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  • Come cambia la comunicazione nelle imprese

    Come cambia la comunicazione nelle imprese

    Parla Federico Frasson, managing director di Fkdesign, autore di un libro (Fausto Lupetti editore)


    Il costante cambiamento dell’economia stravolge il ruolo della comunicazione. Se la società si trasforma velocemente anche i mercati devono rivedere il loro paradigma. E su questo scenario domina in maniera indiscussa la tecnologia, facilitando profondi mutamenti sociali ed economici.

    Le imprese dialogano all’interno di un mercato in trasformazione che quotidianamente si adegua alle nuove istanze dei consumatori. E nel mezzo troviamo le marche. Le imprese non vendono solo il prodotto oppure il servizio, bensì un insieme di valori su cui impegnarsi: sostenibilità ambientale, salute mentale, inclusività, benessere sociale. E da questo scenario economico e sociale emerge una chiara necessità: la transizione è costante e per muoversi tra le complessità è necessario un orientamento. Un’analisi approfondita è contenuta nel libro Marca Polare di Federico Frasson – Orientarsi nelle transizioni del nostro tempo con la voce autorevole di 25 esponenti della comunicazione italiana Fausto Lupetti Editore – pagine 360 – euro 25. Federico Frasson, managing director di Fkdesign, ha costruito le fondamenta sul campo con una lunga esperienza come Art Director in diverse agenzie; lavora al fianco delle piccole e medie imprese del Nord-Est. Per ogni azienda crea processi di analisi e strategie che definiscono il posizionamento e l’identità di marca. In ogni progetto di comunicazione il suo obiettivo è sempre alto come una stella: migliorare le performance aziendali nel medio e lungo periodo.

    Con Federico Frasson vogliamo approfondire le diverse sfaccettature del cambiamento della comunicazione nelle imprese.

    Qual è la differenza tra marchio e marca?

    «La marca è qualcosa che va oltre il semplice logo o il nome di un’azienda: rappresenta un insieme di valori, storia e relazioni con il pubblico. Una specifica associazione mentale maturata nei consumatori che rappresenta un’identità e un’appartenenza. Il termine marca affonda le sue radici nella cultura e nella tradizione, rendendola un punto di riferimento autentico per i consumatori e capace di prendersi carico dei valori a loro cari. Il marchio, invece, è spesso inteso come un insieme di elementi grafici distintivi che permettono a un’azienda di differenziarsi nel mercato. Essere una marca non significa essere grandi o famosi. Essere una marca è una necessità, significa possedere una personalità autonoma rispetto al prodotto o servizio che l’azienda vende».

    Che ruolo assume la tecnologia nella comunicazione delle imprese?

    «La tecnologia ha trasformato il mondo della comunicazione, moltiplicando i media e rendendo necessari nuovi linguaggi. Oggi i punti di contatto con gli utenti sono sempre più variegati e legati anche al mondo digital, il quale presuppone competenze tecniche molto specifiche e in continua evoluzione. Le aziende hanno la necessità di rimanere aggiornate per mantenere la propria rilevanza e autenticità. La tecnologia accompagna la marca creando nuove esperienze personalizzate, migliorando l’interazione con i consumatori e adattandosi rapidamente ai cambiamenti del mercato».

    Quali suggerimenti vorrebbe consigliare agli imprenditori?

    «Un suggerimento che vorrei dare agli imprenditori è quello di non pensare che conti solo il prodotto per la soddisfazione del cliente. Oggi anche i valori che una marca porta con sé possono fare la differenza per la creazione di valore. Per questo motivo Fkdesign lavora all’ obiettivo di costruire marche con solide fondamenta basate su quattro pilastri fondamentali: la rilevanza, ovvero la capacità di rispondere ai bisogni reali del mercato; la credibilità per riuscire a mantenere la fiducia del pubblico attraverso coerenza e autenticità, la distintività per emergere con un’identità unica e chiara e aggiungiamo anche l’attivismo per evolversi continuamente e incarnare valori che risuonino con il pubblico».

    Marca Polare, il nuovo libro di Federico Frasson

    Il cambio di paradigma economico in che modo influenza la comunicazione delle imprese?

    «Il cambio di paradigma economico influenza profondamente la comunicazione delle imprese in diversi modi, poiché le aziende devono adattarsi a nuove logiche di mercato, a mutamenti sociali e tecnologici, e a nuove aspettative da parte dei consumatori. Con l’avvento dell’economia digitale e della globalizzazione, le imprese non possono più limitarsi a comunicare in modo unidirezionale (dall’azienda al consumatore). Oggi la comunicazione è interattiva e bidirezionale, con i social media e le piattaforme digitali che permettono un coinvolgimento diretto dei clienti. Infatti una marca oggi non deve stare solo nel mercato, ma anche nella società. Sempre di più la marca non è solo di chi la crea, ma è delle persone che nei diversi touchpoint ne parlano, ne discutono, la amano, la odiano, la difendono, la stimano e ne diventano anche amplificatori. Di conseguenza, i valori sociali e ambientali stanno diventando sempre più una variabile competitiva, abbracciando tematiche affini alla sostenibilità, all’inclusività, all’accessibilità e così via».

    Come creare una marca di successo utilizzando l’AI?

    «L’AI è un potente strumento per automatizzare, ottimizzare e perfezionare la creatività e l’operatività della comunicazione, ma l’unicità di una marca nasce dai valori, dalle storie, dalle emozioni e quindi la creatività umana fa la differenza. L’AI può aiutare ad analizzare il mercato, identificare trend e comprendere il pubblico target, ma tutto deve partire sempre da un insight, da un’idea e una strategia che sappiano considerare le prospettive future, che siano capaci di permettere alla marca di raggiungere la propria mission e seguire con coerenza la propria vision, guardando al futuro e non solo a dati del passato. L’AI può inoltre generare testi, immagini e video, ma senza una direzione creativa umana rischia di produrre contenuti standardizzati. Una marca di successo utilizza l’AI come timone, non come bussola».

    Francesco Fravolini

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  • Libri: le proposte di Aziendatop

    Libri: le proposte di Aziendatop


    “PRINCIPI DI CYBER SECURITY. Gestire i rischi e proteggersi dalle minacce” , di Jessica Barker, tradotto da Elisa Tomassucci. FrancoAngeli, editore

    “Perché mai dovrei essere un bersaglio? I miei dati non interessano a nessuno!” Ecco una delle cinque affermazioni che l’autrice inserisce in apertura definendole senza mezzi termini totalmente false. Contestualmente alla Giornata Mondiale per la Sicurezza in Rete, il Safer Internet Day, che quest’anno cade martedì 11 febbraio, esce in Italia l’edizione aggiornata di un libro la cui lettura Kevin Magee, Chief Security Officer di Microsoft Canada, giunge a definire “imperativa”.

    È infatti ormai una necessità di chiunque, non solo delle aziende, proteggersi dagli attacchi informatici, e il primo passo per ottenere dei risultati efficaci è comprendere le basi della cyber security. È ciò che invita fare questo testo, che spiega in modo chiaro come mantenere al sicuro le informazioni, evitare di diventare obiettivi facili e difendere individui, organizzazioni e reti istituzionali. In questa nuova edizione, trovano spazio tematiche oggi sempre più rilevanti, quali i deepfake, l’intelligenza artificiale e la tecnologia blockchain.

    “SEI FELICE AL LAVORO? Una guida psicologica per trovare il lavoro che fa per te” di Tessa West, tradotto da Carlotta Vacchelli. FrancoAngeli editore

    Le persone infelici sul lavoro parlano come chi si trova in crisi con il partner: è quanto si è svelato agli occhi di Tessa West, docente di Psicologia alla New York University, nelle migliaia di interviste effettuate. Non solo: le ragioni indicate per descrivere questo stato d’animo mostravano sentimenti profondi inediti per questo tipo di ricerca. C’era qualcosa di più che capi malvagi, carichi stressanti e collaboratori irritanti…

    L’autrice ha individuato cinque tipologie di frustrazione professionale (crisi d’identità, deriva, esaurimento, sensazione del “secondo classificato” e sindrome del “genio incompreso”) e – anche con l’aiuto di test di autovalutazione – in questo libro accompagna il lettore lungo un percorso per interrogarsi e agire prima di procedere verso il lavoro più giusto per la propria felicità.

    “SUPERBONUS – COME FALLISCE UNA NAZIONE”, di Luciano Capone, giornalista (Il Foglio) e Carlo Stagnaro (Istituto Bruno Leoni). Rubbettino editore

    Perché scrivere o leggere un libro dedicato al Superbonus? La prima e più importante risposta è che il Superbonus rappresenta il più colossale esempio di politica industriale dell’intera storia Repubblicana. Anzi: è probabile che nessun Paese al mondo abbia mai sperimentato nulla di vagamente comparabile. Nel periodo della sua applicazione – cioè nel triennio 2021 -2023 il Superbonus è costato circa 160 miliardi di euro. Se guardiamo all’insieme dei bonus edilizi, il costo complessivo sale a 220 miliardi, corrispondenti a circa l’11% del Pil dell’anno mediano (2022). Il Superbonus è costato più di quello che si pensava, ha reso meno e ha avuto un impatto ridotto anche dal punto di vista ambientale. Il Superbonus  ha drenato risorse pubbliche cinque volte rispetto a quelle stimate, producendo insieme agli altri bonus edilizi un buco nel bilancio di 150 miliardi di euro (7,5% del Pil). Ha usufruito delle agevolazioni fiscali un numero limitato di immobili (circa 500 mila, il 4% del totale), con un beneficio ambientale, in termini di consumi energetici e minori emissioni di Co2, assai inferiore alle previsioni. Nonostante questo il Superbonus è forse uno dei provvedimenti che hanno goduto del più ampio sostegno politico della storia recente. Solo l’Ufficio parlamentare di bilancio ha tentato, invano di richiamare l’attenzione di quello che stava accadendo. Nel febbraio 2024, l’esecutivo ha tracciato uno stop tombale al Superbonus, varato nel maggio 2020, nel pieno della pandemia.

    OTTENERE TUTTO – I SEGRETI DELLA NEGOZIAZIONE DAL MONDO DELLO SPIONAGGIO”, di Jeremy Hurewitz, giornalista, consulente strategico della società di intelligence aziendale Interfor International. Apogeo editore

    Le spie non sono quello che pensiamo. Più che in inseguimenti in auto e scontri a fuoco, sono esperte nella costruzione e nello sviluppo di relazioni. Dotate di grande intelligenza emotiva, coltivano la capacità di influenzare persone provenienti da ambienti diversi. Imparare queste abilità è possibile e utile anche per la carriera e la vita di tutti i giorni.

    Basandosi su interviste e aneddoti dal mondo dell’FBI, dei servizi segreti, delle forze speciali militari e di altre agenzie governative, l’autore illustra strategie di comunicazione e tattiche per entrare in contatto più rapidamente e profondamente con chi ci sta di fronte. Dall’incrocio di esperienze e approcci derivati dal mondo delle vendite e dell’intelligence scaturisce l’opportunità di applicare metodi fuori dagli schemi per persuadere gli interlocutori e concludere accordi desiderati. Nella sfera professionale e in quella personale, ottenere tutto è possibile.

    La Redazione

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  • Come trasformare i dipendenti in Brand Ambassador?

    Come trasformare i dipendenti in Brand Ambassador?


    I primi influencer di un’organizzazione? I suoi dipendenti.

    La comunicazione tradizionale è sempre meno efficace. In un mondo saturo di messaggi pubblicitari, tutte le aziende competono per l’unica risorsa davvero scarsa: l’attenzione del pubblico.

    I contenuti delle pagine aziendali sui diversi social network riscuotono sempre meno successo in termini di numero di visualizzazioni e interazioni per due motivi principali:

    • Penalizzazione algoritmica: gli algoritmi dei social network tendono a penalizzare la visibilità dei contenuti aziendali, mostrandoli a un numero ridotto di persone.
    • Percezione dei contenuti: spesso i contenuti aziendali appaiono freddi e impersonali, risultando meno coinvolgenti.

    Le persone, inoltre, preferiscono interagire con altre persone, non con generiche aziende o brand, sia in ambito B2B che in ambito B2C e i dipendenti in questo senso possono giocare un ruolo chiave nell’umanizzare l’azienda.

    Il ruolo dei dipendenti nella percezione aziendale

    La percezione che un cliente ha di un’azienda è determinata per il 70% dall’esperienza diretta con i suoi dipendenti. Questa percezione si forma non solo durante gli incontri fisici, ma anche attraverso le interazioni online. Per questo motivo, tutti i collaboratori possono contribuire in modo significativo ad accrescere la conoscenza, l’immagine e la reputazione dell’organizzazione

    I dipendenti parlano già della propria azienda a familiari e amici, sia offline che online:  oltre il 50% infatti condivide spontaneamente contenuti aziendali sui social network.

    Questo li rende un potente strumento di comunicazione, capace di amplificare visibilità e credibilità.

    In altre parole, ciascuno di loro è un potenziale Employer Brand Ambassador (o Corporate Influencer), perché il loro racconto vale più di molti messaggi istituzionali

    Chi è un Employer Brand Ambassador?

    Il Brand Ambassador è un dipendente che si fa portavoce dell’azienda, contribuendo alla sua visibilità attraverso storie autentiche che si integrano con le attività di comunicazione corporate. Grazie al potere della rete e dei social network, i messaggi dei dipendenti raggiungono un pubblico più ampio rispetto ai canali ufficiali dell’azienda e sono percepiti come più autentici e credibili.

    Come trasformare i dipendenti in Brand Ambassador

    Chiunque all’interno dell’azienda può diventare Brand Ambassador, ma è fondamentale un percorso strutturato che preveda:

    • Valorizzazione del ruolo: i dipendenti devono sentirsi apprezzati e sapere che il loro contributo è importante.
    • Formazione specifica: per comprendere le dinamiche del web e l’uso dei social network in modo professionale.

    Coinvolgere i dipendenti in un percorso per trasformarli in Brand Ambassador presenta numerosi vantaggi sia per le persone che per l’azienda:

    • I dipendenti si sentono valorizzati, migliorano la propria reputazione digitale e acquisiscono nuove competenze. 
    • L’azienda accresce la sua visibilità, credibilità e reputazione nei confronti di pubblici diversi, interni ed esterni: candidati, clienti, fornitori e altri stakeholder.
    • Il pubblico è esposto a messaggi più autentici e personali, che favoriscono lo sviluppo di relazioni più solide con l’organizzazione.

    Ogni azienda può farlo

    Ogni tipo di azienda può decidere di investire sui dipendenti per trasformarli in Brand Ambassador: lo possono fare start up o realtà di piccole dimensioni, dove spesso i budget di comunicazione sono ridotti, ma lo possono fare anche aziende di grandi dimensioni, per accrescere la credibilità del brand grazie a storie autentiche.

    Ogni organizzazione, inoltre, dalle aziende private, agli studi associati, alle università, fino alle associazioni no-profit, può portare avanti progetti di questo tipo: le persone sono infatti interessate a conoscere e approfondire il cosiddetto dietro le quinte e i dipendenti rappresentano un canale privilegiato per raccontarlo.

    Il mio contributo

    Da anni supporto organizzazioni e aziende di diverse dimensioni e settori nella creazione di programmi strutturati per trasformare i dipendenti in Brand Ambassador. Questo include percorsi di formazione personalizzati, strategie di coinvolgimento e supporto operativo per garantire messaggi autentici e credibili.

    Autenticità e volontarietà: i pilastri del successo

    Per funzionare, questi progetti devono basarsi sull’autenticità e sulla volontarietà. Solo dipendenti realmente motivati possono generare messaggi credibili e coinvolgenti. Forzare la partecipazione rischia di ottenere l’effetto opposto: comunicazioni che risultano tanto artificiali quanto le classiche pubblicità.

    I programmi più efficaci coinvolgono i dipendenti su base volontaria, creando una sinergia tra le loro storie personali e la strategia dell’azienda. Il risultato? Una comunicazione che non solo funziona, ma crea connessioni autentiche.

    Stefania Boleso

    Formatrice e consulente aziendale nelle aree del marketing e della comunicazione,
    nel 2016 ha creato Trademark-You, realtà che collabora con le aziende per sviluppare strategie di Employer Branding su misura. Dal 2011 professoressa a contratto presso l’Università Cattolica, dove insegna marketing e comunicazione di marca in corsi di laurea magistrale, triennale e master. 

    www.linkedin.com/in/stefaniaboleso

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  • “Comunicare non è promuoversi, ma spingere all’azione. Sbagliato affidarsi a un marketing manager”

    “Comunicare non è promuoversi, ma spingere all’azione. Sbagliato affidarsi a un marketing manager”

    Così, Carlo Occhinegro, head of PR di Startup Geeks, il più grande incubatore di startup in Italia


    Comunicazione esterna: “E’ sempre bene curarla sin dai primi momenti di vita di un’azienda. In futuro? Dovrà raccontare sempre più lo stato di salute di un’impresa nel mercato di riferimento”.

    Ne è convinto Carlo Occhinegro, che da 10 anni si occupa di pubbliche relazioni, in particolare di quelle di startup innovative, ed è head of PR di Startup Geeks, il più grande incubatore di startup in Italia, di cui cura le strategie di PR con un team composto da quattro giornaliste e professioniste della comunicazione.

    Con lui, che ha curato la prefazione del testo edito da Il Sole 24 Ore “Forte e Chiaro” sul ruolo delle PR negli ultimi anni, parliamo di come la comunicazione esterna si evolverà e di come prepararsi alle trasformazioni.

    Carlo, la comunicazione assumerà un ruolo diverso in futuro e quanto un’azienda dovrà investire rispetto al proprio fatturato?

    La comunicazione esterna è sempre di più una delle colonne portanti della vita di un’impresa. L’investimento in comunicazione esterna può essere diverso a seconda dello stato di vita dell’azienda, ma si deve investire in comunicazione esterna subito. Il mercato, soprattutto quello delle startup, è competitivo ed è importante trasmettere la propria visione e ciò che si porta sul mercato. Le PR aiutano proprio a fare questo: essere visibili ed essere rilevanti.

    Come dovrà diventare la comunicazione esterna per essere efficace e di successo, utile a conservare la reputazione di una azienda?

    I dati sono la forma e la sostanza della salute di un brand. Per comunicare in modo efficace bisogna raccontare non solo i propri dati, come quelli relativi alla crescita, ma anche quelli nel mercato in cui si è immersi. L’errore più comune è proprio pensare che fare comunicazione esterna voglia dire promuoversi. No, quella è una piacevole conseguenza, se si è fatto un lavoro in cui si è creato valore che ha portato dei benefici a chi ha recepito quella comunicazione. Una comunicazione efficace? Quando spinge all’azione chi riceve quella comunicazione. Si comunica non solo per trasmettere un’informazione, ma per generare un’azione. Che sia un like su Linkedin, un follow o una richiesta di consulenza, ciò che noi facciamo deve portare chi sceglie di ascoltarci a fare un’azione pratica.

    Avranno ancora senso le PR, gli uffici stampa interni?

    Ne sono assolutamente certo, anche perché il mercato delle PR si sta espandendo in questi anni ed è in questi anni che il ruolo dell’ufficio stampa sta emergendo. Negli ultimi 5 anni di lavoro ho visto sempre di più l’esigenza, una volta compreso il ruolo strategico dell’ufficio stampa, di assumere una figura interna all’azienda. Ed è una notizia felice per l’intero ecosistema di chi si occupa di comunicazione.

    Come siamo messi in Italia rispetto all’estero in termini di comunicazione esterna?

    Stiamo arrivando agli standard per lo meno europei. Per arrivare a quelli statunitensi ci vuole ancora molto lavoro divulgativo da parte di chi occupa questi ruoli, dove chiunque ha una persona o un team dedicato alla comunicazione, pagato in base alle competenze che porta in azienda. Rispetto a quanto avviene in Italia, il valore della comunicazione esterna si percepisce dal livello di qualità nella gestione delle crisi. Le crisi sono tutte prevedibili, nessuna azienda ne è immune. La questione è chi si prepara al rischio di dover gestire una crisi e chi invece risulta completamente impreparato. E i risultati in Italia negli anni sono davvero tanti, forse troppi, sia per piccole che per grandi realtà.

    Sin da oggi, a chi affidarsi e da dove partire per organizzare una comunicazione efficace?

    Bisogna prima di tutto affidarsi a dei professionisti. Questo è un punto base: non bisogna pensare che un marketing manager o sales manager possano fare da factotum perché hanno competenze diverse che non collimano con quelle richieste da chi si occupa di comunicazione. Si parte poi dagli obiettivi ricordandosi perché si comunica. Si comunica per passare un’informazione a un target ben preciso che dovrebbe poi sviluppare un’azione. Non per forza l’acquisto, non è sempre quello l’obiettivo. Anzi, l’acquisto è una conseguenza della consapevolezza di un bisogno. E la comunicazione dovrebbe attivare proprio quella consapevolezza, informando più che promuovendo.

    Cinzia Ficco

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  • Employer branding e l’   “ambassador” che porta pene, prodotti e valori di una azienda

    Employer branding e l’ “ambassador” che porta pene, prodotti e valori di una azienda

    Ce ne para Simone Paolo Guzzardi, che sull’argomento ha scritto un libro (FrancoAngeli)


    Non solo prodotti e servizi. E’ il momento dell’ ambassador.

    Le organizzazioni hanno sempre più la necessità di comunicare se stesse e non solo a beneficio dei consumatori, ma anche per tutti i collaboratori, effettivi o potenziali, per distinguersi come datori di lavoro attrattivi e unici.

    Le capacità di attrarre e trattenere sono diventate fattori di competitività centrali così come le strategie di Employer branding e quelle di Employer advocacy, che consentono di creare attenzione e costruire reputazione attraverso la comunicazione degli “ambassador”.

    Ma in concreto di cosa parliamo?

    Ce lo dice Simone Paolo Guzzardi, co-founder e Ceo di L45, agenzia di Reputation & Employer branding, di cui è pioniere, giornalista,  che di recente ha pubblicato con FrancoAngeli un libro dal titolo: Employer Community – Acquisire e trattenere i migliori talenti. Con la prefazione di Federico Frattini (Polimi Graduate School of Management)

    Cosa intendere per Employer branding e in cosa questa strategia di comunicazione si distingue da quelle tradizionali?

    L’Employer branding non si concentra solo su ciò che l’azienda offre al mercato, ma su ciò che rappresenta come datore di lavoro. Se la comunicazione passata era focalizzata sul prodotto o servizio, oggi l’attenzione si sposta sulle persone, sulla cultura aziendale e sull’esperienza lavorativa. L’Employer branding mira a costruire una narrazione autentica che attrae, coinvolge e trattiene i talenti. Si basa su una promessa: lavorare qui ha un valore specifico, tangibile, per chi lo fa. E a differenza della comunicazione aziendale tradizionale, il pubblico interno – i dipendenti – è altrettanto importante quanto quello esterno – i candidati e il mercato del lavoro.

    Quanto può essere sincera una comunicazione sull’azienda da parte di chi in quell’azienda lavora? E come verificarla?

    La comunicazione che proviene dai dipendenti può essere sincera solo se l’azienda coltiva una cultura aziendale trasparente e autentica. I dipendenti devono essere convinti dei valori e della missione dell’azienda per poter comunicare in modo credibile. Per verificarla, è essenziale che ci sia un monitoraggio continuo della coerenza tra ciò che viene comunicato e l’esperienza reale di lavoro. Strumenti come le survey interne, i feedback anonimi o il monitoraggio delle piattaforme di recensione come Glassdoor possono aiutare a misurare la percezione interna. https://www.glassdoor.it/index.htm.

    Come scegliere i “portavoce” di una azienda?

    Le persone comuni da scegliere come ambassador dovrebbero essere quelle che incarnano i valori dell’azienda e che siano percepite come genuine dai colleghi. Non è necessario che siano figure di alto profilo, anzi, spesso i profili più terreni e sinceri riescono a creare una maggiore connessione emotiva. Noi ci teniamo sempre a fare in modo che la loro adesione sia spontanea e favorita da campagne di comunicazione interna ben reali.

    Qual è il rischio più grande dell’Employer branding?

    Il rischio più grande è creare una discrepanza tra la promessa che l’azienda fa all’esterno e la realtà vissuta dai dipendenti all’interno. Se un’azienda promuove un’immagine di inclusività o benessere, ma i dipendenti non la percepiscono allo stesso modo, si crea una frattura di fiducia. Questo non solo danneggia la reputazione aziendale, ma può portare anche a un aumento del turnover.

    A quali condizioni funziona?

    L’employer branding funziona quando è autentico, allineato con i valori aziendali e sostenuto dalla leadership. Deve essere co-creato dai dipendenti e costantemente monitorato per assicurarsi che la percezione interna ed esterna siano coerenti. In più, deve essere integrato in una strategia di HR marketing che include la misurazione del ROI e l’adattamento continuo alle necessità del mercato e dei lavoratori. Alla base dei programmi di ambassador c’è la volontarietà. Chiunque lavori in azienda ha il superpotere dell ‘ambassador. Sul profilo Linkedin personale, ciascun collaboratore, accanto al proprio nome, ha scritto il nome dell’azienda presso cui è impiegato. Ne consegue che tutto ciò che scrive sul noto social network professionale – e il modo in cui lo farà- avrà riflessi in senso positivo o negativo sulla sua azienda . Contenuti appropriati, accurati e intelligenti, espressi in buono stile e con gentilezza, metteranno in buona luce oltre a chi li ha scritti, anche la sua organizzazione di appartenenza.

    Come omogenizzare una comunicazione interna con una esterna e arrivare all’obiettivo finale, l’Employer community?

    La chiave è la coerenza. La comunicazione interna ed esterna devono parlare la stessa lingua, condividere gli stessi valori e messaggi. Questo si può ottenere tramite una strategia di comunicazione integrata, dove i messaggi chiave vengono co-sviluppati con dipendenti e leadership. Per quanto riguarda la scelta degli ambassador, è fondamentale puntare su persone che siano rispettate all’interno dell’azienda e che riflettano realmente i valori aziendali. Non devono essere necessariamente manager o figure apicali, ma devono essere autentici e avere un’esperienza positiva da condividere. Devono essere pronti a rappresentare l’azienda non solo a parole, ma con i fatti.

    Come si elabora e sviluppa un piano di Employer branding e a chi affidarsi?

    Un piano di Employer branding parte sempre da un’analisi approfondita. Bisogna raccogliere feedback dai dipendenti, capire cosa rende unica l’azienda come luogo di lavoro e definire una Employee Value Proposition (EVP) chiara. Si sviluppa quindi una narrativa coerente che può essere comunicata all’esterno tramite vari canali, tra cui campagne di social media, siti di carriera e testimonial interni. Per capire se la strategia è quella giusta, è importante misurare continuamente il livello di engagement, la capacità di attrarre candidati di qualità e il tasso di retention dei talenti. I primi risultati tangibili possono vedersi entro 6-12 mesi, a seconda della portata del progetto.

    Che costi ha?

    I costi variano molto in base alla dimensione dell’azienda e alla complessità della strategia. Si parte da costi relativamente contenuti per la creazione di contenuti e l’ottimizzazione dei canali di comunicazione interni, fino a investimenti più importanti per campagne di advertising, eventi di Employer branding e piattaforme digitali. Nella nostra impostazione, in ogni caso, partiamo da un’analisi dei principali KPI (anche gratuita attraverso degli assessment light) per definire – o ridefinire – la strategia, e poi passare alla fase operativa. In generale, si tratta di un investimento strategico che tende a ripagare nel medio-lungo termine, sia in termini di riduzione del turnover che di miglioramento dell’attrazione di talenti, tutto misurabile attraverso il ROI delle attività.

    La cattiva reputazione è più frutto di errori nella comunicazione interna o esterna?

    In genere, la cattiva reputazione è frutto di una disconnessione tra comunicazione interna ed esterna. Se l’azienda promuove un’immagine all’esterno che non corrisponde alla realtà vissuta dai dipendenti, questo crea malcontento e può danneggiare seriamente la reputazione aziendale. La comunicazione interna deve essere solida, trasparente e riflettere ciò che si vuole comunicare all’esterno.

    Quanto è diffuso in Italia l’Employer branding e di conseguenza l’Employer marketing?

    In Italia, l’Employer branding è ancora in fase di crescita, ma sta guadagnando sempre più attenzione. Le aziende stanno iniziando a comprendere che non basta più promuovere il prodotto, ma è necessario costruire un’immagine forte come datore di lavoro. Tuttavia, siamo ancora un po’ indietro rispetto a mercati come quello anglosassone, dove queste pratiche sono già ben consolidate.

    Quanto le dimissioni volontarie di tanti giovani sono il risultato di una pessima comunicazione?

    Le dimissioni volontarie di tanti giovani sono spesso il sintomo di una mancanza di comunicazione efficace da parte delle aziende. Quando i giovani non sentono di avere una connessione con i valori aziendali o non vedono prospettive di crescita, tendono a cercare altre opportunità. Molto spesso, una comunicazione interna poco trasparente o la mancanza di un purpose chiaro possono spingerli a lasciare.

    Cinzia Ficco

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  • ITALIA CHE COMUNICA: aperte le iscrizioni fino al 6 ottobre 

    ITALIA CHE COMUNICA: aperte le iscrizioni fino al 6 ottobre 

    Tredicesima edizione del Premio promosso da Una per celebrare le eccellenze della comunicazione


    Sono aperte le iscrizioni alla tredicesima edizione di L’Italia che Comunica, il premio promosso da UNA – Aziende della Comunicazione Unite per celebrare le eccellenze della comunicazione italiana e che ha raggiunto un livello di maturità, qualificandolo come uno dei più importanti premi all’interno del settore.

    Per usufruire della quota promozionale dell’early bird, i lavori devono essere inviati entro il 31 agosto.

    Saranno ammesse a partecipare alla selezione le campagne e i progetti di comunicazione realizzati nel periodo dal 30 giugno 2023 al 31 luglio 2024. Le iscrizioni chiuderanno il 6 ottobre.

    Una nuova edizione che da quest’anno si rinnova totalmente, con un restyling del logo realizzato da FMedia, che ha saputo reinterpretare in chiave moderna mettendo in risalto il valore del premio, quanto l’elemento fondante che ne è alla base, ovvero la comunicazione. I colori alludono alla pluralità delle sezioni del premio: così come tutte le cromie hanno una propria identità pur essendo tra loro interconnesse, così anche le molteplici espressioni artistiche premiate sono accomunate dall’essere eccellenze del territorio italiano. L’immagine coordinata, così come i contenuti web e social, sono stati curati da TBWA.

    Rispetto alle passate edizioni, L’Italia che comunica si rinnova con l’introduzione di un nuovo criterio di valutazione dei progetti di comunicazione in concorso: l’impatto come elemento strategico di business, di creatività e sociale.

    Un’altra importante novità riguarda la composizione dell’Executive Jury, che quest’anno vedrà coinvolti, oltre ai consueti 20 giurati professionisti della Industry della comunicazione, anche figure di spicco del panorama artistico e intellettuale italiano, in particolare i premiati della sezione speciale dello scorso anno, quali la giornalista e conduttrice Francesca Fagnani, il regista e attore Giuseppe Fiorello, Matteo Paolillo di Mare Fuori, la ginnasta campionessa olimpica Alessia Maurelli, l’attore e doppiatore Giancarlo Giannini.

    Non cambia, invece, la struttura del premio, che mantiene le 16 categorie legate alla comunicazione, un premio assoluto e una sezione con quattro categorie dedicata all’entertainment.

    Unico premio italiano che permette ai vincitori di categoria di partecipare al prestigioso premio internazionale IMPACT Award, L’Italia che Comunica cattura l’istantanea del patrimonio di idee, creatività e talento italiani, grazie all’impegno del comitato organizzatore che ogni anno analizza e seleziona le campagne di comunicazione più talentuose e rappresentative ideate in Italia. Tra questi leader e professionisti della Industry che metteranno a disposizione professionalità, innovazione e visione nel mercato marketing e pubblicità a per delineare il miglior scenario della comunicazione italiana. Tra essi troviamo Fabrizia Marchi, Ceo di TBWA Italia e Presidente di giuria, Stefano Del Frate, Direttore Generale di UNA, Salvo Ferrara, Ceo di FMedia e organizzatore del premio, Davide Boscacci, Chief Creative Officer in Accenture Song ICEG, Niccolò Arletti, Ceo di Le Pub Italy, Luca Cavallini, Managing Partner di Artefice Group, Giuseppe Liguori, Executive Partner presso Reply, Alberto Rossi, Managing Director di NP Digital Italy, e, infine, Sonia Magri, Ceo il DDB Group.

    Come ogni anno, tutti i lavori iscritti al premio saranno valutati in una prima fase da una Grand Jury, formata da oltre 50 professionisti senior collaboratori/dipendenti di agenzie associate a UNA, che determineranno la short list dei migliori lavori per ogni categoria. Questa verrà poi presentata all’Executive Jury per la premiazione delle quattro sezioni speciali dell’area entertainment: Cultura, Cinema, Musica e Sport. I premi verranno assegnati a personaggi che nel corso dell’anno si sono distinti per capacità comunicative attraverso un gesto o una scelta rappresentativi dei valori del premio.

    Torneranno anche per la XIII edizione le due sezioni dedicate ai giovani degli istituti di formazione: L’Italia che Comunica con il Design, per il miglior progetto di definizione di un brand attraverso i codici del linguaggio visivo e lo studio di forme, e L’Italia che Comunica NEXT GEN x EVENT, categoria dedicata ai progetti più innovativi nel live entertainment.

    “La missione della giuria sarà quella di valorizzare il patrimonio di idee, creatività e talento nell’ambito della comunicazione, celebrandoli attraverso una nuova prospettiva che mette in risalto la capacità dei progetti di generare un impatto significativo – afferma Fabrizia Marchi, CEO di TBWA Italia e Presidente di giuria – Sono orgogliosa di presiedere la giuria di quest’anno, ormai arrivata alla XIII edizione, sinonimo di solidità di questo riconoscimento all’interno del nostro mercato”.

    “Questa nuova edizione di L’Italia Che Comunica vuole aprire a una nuova prospettiva, quella di una comunicazione efficace, chiave per un futuro prospero e sostenibile per il nostro Paese, attraverso una maggiore attenzione all’impatto creativo, di business e sociale, aggiunge Salvo Ferrara, coordinatore UNA LIVE HUB e organizzatore del premio.

    Per maggiori informazioni: www.italiachecomunica.it

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  • Automazione industriale e robotica: un mondo ancora al maschile?

    Automazione industriale e robotica: un mondo ancora al maschile?

    I consigli di Philippa Glover (OMRON per Regno Unito e Irlanda)


    Gli ultimi dati europei di Eurostat hanno mostrato che, nel 2021 le donne rappresentavano solo il 21% degli scienziati e degli ingegneri nel settore manifatturiero [2: https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-eurostat-news/-/ddn-20230210-1] Nel 2022, l’analisi McKinsey ed Eightfold AI della forza lavoro europea ha rilevato che le donne occupavano solo il 22% di tutti i ruoli tecnologici nelle imprese europee https://www.mckinsey.com/capabilities/mckinsey-digital/our-insights/women-in-tech-the-best-bet-to-solve-europes-talent-shortage] Anche nei ruoli dirigenziali, nel 2023, le donne hanno ricoperto solo il 24% circa dei ruoli di leadership nel settore tecnologico https://www.womentech.net/women-in-tech-to-watch  Il Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum ha rivelato che l’Italia si posiziona al 79° posto, su 146 Paesi a livello mondiale, per quanto riguarda la parità di genere, perdendo posizioni rispetto agli anni precedenti. Il divario di genere è ancora più evidente quando si parla di professioni tecnico-scientifiche. Secondo l’ISTAT, meno del 40% delle laureate si concentra sulle discipline STEM.
    Le cifre non mentono. Ci sono ancora troppe poche donne nel settore dell’automazione e nei ruoli STEM in generale.
    Incoraggiare un maggior numero di donne a perseguire carriere nell’automazione è importante a molti livelli. L’automazione è essenziale per affrontare le sfide della società, dove contributi ed esperienze diversificati possono stimolare un pensiero più innovativo. È fondamentale che le ragazze intraprendano carriere accademiche e professionali nelle materie STEM. Come? Cambiando il modo in cui le professioni tecniche e scientifiche vengono raccontate. E diffondendo la cultura delle STEM. Le donne sono determinate nella ricerca delle soluzioni, lo abbiamo sperimentato anche in fase Covid, durante la quale hanno saputo gestire tematiche in urgenza con capacità organizzative e di problem solving incredibili. È una specificità nell’ingegno femminile, che non si deve assolutamente disperdere – dichiara Chiara Rovetta, Field Communication Manager di OMRON Italia – Gli studi hanno anche rilevato che, quando le imprese promuovono la parità di genere, hanno una forza lavoro più motivata e produttiva. Molto si può e si deve ancora fare a livello di policy e welfare. Ci sono pregiudizi da smontare, modelli positivi da valorizzare e alleanze virtuose da creare. La parola d’ordine è: incoraggiare”.
    Nell’attuale contesto di carenza di manodopera qualificata, è più importante che mai attirare più talenti femminili affinché intraprendano una carriera nell’automazione. Colmando infatti il divario di genere, il settore potrebbe sopperire alla sua carenza di talenti.
    Ma cosa bisogna fare per incoraggiare un maggior numero di donne a lavorare nel settore dell’automazione? Si tratta di un problema difficile da risolvere e purtroppo non esiste una formula magica. Tuttavia, alcuni interventi basati su un approccio strategico al mentoring, alla riconsiderazione delle strategie di reclutamento e all’impegno STEM possono spostare l’ago della bilancia.
    Coinvolgimento fin dalla giovane età
    “Per me l’opportunità inizia a livello di scuola primaria e secondaria. Come comunità dobbiamo ispirare e incoraggiare i più giovani, indipendentemente dal sesso e dal background, dimostrando loro che l’automazione è un campo affascinante in cui costruire una carriera gratificante – ci dice Philippa Glover (in foto) membro del Senior Leadership Team di OMRON per Regno Unito e Irlanda – Come comunità siamo chiamati a un maggiore impegno verso i giovani, realizzando iniziative che permettano loro di entrare in contatto con il mondo STEM e nuovi modelli che possono ambire a diventare. Quando riconoscono il ruolo che l’automazione svolge nella vita di tutti i giorni, sono più propensi a considerarla una carriera futura.
    Come comunità siamo chiamati a un maggiore impegno verso i giovani, realizzando iniziative che permettano loro di entrare in contatto con il mondo STEM e nuovi modelli che possono ambire a diventare. Quando riconoscono il ruolo che l’automazione svolge nella vita di tutti i giorni, sono più propensi a considerarla una carriera futura”, 
    OMRON UK ha un programma STEM attivo, che prevede un contatto diretto con le scuole. Nell’ambito delle iniziative bidirezionali, i giovani visitano la fabbrica di OMRON mentre l’azienda porta le attrezzature nelle scuole, consentendo agli studenti di toccare con mano la robotica e farsi un’idea di ciò che l’automazione comporta.
    “Come risultato delle interazioni – afferma Philippa -abbiamo visto giovani ragazze affermare che l’ingegneria potrebbe essere adatta a loro. In questa fase della vita, i bambini spesso seguono percorsi di crescita che si ispirano a dei modelli di riferimento, quindi occorre incoraggiarli fornendo loro questi riferimenti”, afferma Philippa.
    Man mano che crescono, tuttavia, i giovani sono più suscettibili alla pressione sociale ed è in questa fase che il settore deve lavorare per dissipare convinzioni errate sul fatto che l’ingegneria sia per soli ragazzi, secondo Philippa.
    Modificare le percezioni per evitare l’abbandono
    L’importanza dell’intervento nelle diverse fasi dello sviluppo è confermata dalla ricerca. Analisi recenti di McKinsey ed Eightfold AI hanno rilevato che una significativa diminuzione della percentuale di donne impegnate in discipline STEM avviene in due fasi: durante il passaggio dall’istruzione secondaria all’università e dall’università al mondo del lavoro.
    Gli studi citano due ragioni principali per questo fenomeno. La prima è che le ragazze delle scuole secondarie ricevono un sostegno significativamente inferiore rispetto ai ragazzi per intraprendere carriere STEM. In secondo luogo, alcune ricerche suggeriscono che alle ragazze venga trasmessa l’idea di non essere brave nelle materie STEM.
    “Dobbiamo cambiare queste percezioni”, dice Philippa – Cerco, laddove possibile, di formare e guidare gli altri. Il coinvolgimento nelle discipline STEM è davvero importante, così come l’accesso a modelli di ruolo senior”.
    Continua: “Ho un mantra: ‘se puoi vederlo, puoi esserlo’. Negli ultimi anni sono stata positivamente incoraggiata a rendermi visibile e a porre in rilievo il mio contributo e il lavoro che svolgo, nella speranza che questo sia di ispirazioneSono una convinta sostenitrice dell’alleanza e del supporto reciproco. Ho un fantastico gruppo di colleghi dirigenti, composto sia uomini sia da donne, che mi ha supportata, sostenuta e, cosa ancora più importante, stimolata a raggiungere il punto in cui mi trovo ora e che continuerà a farlo per far sì che io possa esprimere il mio potenziale e costruire una carriera gratificante e di successo”.
    Pensare fuori dagli schemi
    Un altro modo per aumentare la presenza femminile nel settore dell’automazione è assumere donne provenienti da pool inesplorati e formarle nella tecnologia. Ciò potrebbe anche aiutare le organizzazioni a migliorare le proprie competenze nelle aree di cui si prevede una crescita importante nei prossimi anni, man mano che il settore manifatturiero accelera l’adozione delle tecnologie digitali.
    Philippa chiarisce: “Il pool di talenti per i lavori del settore manifatturiero, ingegneristico e dell’automazione è stato tradizionalmente dominato dagli uomini. Bisogna chiedersi se ciò possa dipendere dal fatto di attingere sempre dagli stessi bacini di provenienza. Ci stiamo impegnando a identificare realmente le competenze di cui abbiamo bisogno e a riflettere su dove possiamo trovare quel talento?”
    Anziché basare la scelta sull’analisi di candidati con le solite qualifiche ingegneristiche, Philippa sostiene l’adozione di un nuovo approccio che potrebbe spostare la ricerca al di fuori del perimetro tradizionale.
    “L’importante non è necessariamente la conoscenza della tecnologia, ma il modo in cui si pensa, e queste competenze si possono trovare in molti posti diversi. Spesso, all’interno delle organizzazioni, le persone cercano di individuare queste competenze, mentre sarebbe meglio fare un passo indietro e pensare a come poter ottenere una diversità di pensiero”.
    Nuovi modelli di lavoro promuovono la parità
    Man mano che i datori di lavoro adottano pratiche più flessibili, alcuni degli ostacoli pratici che hanno storicamente impedito alle donne di assumere ruoli più importanti possono infine venire rimossi.
    Iris Brem, Team Lead per IPC, HMI & Robotics presso lo stabilimento OMRON nei Paesi Bassi, è di questo parere: “Una settimana lavorativa di 40 ore è molto meno comune di quanto non fosse in passato poiché le persone cercano di stabilire un migliore equilibrio tra vita lavorativa e vita privata. Inoltre, la cura dei figli viene ripartita in modo più equo tra i genitori e le aziende sono più predisposte a contemplare modalità di lavoro ibrido e part-time. Con questi cambiamenti, penso che dovremmo essere in grado di invertire la tendenza che vede troppe poche donne crescere professionalmente nel settore della tecnologia”.
    Informazioni su OMRON Corporation
    OMRON Corporation è uno dei leader mondiali nel campo dell’automazione e il suo lavoro si basa sulla tecnologia chiave “Sensing & Control + Think”. OMRON opera in svariati settori, tra cui quelli dell’automazione industriale, della componentistica elettronica, dei sistemi sociali e delle soluzioni per l’assistenza sanitaria e l’ambiente. Costituita nel 1933, OMRON conta circa 29.000 dipendenti in tutto il mondo e offre prodotti e servizi in circa 120 paesi e regioni. Per ulteriori informazioni, visitare il sito Web: http://industrial.omron.it
    La Redazione

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  • Rivoluzionare la comunicazione con il brand activism. Ci prova OnlifeMedia

    Rivoluzionare la comunicazione con il brand activism. Ci prova OnlifeMedia

    Parla Alessandro Beulcke, fondatore e Ceo della società benefit


    Onlife Media, società benefit, propone una nuova comunicazione per le imprese, rivoluziona l’approccio con le realtà presenti sul web, coinvolge le persone nel dibattito sociale ed economico.

    Alessandro Beulcke è determinato nel raggiungere il suo obiettivo: coinvolgere per conoscere. E senza perdere tempo fonda la startup innovativa Onlife Media. Non solo. C’è spazio anche per le organizzazioni che vogliono mettersi in gioco per costruire insieme eventi, contenuti e comunità uniti dall’impegno su sostenibilità, diritti e innovazione.

    Alessandro Beulcke ha una lunga esperienza nel mondo della comunicazione come fondatore e CEO di Allea prima e di Beulcke+Partners poi, ideatore del Festival dell’Energia, Verde e Blu Festival, WE Women’s Equality Festival e di molti altri format.

    La startup, assistita da Laward per la parte legale e Roedl&Partners per quella fiscale, ha raccolto i primi investimenti a fine luglio: tra i sostenitori l’imprenditore Eugenio Simioli, con interessi e partecipazioni in settori diversificati e spesso ad alto impatto sociale, tra cui: turismo, servizi sportivi e ricreativi, formazione, produzione artistica e culturale.

    L’aucap è aperto fino ai primi mesi del 2024 per completare il primo round di finanziamenti e passare alla fase Early Growth.

    Il valore aggiunto di Onlife Media

    La società crea e produce contenuti originali per pubblico e brand con un approccio innovativo, value e data based, racconta di futuro, innovazione, sostenibilità e diritti, facendo leva sull’attivismo dei brand, che sono sempre più impegnati nel proporre modelli di vita e consumo sostenibili e inclusivi, e sull’orientamento di pubblico e comunità finanziaria nel privilegiare imprese, contenuti, prodotti e servizi focalizzati su questi driver.

    Con il claimDove comincia il futuro” Onlife Media racconta la propria value proposition.

    I professionisti di Onlife Media

    Il team è già nutrito e molto ricco con 15 persone pienamente operative, ma è destinato a crescere nei prossimi mesi sino ad almeno 25 unità. La leadership è, come si è detto, di Alessandro Beulcke, Founder & CEO ONLIFE Media, imprenditore, ideatore del Women’s Equality Festival e de Il Verde e Il Blu Festival, esperto di comunicazione e innovazione, autore di libri, quali Click Propaganda – Come usare il potere dei dati nella comunicazione politica, scritto con Odoardo Ambroso, e di numerosi articoli usciti su riviste come Panorama, Formiche, Il Foglio e altre testate nazionali.

    Alessandro Beulcke

    Beulcke ha inoltre ricoperto il ruolo di Presidente di ARIS – Ricerche Informazione e Società, attraverso cui ha lanciato diversi progetti come Nimby Forum®, Festivaldell’Energia e S@lute – Forum della Sanità Digitale.

    Alessandro Beulcke, perché sceglie un nuovo modello di comunicazione?

    «Il settore della comunicazione ha subito trasformazioni radicali negli ultimi due/tre anni, noi vogliamo rispondere alle nuove esigenze delle imprese e delle organizzazioni. Quello che ci contraddistingue è la capacità di creare contenuti e piattaforme di comunicazione sui temi cruciali per il futuro: diritti, innovazione, sostenibilità e trasformazioni sociali, unendo tecnologia e umanesimo. ONLIFE Media è una content media Company con quattro business unit: Podcast, Doc&Series, Events, Digital. ONLIFE Media progetta, produce e realizza podcast series, docufilm e long format, festival, manifestazioni e live show che coinvolgono istituzioni, accademici, esperti, imprese e organizzazioni, donne e uomini di arte e cultura, per esplorare i grandi driver del futuro e offrire ai brand l’opportunità di posizionarsi su questi temi attraverso un ventaglio di proposte. Ad esempio, abbiamo ereditato, da una delle società che ho fondato in precedenza, WE-Women’s Equality Festival https://www.wefestival.it/. Un’iniziativa tra i maggiori eventi nazionali sul tema parità di genere, tre giorni di dibattiti, talk show e spettacoli, per parlare di uguaglianza di genere, contrasto ad ogni forma di violenza e discriminazione ed empowerment femminile, temi cruciali per lo sviluppo, la sostenibilità e il progresso della nostra società. Un evento mediatico di grande impatto, che nel 2024 sarà trasmesso anche da un broadcaster nazionale, con gli interventi delle personalità che ogni giorno combattono la discriminazione e la violenza di genere. Con la divisione Docs&Series vogliamo ideare e produrre docufilm, docuserie, show, commercial: progetti autonomi e/o co-prodotti per brand, broadcaster e streamer, destinati alla diffusione multicanale: web, piattaforme OTT (Over The Top), VOD (Video On Demand), via cavo, via satellite, live streaming. I videopodcast, podcast, web series e talk raccontano le grandi sfide contemporanee: diritti, mestieri e famiglie del futuro, competenze, nuovi modi di relazionarsi, attraverso il contributo di talent e testimonials che su queste istanze lavorano ogni giorno. Progetti originali per brand: creatività, innovazione, autorialità e influenzatori del pensiero contemporaneo per produzioni a grande diffusione sulle principali piattaforme digitali e sul sito onlifemedia.com. E poi la divisione Digital, una community social di persone creative, attente e innovative, con protagoniste le storie, le opinioni, le domande più complesse di oggi per accogliere il domani consapevoli. La divisione Digital sarà sviluppata al completamento del primo round di investimenti, che ha raccolto i primi fondi a fine luglio. Come ho detto, tra i sostenitori l’imprenditore Eugenio Simioli”.

    Quanto incide la sostenibilità nel racconto di un’impresa?

    «Ormai è un elemento imprescindibile: i consumatori e la comunità finanziaria privilegiano le scelte d’acquisto e gli investimenti verso le aziende impegnate come Civic brands nel contrastare le iniquità, le ingiustizie e le conseguenze del cambiamento climatico. Ma il greenwashing non basta più. Le imprese devono impegnarsi concretamente con azioni di responsabilità sociale e riduzione delle emissioni e con certificazioni super partes che attestino questo impegno. Poi tutto questo va comunicato bene. In maniera originale, coinvolgente, proattiva. Noi affianchiamo le imprese in questo percorso».

    Che ruolo svolge la trasformazione digitale?

    «È un elemento fondamentale. Il termine ONLIFE nasce proprio dalla crasi tra online e offline, un neologismo coniato da Luciano Floridi, uno dei massimi pensatori contemporanei, già professore di Filosofia ed Etica dell’Informazione all’Università di Oxford e ora a Yale come Founding Director of the Digital Ethics Center and Professor in the Practice in the Cognitive Science Program, e nostro advisor. ONLIFE significa appunto stare in una dimensione che è fisica e digitale contemporaneamente. Intelligenza artificiale, algoritmi, data analysis, dimensione social: non sono elementi da demonizzare, fanno parte della nostra società e sono l’essenza di un nuovo modo di comunicare e relazionarsi tra le persone. Non possiamo non tenere conto di questo nell’immaginare la comunicazione del futuro».

    Qual è il valore aggiunto dell’innovazione?

    «L’innovazione, intesa come invenzione, progresso, scoperta, tecnologia, è un fattore cruciale. Lo sviluppo sociale e il miglioramento del benessere sono fondamentali nello sviluppo della società per migliorare le performance di imprese e organizzazioni e le condizioni di vita delle persone. E l’innovazione è il driver fondamentale per accompagnare questo processo. L’essere umano è innovativo per natura».

    Francesco Fravolini

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  • «L’Ambassador deve rappresentare il marchio»

    «L’Ambassador deve rappresentare il marchio»

    Così David Conti sulla comunicazione del futuro


    La comunicazione aziendale del XXI secolo si arricchisce di due figure professionali come Ambassador e Influencer. Questi professionisti coinvolgono le persone mediante strategie di comunicazione con l’obiettivo di accrescere l’importanza di un brand.

    È decisamente una nuova modalità di presentare i prodotti di un’azienda, individuando mercati specifici di riferimento.

    Possiamo definirla un’azione marketing ben precisa che sostituisce il vecchio commerciale del XX secolo.

    David Conti, 29 anni, abbraccia con passione questa attività, seppure non abbia molti follower sui suoi profili social (usa soltanto Facebook e LinkedIn). David Conti è toscano di nascita, cresciuto a Pienza, con in tasca una laurea in Economia e Commercio conseguita a Siena.

    Come funziona il lavoro di un Ambasciatore di stile o addirittura di un Brand Ambassador?

    Scopriamo questa nuova comunicazione aziendale insieme a David Conti.

    David, come sviluppa la sua attività aziendale?

    «La mia attività nasce anzitutto come passione, motivo per cui non è il mio primo lavoro, che mi vede invece impegnato nel settore finanziario. Il suo Take Off, quindi, è un mix di fortuna e passione. Nel 2018 ho avuto l’occasione di presenziare, come ospite della Maison de Champagne Moët & Chandon, alla prima mondiale della serie televisiva, tutt’ora in voga, “L’Amica Geniale”, tratta dal libro della scrittrice Elena Ferrante. Da lì, dove fui notato da varie aziende del settore del lusso, sono iniziate le mie principali collaborazioni. Il metodo utilizzato è prevalentemente quello del product placement e dell’endorsement, in quanto condividere certe storie e certi contesti è di vantaggio reciproco, sia per la bellezza dell’evento in sé, sia per la formula comunicativa che ne deriva. Tutto è iniziato così, in maniera semplice e coincisa».

    Influencer e Ambassador sono due figure professionali del XXI secolo. Come aiutano la diffusione di un brand e la sua conoscenza specifica sul mercato?

    «Diciamo che, in realtà, gli Ambassador sono esistiti già da tempo. Molti prodotti storici, che oggi conosciamo, e non parlo solo del segmento del lusso, ma anche del cibo, sono diventati noti proprio grazie ad Ambassador del tempo, che hanno permesso a quel prodotto specifico di giungere fino ai giorni nostri perché oggetto di attenzione. Ecco, l’Ambassador in  senso tale deve rappresentare il marchio (in questo caso), aiutando a trasferire il sapere delle proprie qualità alle future generazioni. Questo attraverso la stabilità. Infatti è importante con gli Ambassador puntare sul lungo termine e soprattutto alla condivisione dei valori alla base del brand e della persona su una platea macro. Essi hanno anche una variante micro, che sono i Brand Advocate, i quali si occupano invece di micro categorie. E sono molto funzionali. Un esempio di strategia basata sugli advocates è stata usata nel mercato del vino, con ottimi risultati. Gli influencer, invece, svolgono una funzione più vicina al media che alla figura dell’Ambassador  il quale, per nome, ha un solo prodotto di brand specifico per categoria che può promuovere. L’influencer aiuta la diffusione di qualsiasi brand che ritiene essere giusto per il proprio target, oppure può toccare un argomento specifico che l’influencer tratta (ad esempio, la moda, il cinema e altro). Quindi i KPI (Key Performance Index) che ne derivano sono molto diversi e hanno obiettivi diversi. Tornano a fattore comune per avere una comunicazione integrata e al passo con la nuova transizione tecnologica che stiamo vivendo».

    Che metodi preferisce quando deve divulgare il prodotto di un’azienda?

    «Partiamo dicendo che, essendo targettizzato sul segmento del lusso, soprattutto di brand storici, ho dei precisi diktat. Per prima cosa utilizzo i media tradizionali (magazine/radio/TV) nei quali posso raccontare il perché di un prodotto, collegandolo ad una storia magari condivisa, per farne capire l’utilità pratica. Poi, la formula degli eventi, in cui, se parliamo di prodotto di moda, ad esempio, posso condividere – come ho detto nella prima risposta – la bellezza e il prestigio dell’evento con lo stesso brand. Questo crea sicurezza, affidabilità e stabilità ripetuta nel tempo, cosa molto importante soprattutto per il mio settore, in cui il lungo termine la fa da padrone».

    Come incide un Ambassador sulla comunicazione di un’azienda?

    «Un Ambassador incide nella comunicazione, aiutando l’azienda stessa ad essere conosciuta, accreditarsi presso nuovi consumatori, di età magari inferiore, e a poter, in un certo senso, vivere all’infinito. L’Ambassador, inoltre, deve far vedere attraverso la sua persona che l’azienda è un organismo vivente e che rappresentandola, esso si muove con il resto del mondo, è aggiornata e sempre appetibile da un punto di vista di vendite, per non sminuire mai il proprio Return on Sales».

    La comunicazione aziendale quali cambiamenti subirà nel futuro?

    «Sicuramente la nuova tradizione porterà dei cambiamenti epocali. Andremo sempre di più verso l’esperienza, collegata allo storytelling. Questo sicuramente. Non basta più il prodotto, ma dobbiamo vedere comesi muove in un determinato contesto, che sia aspirazionale per la persona che guarda, e che quindi, crei la voglia di acquisto finale. L’experience dovrà essere vissuta quasi in contemporanea dallo spettatore/prospect client, così da sentirsi parte non solo dell’azienda ma anche del sistema di valori che essa rappresenta, ritrovando, in un certo senso, se stessa, e come vorrebbe essere. In questo, il digitale e Internet sono maestri, quindi credo che vedremo molte sorprese in questo senso».

                                                     Francesco Fravolini

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