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Luglio 25, 2024
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Napoli: questa di (E.) Marinella (cravatte) è la storia vera

A raccontarcela è Alessandro, pronipote del fondatore del negozio, frequentato da Totò ed Eduardo De Filippo


Per Totò era diventata una scuola dove insegnare come annodare un papillon, per Eduardo de Filippo un grande conforto dal freddo che proprio non sopportava – dato  che lì trovava mutandoni e magliette di lana da indossare sul palco a teatro – mentre Trump, all’epoca non ancora presidente degli States, voleva creare un suo gemello nella Trump tower, ma dai titolari ebbe un secco no.

Questa è la storia dello storico negozio E.Marinella che nei suoi 109 anni di vita, di corteggiatori ne ha avuti tantissimi. Persino brand del lusso francese.

“Il negozio è rimasto a Napoli e appartiene ai napoletani – racconta Alessandro – perché nonno e papà, concordano con me, non si può vendere un sogno. E infatti non hanno mai venduto l’attività di famiglia. Si immagini che all’ex presidente Trump hanno risposto in una lettera che le cose grandi si possono fare anche restando qui. Anzi, soprattutto rimanendo in questa città”.

E quando Alessandro, pronipote del fondatore dell’azienda, famosa al mondo per le sue cravatte, dice qui, allude ad un negozio di 20 metri quadrati (quello storico, a cui solo alcuni anni fa si sono aggiunti  100 metri quadrati dislocati su un altro piano dello stesso edificio) che, secondo una società di consulenza americana, risultava anni fa il secondo al mondo per rapporto spazio/fatturato più sbilanciato al mondo. È sorprendete che un luogo così piccolo, riesca ad essere il cuore di un’azienda. Addirittura, secondo un’indagine condotta in Campania, la E.Marinella rappresenta la città di Napoli al quarto posto, dopo Maradona, ma prima di San Gennaro.

E.Marinella apre il 26 giugno del 1914 in via Riviera di Chiaia grazie al bisnonno di Alessandro (28 anni) e il suo nome è famoso in tutti i continenti perché evoca stile, eleganza, ricercatezza.

“Il negozio nacque da una geniale intuizione – ci dice Alessandro – quella di anticipare la globalizzazione dell’eleganza. Il negozio doveva rappresentare un angolo di Regno Unito nel mondo, perché all’epoca l’uomo elegante vestiva all’inglese, la donna raffinata alla francese. Così il mio bisnonno iniziò ad importare abiti, e cappotti inglesi. Fu dura sotto il fascismo, quando non si poteva né parlare né vestire all’inglese. Le targhette in ottone esposte all’esterno del negozio, su cui c’erano due espressioni inglesi (shirtmaker e outfitter) furono fuse perché servirono per creare armi nella seconda guerra mondiale”.

Poi è stato un passaparola continuo ed un’ascesa che li ha portati ad avere 52 dipendenti, fatturare 14 milioni di euro, e a produrre tra le 80 e le 90 mila cravatte l’anno.

“Il presidente Cossiga – ricorda Alessandro – amava molto le nostre cravatte e le indossava con orgoglio. Silvio Berlusconi ne comprava almeno 3mila l’anno e le regalava. Abbiamo fornito tutti i Presidenti della Repubblica italiana e tutti quelli degli Stati Uniti dai Kennedy in poi. Per non parlare di altri politici, uomini dello spettacolo, della cultura”.

Come si fa a resistere sul mercato dopo 109 anni ed essere arrivati alla quarta generazione?

“Abbiamo cercato di trovare un equilibrio fra tradizione e innovazione – ci dice Alessandro, che si occupa di digitalizzazione dei processi produttivi e affianca suo padre che gestisce gli aspetti commerciali – Apriamo alle 6.30 ogni mattina, come si faceva agli inizi, quando, dopo la loro passeggiata a cavallo, i nobili facevano la colazione al bar accanto e poi venivano ad acquistare da noi. Continuiamo ad essere un salotto, un luogo di incontro per molti clienti. Stampiamo ancora a mano le sete delle nostre cravatte mentre la maggior parte delle aziende lo fanno in digitale. Ma abbiamo ammodernato la produzione e il prodotto. I colori che utilizziamo sono vegetali, a basso impatto ambientale. Inoltre nelle nostre cravatte c’è un chip che garantisce trasparenza ai clienti – poiché contiene dati sull’origine del tessuto e su chi l’ha lavorato – e a noi informazioni preziose per la produzione. Inoltre non abbiamo avuto conflitti per il passaggio generazionale, che è stato molto morbido. È stato un passaggio molto naturale, di padre in figlio.”

Marinella vende il 60 per cento in Italia, il 30 all’estero tramite i suoi negozi monomarca, uno a Londra, due a Tokyo e cinquanta piccoli distributori nel mondo. Solo tre anni fa ha introdotto l’e-commerce che rappresenta il 30 per cento del fatturato.

Marinella, però, non è solo cravatta.

“Puntiamo al total-look – ancora il pronipote del fondatore – sia per il maschile che per il femminile. Facciamo anche capispalla, cappotti e scarpe su misura, realizziamo accessori, sciarpe, papillon, fazzoletti da taschino, foulard, ascot, svuota tasche e ci stiamo attrezzando per realizzare camicie e pantaloni, giacche anche per le donne.”

Una cravatta alla Presidente Meloni? “Non abbiamo ancora omaggiato la presidente, ma lo faremo. Se prima la cravatta serviva solo come accessorio imprescindibile per andare al lavoro, oggi è sinonimo di colore, luce e stile. E per un accessorio così c’è ancora futuro”.

Cinzia Ficco

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