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Ottobre 31, 2024
Diritto

Patto di famiglia, regole e trattamento fiscale


IL patto di famiglia

Se l’imprenditore non provvede per tempo a pianificare il passaggio generazionale, i problemi possono sorgere in un momento inaspettato e senza preavviso, ed essere allineati alle disposizioni testamentarie o alle previsioni della c.d. successione legittima, quella che si apre in mancanza di testamento.

Tutti i beni mobili ed immobili del de cuius vengono ereditati sulla base del testamento o nelle quote di legge, ottenendosi, così, un effetto di disgregazione del bene azienda, il quale risulterà di proprietà dei soggetti che sono succeduti, eventualmente anche frazionato, in una sterile commistione di interessi diffusi.

Vi saranno gli interessi dei soggetti che vorranno continuare la gestione dell’impresa di famiglia, ma occorrerà – come facilmente intuibile – adattare la suddivisione tra proprietà e gestione, considerato che sarà rara o quasi impossibile la circostanza di una suddivisione che rispetti queste volontà dei superstiti.

Ipotizziamo, per esemplificare, molto linearmente, che il de cuius fosse titolare di un patrimonio di 1000 e che avesse lasciato in eredità 333 al coniuge e 333 a ciascuno dei due figli (in assenza di testamento). Se solo uno dei figli fosse interessato alla gestione dell’impresa, egli si troverebbe nella insolita posizione di essere proprietario – comunque vada – del solo 50% dell’azienda, unitamente al fratello (nel nostro esempio ipotizzato come disinteressato alla continuazione dell’impresa familiare).

Risulta evidente che meglio avrebbe fatto il defunto a redigere un testamento che quantomeno, a prescindere di altro, avesse lasciato la proprietà dell’intera azienda al figlio interessato, il quale, verosimilmente, già ci lavora, magari con un incarico gestionale di vertice, quale amministratore o direttore generale.

Se l’imprenditore già in vita predisponesse un apparato giuridico che assicurasse linearità nel passaggio generazionale, prima o dopo la sua morte, avrebbe compiuto un passo lungimirante, quantomeno sotto il profilo strategico, evitando di lasciare alla legge il compito di sgretolare i beni di famiglia, azienda inclusa.

In questi termini, l’imprenditore dovrà mettere mano alla questione familiare con una certa lungimiranza, oltremodo lasciandosi aiutare dai consulenti di propria fiducia o, in mancanza, da consulenti reclutati ad hoc, quali il commercialista, il notaio, l’avvocato e, last but not least, il professionista psicologo esperto in family business, in grado di facilitare le peculiari dinamiche emotive e relazionali che si sviluppano all’interno di una Famiglia-Azienda, il quale avrà il compito, forse il più importante, di percepire i desiderata di tutti i soggetti coinvolti, i quali, cedendo un po’ di “sovranità”, dovranno confrontarsi con se stessi e con gli altri, in modo da assicurare o da raggiungere una piena armonia e tranquillità, nella misura necessaria a fare in modo che il processo di avvio abbia delle solide basi di disponibilità ed accettazione da parte soggetti coinvolti.

Già redigere un testamento improntato ad una suddivisione del patrimonio in linea con la pianificazione del passaggio, costituisce un atto di responsabilità da parte dell’imprenditore, ma ha il lato negativo di non poter disporre e disciplinare l’attività dell’azienda nel periodo compreso tra le scelte testamentarie e quello della scomparsa del testatore.

Profili fiscali

A distanza di due anni da un arresto del 2018 (Cass. 32823/2018), la Cassazione è ritornata sui suoi passi. Con sentenza Cass. 29506/2020, infatti, la stessa ha affermato che le liquidazioni dei legittimari sono equiparate a donazioni effettuate dal disponente a costoro. In questi termini, la successiva giurisprudenza di merito ha seguito la linea della Suprema Corte, di recente con la decisione n. 129/2/2023, depositata l’8 marzo 2023, della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Firenze.

La Cassazione nega che alle predette liquidazioni sia ipotizzabile di applicare l’esenzione di cui all’art. 3, comma 4 ter, del d.lgs. 346/1990. Dette compensazioni dovranno essere tassate come liberalità effettuate dal disponente e non dall’assegnatario dell’azienda che materialmente le opera.

Ciò comporta vantaggi non trascurabili. Se l’assegnatario deve liquidare un fratello, in luogo della aliquota del 6% con una franchigia di centomila euro, troverà applicazione la aliquota del 4% con la franchigia di un milione di euro.

Nella vicenda portata all’attenzione della giurisprudenza il disponente aveva trasferito, mediante patto di famiglia, al figlio (legittimario assegnatario) la partecipazione di controllo di una società e quest’ultimo aveva liquidato alla sorella (legittimaria non assegnataria) la somma corrispondente al valore della quota di legittima. L’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di rettifica e liquidazione relativo al pagamento della somma di denaro erogata dal fratello in favore della sorella, applicando a tale pagamento l’aliquota del 6% prevista per le donazioni tra fratello e sorella, al netto di una franchigia di 100.000 euro.

I contribuenti contestavano, tuttavia, che a tale liquidazione avrebbe dovuto applicarsi l’aliquota e la relativa franchigia sulla base del rapporto di parentela tra disponente e legittimaria non assegnataria (padre – figlia), corrispondente ad una minor aliquota del 4% con maggiore franchigia di 1.000.000 di euro. La Commissione Tributaria Provinciale aveva dato ragione ai contribuenti i quali, risultati perdenti in grado di appello, proponevano apposito ricorso per Cassazione.

In conclusione, in materia di tassazione del patto di famiglia, è necessario distinguere tra:

• l’attribuzione fatta dall’imprenditore al legittimario assegnatario (della azienda o ramo di essa, delle azioni o partecipazioni societarie) che può beneficiare dell’esenzione di cui all’art. 3, comma 4 ter, del d.lgs. 346/1990 (cfr. AE, circolare 3/E del 22.1.2008); e

• la liquidazione della quota di legittima fatta dal legittimario assegnatario ai legittimari non assegnatari, che è assoggettata all’imposta sulle donazioni (cfr. AE, circolare 3/E del 22.1.2008 e 18/E del 29.5.2013) applicando aliquote e franchigie che intercorrono nel rapporto tra imprenditore/donante e legittimario non assegnatario; o

• la rinuncia alla liquidazione della quota fatta dal legittimario non assegnatario, che in quanto rinuncia a titolo liberale senza effetti traslativi è soggetta alla sola imposta di registro in misura fissa, dovuta per gli atti privi di contenuto patrimoniale (cfr. AE, circolare 3/E del 2008).

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19561/2022, depositata il 17 giugno, ha ribadito la propria posizione in tema di imposizione indiretta delle compensazioni nel patto di famiglia.

L’esenzione prevista dall’art. 3, comma 4-ter, d.lgs. 346 del 1990 – Testo unico sulle imposte di successione e donazioni – secondo il quale i trasferimenti a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti ad imposta se attraverso tale trasferimento viene acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile c.c., si applica al patto di famiglia solo con riguardo al trasferimento dell’azienda e delle partecipazioni societarie in favore del discendente beneficiario, non anche alle liquidazioni operate da quest’ultimo in favore degli altri legittimari.

Pasquale Dui

Avvocato in Milano

Professore a contratto nell’Università di Milano Bicocca

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