendere il mondo più pulito”. Mission: “Offriamo impianti sempre più intelligenti”. Vision: “Tra cinque anni puntiamo a essere tra i primi 10 in questo campo”.  Mancando il primo concetto, la forza motivazionale dell’organizzazione risulterebbe molto inferiore.

Non è uno specchietto per le allodole? Prima le aziende lo ignoravano?

Al di là di alcune prese di posizione anticipatrici, di purpose si è iniziato a parlare alla  svolta del millennio. Il tema è diventato poi sempre più rilevante negli anni recenti. In precedenza le aziende parlavano di valori, nonché di mission e vision. Non penso che si tratti di uno specchietto per le allodole o di una trovata di marketing. Porsi la questione del perché un’azienda esiste è una scelta che, se presa sul serio, può davvero supportare l’adozione di migliori decisioni strategiche.

Come si può rendere il purpose in modo grafico in un brand?

Il purpose non è un elemento grafico, ma una costruzione concettuale. Tuttavia, una volta creato, si può scegliere una grafica che lo esprima al meglio, considerando i valori aziendali e la direzione evolutiva dell’azienda.

Come nasce e, soprattutto, quando nasce un purpose?

Ogni impresa nasce per una ragione, ma con l’andare del tempo questa si può perdere per strada. Il Purpose ha a che fare coi valori, ma non coincide con loro. Lo stesso vale per mission e vision. Mettere a fuoco il proprio purpose è un impegno e per riuscirci un’organizzazione deve fare un lavoro di auto-analisi tutt’altro che banale, che può prendere del tempo.

Alla sua creazione, dice, possono partecipare anche i dipendenti.

Alla creazione del purpose devono partecipare i dipendenti, altrimenti sarà molto più difficile metterlo in atto nella vita dell’impresa. Anche nelle situazioni in cui esso è ideato al vertice, il coinvolgimento degli employee è fondamentale. Non è affatto un’utopia e in Italia numerose imprese hanno saputo fare questo passo.

Purpose e tecnologia

Si influenzano in modo reciproco. Ed è intuitivo il motivo. Da un lato, se il purpose traccia la direzione strategica che l’azienda deve prendere, è ovvio che la tecnologia vada selezionata per rendere possibile il raggiungimento di tali obiettivi generali. Dall’altro lato, la tecnologia plasma il modo in cui il purpose può essere implementato, ad esempio, supportando in forme sempre più sofisticate la comunicazione, la collaborazione e il lavoro di squadra tra i dipendenti.

Ogni quanto tempo e come controllare che tutti perseguano lo stesso purpose?

Non c’è una ricetta fissa. E nemmeno una prassi di controllo codificata. Il purpose attiene alla sfera del senso e della cultura, quindi, analogamente ai valori, deve vivere nei processi, nelle attività e nelle interazioni quotidiane. Ogni tanto comunque tastare il polso e la testa della popolazione aziendale con qualche forma di survey può essere utile.

E’ il mercato che decide se il pupose scelto è quello giusto?

Un’organizzazione può capire se ha identificato il purpose giusto dal successo della sua azione nel mercato, ma anche dalla capacità di motivare e soddisfare i suoi stakeholder.

Un flash sugli archetipi. Ne individua 12.

Gli archetipi sono uno strumento molto interessante per aiutare le imprese a individuare correttamente il proprio. Per sceglierlo occorre un attento percorso di riflessione e analisi, esteso a tutti i livelli aziendali.

Un purpose si può cambiare nel corso degli anni?

Quello della durata del purpose è un tema di dibattito. Da un lato è meglio che abbia una sua permanenza, riflettendo i motivi profondi per cui un’organizzazione esiste. Dall’altro, può essere opportuno farlo evolvere se qualcosa nell’impresa stessa o nel contesto in cui vive è cambiato. A seconda delle circostanze, la comunicazione del purpose può fare uso di tutti gli strumenti della comunicazione interna ed esterna. Ma forse lo strumento più valido è il passaparola tra gli employee.

Cinzia Ficco

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