Parla Gaetano Zarlenga alla guida del Cueim, il Consorzio di 27 atenei, che annuncia un nuovo progetto
Cosa è un’attività di impresa for good? E quale può essere un modello? Quanto costa cambiare?
L’abbiamo chiesto a Gaetano Zarlenga alla guida del Cueim https://www.cueim.org/ un consorzio di 27 Università che, qualche settimana fa, ha annunciato l’avvio di nuovi progetti.
“Dopo The Good Business Academy – afferma – un progetto nato all’interno del Cueim che ha coinvolto manager, imprenditori e consulenti di alto livello con la consapevolezza che sia necessario cambiare il modo di insegnare il business nelle università e offrire pratiche manageriali in grado di portare la propria impresa verso un business utile per tutti, siamo pronti per creare un ecosistema italiano del Good Business. Obiettivo: costruire un network nazionale con l’azienda al centro che dialoga con le istituzioni, il mondo della ricerca e la società civile.
Intanto che cosa si intende con un’attività di impresa “for good”?
Un’impresa for good è sostenibile innanzitutto, armonica con le persone, attivatrice di sinergie win-win con altre aziende, con cui si condividono dei valori. Il cambiamento necessario è quindi non solo nei modelli di management, ma prima di tutto di mindset per cogliere le tre dimensioni della sostenibilità: ambientale, sociale ed economica. I risultati devono essere analizzati oltre i confini dell’impresa e nel loro impatto sul territorio, intercettando i bisogni della società civile.
Quali e quanti sono i soggetti coinvolti dal vostro progetto e da quale mondo- settore vengono?
Da un lato il CUEIM, consorzio universitario di 27 università e organismo di ricerca no- profit, che si propone di valorizzare e connettere le competenze e le conoscenze accademiche, di innovazione e ricerca con un focus privilegiato sul tema della sostenibilità. Dall’altro, InVento Lab, Award winning B Corp, ed altre realtà benefit, per accelerare la trasformazione verso modelli di business sostenibili. L’Academy ha attivato delle significative partnership con Fondazione Cattolica, Assobenefit, Assopopolari, Federterziario e ZeroCo2. Quindi c’è una rappresentatività su diversi settori ed ha inoltre ricevuto il sostegno del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) nel quadro del progetto “Cultura e Formazione per un futuro sostenibile”.
Due parole sul nuovo progetto.
Sì, puntiamo a costruire un network nazionale partecipato da imprese, Istituzioni, mondo della ricerca e società civile. Un approccio a “quadrupla elica” , cioè con i quattro soggetti di cui ho parlato prima, che in prospettiva sarà la nostra Community di riferimento. I libri universitari di economia dicono che il fine di un’impresa è il profitto. Bene, vogliamo riscriverli favorendo la diffusione di modelli di impresa diversi, consapevoli dell’urgenza di realizzare una transizione verso modelli economici in grado di rispondere alla crisi di sostenibilità in corso. L’effettivo passaggio verso un’economia ad impatto positivo dipenderà dalle scelte strategiche che le imprese adotteranno da qui ai prossimi anni.
Sì, ma da dove si inizia?
La capacità di modificare il proprio paradigma di business, integrando la sostenibilità all’interno del proprio purpose e dei processi aziendali, rappresenta un passo fondamentale per diventare i leader del cambiamento di oggi e di domani. Si inizia da qui. E noi sosterremo le aziende. La costituzione di una Community avverrà attraverso una piattaforma multiattoriale, anche grazie al sostegno ricevuto da parte del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, per andare nella direzione del Good Business. In tal modo saremo in grado di condividere modelli ed esperienze che possano stimolare l’esempio e rendere il percorso verso la sostenibilità non solo fattibile ma trascinante. Non siamo unici, per fortuna a livello nazionale sono nate molte iniziative sui temi della sostenibilità, che stanno creando consapevolezza ed attenzione, però riteniamo che la nostra natura aziendale ed accademica, l’impegno del network di 27 Atenei associati e le competenze e la passione del nostro team possano consentirci di interpretare un ruolo nella transizione della cultura d’impresa verso un futuro più sostenibile.
Quanto gli imprenditori italiani sono consapevoli della necessità di cambiare paradigma?
La consapevolezza sta crescendo, ma l’ipercompetizione a livello globale, la parcellizzazione dell’economia italiana e la natura delle imprese italiane, che nella maggior parte dei casi si configurano come micro-piccole, molto spesso non consentono agli imprenditori di aver tempo e risorse per affrontare il tema dei cambiamenti necessari, poiché si ritiene di essere già sovraccarichi nella gestione quotidiana delle proprie attività core. Riteniamo che gli strumenti operativi descritti attraverso la nostra metodologia possano semplificare questa situazione e consentire agli imprenditori, ed ai manager, di sollevare lo sguardo verso un’ottica di lungo periodo e che al contempo abbiano impatti positivi anche sugli obiettivi aziendali.
A gennaio si parte con la formazione.
Esatto. A gennaio prevediamo il lancio della piattaforma al servizio della Community, che non servirà soltanto per promuovere una formazione dall’alto, ma anche per mettere in contatto gli attori in modo orizzontale, con scambio di buone pratiche e consigli che rafforzino la cooperazione verso il good business. La (tras)formazione avverrà principalmente tramite percorsi trasformativi. Nello specifico, i nostri percorsi adottano una metodologia ciclica che alterna l’acquisizione di conoscenze, la sperimentazione con strumenti pratici, la riflessione individuale e collettiva stimolando il co-protagonismo dei partecipanti e infine la messa in pratica attraverso l’azione. Questo approccio facilita la trasformazione. La metodologia si articola in un ciclo trasformativo di: Learn (apprendimento), Do (sperimentazione), Reflect (riflessione), Act (attivazione)
Il primo e il secondo step per cambiare?
Andare oltre la comfort zone. Il primo passo è la volontà di ognuno di noi di non fermare lo sguardo e il raggio di azione delle proprie attività all’interno dei confini della propria azienda o del proprio settore. Crediamo sia necessario un cambiamento prima di tutto di mindset e di presa di responsabilità. Il secondo è proprio quello del modello di management in for good.
Chi paga la transizione? Sarà un passaggio doloroso?
Innanzitutto, va detto che la necessità di una transizione verso una società carbon neutral, più equa e sostenibile è di fatto una consapevolezza globale. Purtroppo, le risposte dei singoli Paesi non sono spesso allineate e questo determina delle asimmetrie significative rispetto alla salvaguardia del benessere dei cittadini. Questo per dire che i ritardi dovuti ad una mancanza di sinergie a livello Paese, nell’adozione delle strategie definite a livello globale aumentano il prezzo a un conto già salato che stiamo già pagando noi e pagheranno i nostri figli. Un’azione corale e sistemica tra imprese, istituzioni, ricerca e società civile consentirebbe di ridurre i tempi e ripartire ruoli e costi di un percorso dalla riconosciuta utilità universale. La formazione ha un costo significativo, soprattutto per le piccole realtà aziendali, che molto spesso rinunciano, poiché non in grado di sostenerla economicamente, perdendo quindi un’occasione di crescita. Nel contesto nazionale però sono attivi diversi strumenti di supporto finanziario su questo tema, come, ad esempio, le possibilità offerte dai fondi interprofessionali oppure l’istituzione del fondo nuove competenze. Sarà un passaggio complesso, poiché si tratta di modificare alle radici un paradigma economico-sociale e che richiederà tempi lunghi ed investimenti, ma sarebbe molto più doloroso non attuarlo, visti gli effetti e i costi attuali della sola crisi climatica.
Oltre alla formazione, cosa pensate di offrire?
Riteniamo che lo Strumento digitale multi-attoriale, per cui il CUEIM è già al lavoro, renderà possibile lo scambio e il networking tra diversi soggetti, come aziende, istituzioni o associazioni operanti secondo i principi dello sviluppo sostenibile, permetterà la condivisione e la disseminazione dei risultati, delle buone pratiche e dei materiali di progetto per lo sviluppo di nuove partnership e sinergie tra le istituzioni e le parti interessate, comprese quelle già coinvolte e i nuovi membri della comunità.
Il vecchio modello produttivo è tutto quanto da buttare?
La logica del profitto come fine ultimo dell’impresa ed unico indicatore di successo imprenditoriale va certamente abbandonata a favore di un effettivo passaggio ad un’economia a impatto positivo che richiederà alle imprese – e non solo – di ripensare il modello produttivo e di modificare il proprio paradigma di business integrando la sostenibilità all’interno della propria mission e dei processi aziendali. È oggettivo che il modello di sviluppo e le strutture giuridiche aziendali prevalenti nell’economia capitalistica hanno contribuito al miglioramento della qualità della vita di una parte importante della popolazione mondiale, ma hanno rivelato nel tempo tutti i loro limiti per l’incapacità di garantire equità nella distribuzione del benessere e per i gravi danni generati all’ambiente. L’impresa è parte del problema ma è anche parte della soluzione: oggi l’impresa, nella ricerca della propria competitività, è chiamata ad assicurare la sostenibilità e l’impatto positivo delle proprie azioni attraverso la costruzione di relazioni armoniose con le persone, le organizzazioni, la comunità e il pianeta. In questo contesto, l’impresa for good si propone di produrre benessere per tutti i soggetti che ne fanno parte, per quelli con i quali interagisce, per la comunità che la ospita, per l’ambiente naturale in cui opera e per le generazioni future.
Qual è il segno che in un’azienda si stenta a cambiare?
I segnali che un’azienda stenta a cambiare possono essere diversi. Immaginiamo l’impresa come un organismo vivente che naturalmente tende ad autoregolarsi per mantenere l’equilibrio con le sue funzioni e gli elementi che la compongono come dipendenti, risorse economiche, fornitori, stakeholder, filiera e concorrenti. Immaginiamola come un organismo in grado di creare prosperità per l’impresa stessa, ma anche per territori e persone: ecco, quando uno o più dei suddetti elementi mostrano criticità e l’approccio imprenditoriale diventa autoreferenziale è il segno che l’azienda è in difficoltà nella gestione del cambiamento. Il cambiamento è una tensione verso il miglioramento continuo e la propensione ad operare nel presente con un’idea di futuro.
Sarà di sicuro il mercato a decidere la sopravvivenza di chi cambia, è vero. Ma in questa fase meglio leggi punitive o leggi che premino atteggiamenti sostenibili?
Il mercato è certamente un termine di confronto importante per le imprese, ma non è l’unico, proprio perché un paradigma economico inadeguato può determinare nel mercato la presenza di fenomeni distorsivi e/o speculativi. Pertanto, è importante che l’impresa abbia chiari e definiti i propri obiettivi in termini di impatti positivi da generare e non punti alla sola sopravvivenza e al profitto. Per quanto attiene al tema del supporto legislativo, viene naturale ritenere che è condivisibile un sistema di incentivazione premiante rispetto allo sviluppo di processi produttivi sostenibili. D’altro canto è comunque necessario mantenere una baseline di riferimento: chi inquina paga ovvero, chi inquina deve farsi carico delle misure di prevenzione, controllo e riparazione dell’inquinamento causato e dei costi dell’inquinamento per la società civile.
Un modello di azienda virtuosa?
Un esempio è certamente Alisea, società benefit guidata dall’imprenditrice Susanna Martucci, che fa dell’innovazione continua verso la sostenibilità un impegno quotidiano e costante per minimizzare gli impatti negativi e massimizzare i positivi non solo sull’ambiente, ma anche sulle persone.
Cinzia Ficco