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  • Crowdfunding Summit 2025: a Lecce il confronto sulla finanza alternativa

    Crowdfunding Summit 2025: a Lecce il confronto sulla finanza alternativa

    Equity crowdfunding, startup e investimenti early-stage. Perché il Salento è sempre più al centro delle nuove economie

    L’equity crowdfunding non è più un fenomeno emergente, ma uno degli strumenti ormai consolidati nel panorama dell’investimento in startup e PMI innovative. Allo stesso modo, la finanza alternativa sta ampliando il suo perimetro di azione, coinvolgendo territori che fino a pochi anni fa erano considerati marginali rispetto ai circuiti del venture capital. È in questo contesto che si colloca il Crowdfunding Summit 2025, principale evento nazionale dedicato a questi temi, che per la sua prossima edizione sceglie Lecce come sede. Organizzato da Over Ventures in collaborazione con The Qube, l’appuntamento si terrà in un pomeriggio ricco di contenuti e connessioni professionali, con l’obiettivo di fare il punto sulle prospettive del mercato europeo dell’equity crowdfunding e sulle possibilità concrete di investimento in contesti dinamici come il Sud Italia.

    Lecce non è un caso
    Dopo la tappa 2024 a Roma, nella Casa delle Tecnologie Emergenti, il Summit sceglie di spostarsi nel cuore del Salento. Una decisione che ha un significato simbolico, ma anche operativo. Negli ultimi anni, la Puglia si è distinta come una delle regioni più attive nell’attrarre investimenti in innovazione, grazie a una combinazione di politiche pubbliche mirate, un ecosistema imprenditoriale in crescita e una forte spinta verso la digitalizzazione e la sostenibilità. Lecce, in particolare, è oggi una città in trasformazione, dove startup tecnologiche, iniziative culturali, turismo evoluto e nuove forme di economia civile stanno disegnando un modello di sviluppo originale. In questo scenario, strumenti di finanza alternativa come l’equity crowdfunding possono rappresentare una leva importante per far crescere progetti con un forte legame con il territorio ma con visione internazionale.


    Un’agenda densa e specialistica
    Il Crowdfunding Summit 2025 è pensato per un pubblico qualificato: investitori, founder, piattaforme, fondi, professionisti e attori dell’ecosistema dell’innovazione. Il programma prevede: La presentazione della ricerca esclusiva “European Equity Crowdfunding Landscape 2024/2025” a cura di Over Ventures, con dati, scenari e riflessioni strategiche su come evolve il mercato europeo dell’investimento equity-based. Due panel di discussione su temi chiave: “L’evoluzione del finanziamento early-stage nel Sud Europa”, con la partecipazione di VC, piattaforme e facilitatori dell’ecosistema; “Il VC non è l’unica strada”, che mette a confronto le esperienze di startup che hanno scelto l’equity crowdfunding per crescere senza passare da fondi tradizionali. Un momento di networking informale, essenziale per costruire connessioni operative tra chi cerca capitali e chi li mette a disposizione.

    Un’occasione per riflettere su dove sta andando l’innovazione
    Più che un evento, il Crowdfunding Summit è un osservatorio attivo su un mercato in costante evoluzione. In Italia, l’interesse per strumenti come l’equity crowdfunding continua a crescere, ma manca spesso un luogo di confronto aggiornato e verticale tra operatori del settore. Questo evento colma quel vuoto, mettendo in dialogo esperienze diverse e offrendo a investitori, fondatori e advisor una lettura condivisa dei trend futuri. Inoltre, l’edizione 2025 è l’occasione per dare visibilità alle tante iniziative imprenditoriali e progettuali che stanno prendendo forma nel Sud Italia, spesso con grande solidità e visione, ma ancora poco conosciute nei circuiti dell’investimento istituzionale. Il Summit vuole anche mettere in luce queste opportunità, connettendo capitale e idee in modo efficace.

    Un territorio che guarda avanti
    Il Salento non è (solo) una destinazione turistica. Sta diventando anche un laboratorio per nuovi modelli di sviluppo locale, dove innovazione, cultura, sostenibilità e imprenditorialità convivono. In questo senso, l’arrivo del Crowdfunding Summit rappresenta una tappa importante: non solo per chi lavora nella finanza alternativa, ma anche per il territorio stesso, che può trarre valore da un confronto nazionale su temi che oggi fanno la differenza nel mondo dell’economia reale. Per chi opera nel settore, partecipare a Lecce significa toccare con mano il potenziale di una regione in movimento. Per chi guarda alle dinamiche del capitale di rischio con un’ottica territoriale, è un’occasione utile per capire come la finanza possa sostenere progetti con impatto concreto. Il Crowdfunding Summit 2025 non promette rivoluzioni, ma offre strumenti, connessioni e visioni. Ed è proprio questo che serve, oggi, per costruire un futuro d’investimento più aperto e diffuso. Anche – e soprattutto – nel Sud.

    Per maggiori informazioni: https://crowdfundingsummit.eu/

    Matteo Cerri

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  • Torino, Assiom Forex “L’Italia e l’Europa avrebbero bisogno di maggiore cultura dell’Equity”

    Torino, Assiom Forex “L’Italia e l’Europa avrebbero bisogno di maggiore cultura dell’Equity”

    Lettera di Massimo Mocio, presidente della più grande associazione di persone nel mondo finanziario


    Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera di Massimo Mocio, presidente di ASSIOM FOREX al 31° Congresso annuale, iniziato ieri a Torino  con il supporto di Intesa Sanpaolo, in corso, alla presenza del governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta e dei ceo dei principali gruppi bancari italiani.

    Questo Congresso rappresenta da sempre un’importante occasione di confronto con le Istituzioni, le banche e gli operatori di mercato e ci offre l’opportunità di discutere delle tematiche più rilevanti per affrontare al meglio questo nuovo anno, che si prospetta complesso, pieno di rischi ma anche di opportunità.

    Il consensus di mercato prevede, per il 2025, una crescita economica più moderata in Europa rispetto agli Stati Uniti, ed un’inflazione in diminuzione a livello globale.

    Al contempo, i timori che il commercio mondiale venga sempre più utilizzato “a fini strategici” alimenta un forte clima di incertezza, rendendo particolarmente ardua ogni previsione.

    In un sistema “multipolare e frammentato”, le decisioni del Presidente Trump potrebbero obbligarci a riconsiderare le attuali prospettive – al ribasso per la crescita e al rialzo per l’inflazione – e, di conseguenza, le implicazioni per la politica monetaria.

    Una risposta asincrona è prevedibile:

    Le condizioni dell’economia americana non sembrano richiedere – al momento – una riduzione dei costi di finanziamento.

    Al contrario, sarebbe auspicabile da parte della Banca Centrale Europea un’accelerazione nel taglio dei tassi, data l’importanza di ridurre al più presto l’onerosità dei costi di finanziamento per famiglie e imprese, al fine di stimolare la ripresa della domanda.

    Infatti, sebbene la probabilità di uno scenario “stagflattivo” in Europa, rimanga molto bassa, il suo eventuale verificarsi comporterebbe inevitabilmente perdite rilevanti nei portafogli degli investitori, sia nel comparto obbligazionario che in quello azionario, vanificando i benefici della diversificazione, come già accaduto nel 2022.

    Ricordiamo che i mercati, soprattutto quelli azionari, vengono da 2 anni eccellenti: per l’indice S&P500 sono stati i migliori due anni consecutivi del Nuovo Millennio!

    Anche gli indici europei hanno performato molto bene: in particolare l’indice delle Banche europee ha ritrovato valori che non si vedevano dagli anni precedenti la “Crisi dei debiti sovrani” del 2011/2012.

    Persiste, purtroppo, un divario molto importante in termini di crescita e di competitività tra Europa ed America; un divario che ha spinto tanti Economisti e commentatori a parlare di “US Exceptionalism” e di “European Pessimism”.

    Tale “divaricazione delle prospettive” da un lato è alimentata dalla straordinaria capacità americana di mobilitare risorse per gli investimenti, soprattutto nel settore tecnologico, dall’altro dal dinamismo del mercato dei capitali americani, che favorisce l’innovazione e stimola la creatività.

    Due caratteristiche che sembrano mancare all’Europa e sulle quali ritorneremo brevemente più avanti.

    Se guardiamo ai trend di lungo periodo la superiorità americana nasce, in primis, dalla capacità di superare crisi epocali, con pragmaticità ed efficienza.

    Permettetemi di fare un po’ di storia, visto che tanti di noi l’hanno vissuta in prima linea: la Grande crisi finanziaria” del 2007/2008 è una “classica crisi del credito” che determina profonde perdite nei bilanci di banche, imprese e Stati.

    Evidentemente la Grande Depressione del ’29, ha insegnato agli Stati Uniti che il modo migliore per risolvere questo tipo di crisi è un approccio deciso: fare quello che noi chiameremmo il “mark to market” delle perdite e riconoscere che il sistema delle banche e delle grandi aziende ha due esigenze:

    1)  ripulire i bilanci dalle perdite

    2)  aumentare la dotazione di capitale;

    si è subito riconosciuto, in particolare che il sistema bancario aveva bisogno di più “equity”, più capitale di rischio, per far fronte a future crisi.

    E quindi in pochi mesi, è stato creato il TARP che ha assorbito circa 450 miliardi di crediti tossici, le banche sistemiche sono state salvate e ricapitalizzate.

    In Europa niente di tutto questo è successo; in mancanza di un approccio comune si è lasciato che all’inizio gli Stati risolvessero in autonomia la crisi. Nessuno lo ricorda più, ma lo Stato tedesco ha speso più di 200 miliardi di euro per salvare le proprie banche.

    Si sono create le condizioni per quella che gli economisti chiamano:  “balance sheet recession”, una recessione indotta dal tentativo di riparare gradualmente i danni fatti dalla crisi sui bilanci degli Stati, delle Banche e delle imprese.

    Le risorse primarie, e soprattutto il risparmio, son stati spesi per ripagare, col tempo, i debiti accumulati.

    E quindi per 15 anni l’Europa è entrata in uno scenario giapponese: deflazione, tassi zero o negativi, necessità di continui interventi statali per risolvere crisi ricorrenti.

    Si è creato il cosiddetto “doom loop”, un circolo vizioso distruttivo, tra Banche e Stati, altamente indebitati.

    È bene ricordare qualche numero: nel 2008 i PIL di America e d’Europa erano sostanzialmente equivalenti. Oggi l’economia americana è più grande di quella europea di 7 trilioni di dollari.

    E venendo al presente: la crescita americana è, da poco, stata rivista al rialzo dal Fondo Monetario Internazionale al 2,7% per quest’anno, quella europea è ancora prevista inferiore all’1%.

    La conseguenza di tutto questo è evidente: nel vecchio continente prevale una sorta di pessimismo “cosmico” economico.

    Inoltre, è cresciuta la consapevolezza che, senza interventi adeguati, questo divario è destinato a crescere ulteriormente.

    E soprattutto il risparmio dei cittadini europei migra e migrerà alla ricerca dei migliori rischi/rendimenti, andando a finanziare la crescita delle borse e del debito pubblico americano.

    È questo, ora, il vero “Doom loop”, la spirale del pessimismo dell’Europa.

    Questo a maggior ragione perché i mercati Europei dei capitali non sono integrati, e spesso non sono abbastanza profondi e liquidi.

    Negli ultimi 25 anni, il valore della capitalizzazione delle borse mondiali è quadruplicato, raggiungendo gli 80 trilioni di dollari. Ebbene le borse americane rappresentano oggi i due terzi del totale. Le borse europee un misero 15%.

    Nel vecchio continente, osserviamo una tendenza lenta, ma inesorabile: acquisizioni e fusioni di aziende quotate e un continuo susseguirsi di delisting, sono di gran lunga superiori ai nuovi collocamenti.

    Nel periodo 2015-2022, vi sono state più di 1.000 società cancellate dai principali listini europei.

    ……………….

    E fin qui direi che ci sono poche ragioni di ottimismo… ma è nelle fasi più critiche che l’Europa è in grado di rispondere, con slanci imprevisti e manovre comuni, di grande impatto ed efficacia.

    Pensiamo a quanto avvenuto dopo la Pandemia, con i programmi di acquisto della Banca Centrale di titoli pubblici del “PEPP” (Pandemic Emergency Purchase Program) e con le misure del “SURE” (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency) e “Next Generation Eu”.

    Occorre partire o ripartire dagli asset principali dell’Unione: un mercato di 400 milioni di consumatori, una manifattura che ha ancora in alcuni settori una supremazia tecnologica, e, soprattutto, mobilitare le imponenti risorse di risparmio – 33 trilioni di risparmi, come ricordava prima il Presidente del Cda di Intesa San Paolo, Gros Pietro  – che altrimenti andranno a finanziare altri mercati, altri rischi.

    Quello che vale per l’Europa vale a maggior ragione per l’Italia, Paese nel quale il risparmio privato rappresenta forse l’asset più importante che abbiamo, e dove 1,8 trilioni di euro sono ancora parcheggiati nei depositi bancari.

    Il requisito di tutto ciò è creare le condizioni per un vero mercato unico europeo dei capitali, preferibilmente accompagnato da una vera libertà di azione delle banche europee.

    Sul tema della Banking Union ci siamo più volte soffermati, e non è questa la sede per fare approfondimenti: da market practitioner, diciamo solo che siamo ancora molto lontani.

    Penso invece che, sul tema della Capital Market Union, passi avanti pragmatici si possano fare, in breve tempo.

    Lo ha espresso bene lo stesso Governatore Fabio Panetta, in vari interventi.

    Di cosa ha bisogno il mercato dei capitali europeo?

    –       In primo luogo, di un “asset comune privo di rischio”;

    –       e poi, di un “single rule book”, cioè di un contesto normativo più uniforme per i mercati degli stati membri.

    –       Ed Infine, di risolvere la frammentazione estrema dei mercati, che fa sì che in Europa ci siano 14 controparti centrali e 32 clearing houses (mentre negli Stati Uniti ci sono due società di compensazione di titoli e un solo sistema di clearing).

    A mio parere, aggiungo, che l’Italia e l’Europa avrebbero anche bisogno di più “Equity” o, meglio, di più “cultura dell’Equity”.

    Che ci piaccia o no siamo un’”economia del debito”.

    Ecco perché abbiamo impiegato 15 anni per uscire dalla grande crisi finanziaria.

    Manca una cultura che ponga il capitale di rischio al centro di ogni progetto di sviluppo, di ogni azienda di successo, di ogni iniziativa infrastrutturale.

    È questa “cultura dell’Equity”, del capitale di rischio che ha fatto sì che negli Stati Uniti tutte le “Magnifiche 7”, le società leader dei settori tecnologici – che oggi pesano per un terzo della capitalizzazione USA – siano state finanziate, fin dalla loro nascita, da capitali privati.

    ……………….

    Ma torniamo alle precondizioni per un mercato unico dei capitali in Europa.

    Elementi di ottimismo ci sono.

    Il primo: l’Europa ha già posto le basi per un titolo di debito comune privo di rischio.

    Parliamo, per la precisione, dei bond dell’Unione Europea emessi per finanziare i programmi SURE e Next Generation EU (NGEU) per circa 1 trilione di euro, dotati di una buona infrastruttura di mercato secondario, che garantisce agli investitori liquidità e spessore.

    Sono a tutti gli effetti titoli dell’Unione, garantiti dal bilancio europeo, con la partecipazione solidale di tutti gli Stati membri.

    Questo li rende, in prospettiva, potenzialmente equiparabili ai titoli di debito pubblico americano.

    Che cosa li penalizza?

    1)  Il programma termina nel 2026;  

    2)  il mercato non gli attribuisce ancora un merito di credito adeguato al loro rating, sebbene tali titoli soddisfino la maggior parte dei criteri per essere considerati un’attività sicura.

    Questi titoli vengono scambiati a sconto rispetto al Bund, ma quest’ultimo non può essere considerato un titolo privo di rischio. Il mercato se ne è reso conto nell’ultimo anno.

    Infatti, il movimento del Bund verso il tasso swap – che è definitivamente il vero tasso privo di rischio – testimonia un peggioramento importante del merito creditizio della Germania.

    Anche il movimento positivo del differenziale tra titoli italiani e tedeschi – che pensiamo possa continuare – è dovuto, in primis, ad un peggioramento relativo del rischio di credito tedesco. Analogo discorso vale per l’altro grande paese, la Francia.

    Di fronte al deterioramento del merito creditizio nei singoli Paesi dell’Unione, risulta “inevitabilmente” conveniente per tutti, rendere strutturale l’emissione di un titolo di debito comune, definendo esplicitamente quali spese comuni finanziare: settori quali quello della difesa, della transizione energetica, dello sviluppo digitale. Gli americani hanno appena stanziato 500 miliardi per il programma di Artificial Intelligence denominato “Stargate”.

    Il mercato apprezzerebbe grandemente un “safe asset” europeo, con un programma duraturo, anziché transitorio, riconoscendogli un elevato merito di credito.

    ……………….

    Per quanto riguarda gli aspetti “più tecnici” necessari per un vero mercato unico dei capitali, apprezziamo la recente iniziativa della Commissione Europea, denominata Savings and Investment Union (SIU), e siamo pronti come Assiom Forex a collaborare per definirne i passaggi tecnici.

    Altresì evidenziamo – come ripetutamente fatto da Mario Draghi – che bisogna agire con “urgenza e concretezza”.

    Suggeriamo, quindi, di concentrarci sulle cose che si possono fare nel breve termine.

    Per prima cosa, sfruttiamo la transizione digitale: i mercati nei prossimi anni non saranno più quelli che abbiamo conosciuto, gli impatti determinati dalla tokenizzazione degli asset e dall’intelligenza artificiale pongono sfide che vanno affrontate tempestivamente.

    Su questo l’Europa non è in ritardo.

    Sono già state effettuate emissioni di obbligazioni e commercial paper che sfruttano la Digital Ledger Technology, con regolamento “T-0” e valuta di banca centrale.

    È un progetto che ha avuto grande successo, che il sistema bancario ha portato avanti in collaborazione con la Banca d’Italia; a questo riguardo ringrazio ancora pubblicamente la Vice Direttrice Generale, Dott.ssa Chiara Scotti, che ci ha supportato con grande impegno fin dall’inizio.

    Ma ovviamente non basta: crediamo che sia necessaria un’accelerazione nella definizione e adozione dell’euro digitale, quale moneta di banca centrale.

    Senza volerci dilungare in questioni più alte, dobbiamo essere consapevoli che oggi le “digital currency” possono essere uno strumento non solo di politica monetaria, ma un fondamentale asset, di valenza geopolitica.

    Non è un caso che la Cina abbia già una valuta digitale di banca centrale e che gli americani non vorranno mai un dollaro digitale, ma favoriranno un ulteriore proliferare di “stablecoin” o, peggio, di “meme-Coin”, il cui valore intrinseco è totalmente dissociato da ogni logica monetaria ed economica.

    L’euro digitale è un’opportunità per l’Europa per accelerare il recupero della sua centralità nei mercati, incrementando l’appetibilità dei propri asset nel lungo periodo.

    Un “titolo comune europeo privo di rischio” e l’“euro digitale di banca centrale” sono le condizioni fondamentali per competere nello scenario odierno, in condizioni paritarie con il Treasury americano e con il dollaro, come riserve di valore internazionale.

    …………..

    Ma c’è almeno un ulteriore motivo in Europa per essere ottimisti: sono le eccellenti condizioni del sistema bancario.

    Ormai da almeno un paio di anni, le banche non sono più il problema, ma la soluzione del problema. Oggi, sono un presupposto stabile e un fattore di sviluppo per l’economia europea.  

    In assenza di un mercato unico dei capitali, gli istituti finanziari europei sono il maggior finanziatore di famiglie e imprese, nonché i principali custodi dell’ingente mole di risparmio dei cittadini europei.

    Dopo anni di tassi negativi e di accantonamenti per ridurre i “Non Performing Loans”, i bilanci sono solidi, i livelli di capitale e liquidità elevati e – anche grazie al rialzo repentino dei tassi di interesse a breve termine -la redditività è in forte miglioramento.

    Possiamo dire che ci siamo lasciati, definitivamente, alle spalle le eredità della Grande Crisi Finanziaria.

    A conferma della percezione di una maggiore solidità del settore, le banche italiane sono tornate a quotare almeno il loro valore di libro, dopo essere scese fino a un quarto di tale valore.

    In questo scenario ottimistico, è comunque essenziale tenere ben presenti quelli che sono dei rischi intrinseci dell’attività bancaria, tra cui quelli:

    –      di carattere congiunturale,

    –      regolamentare,

    –      e, non ultimo, di struttura del mercato del credito.

    In primo luogo, l’attuale fase di riduzione dei tassi e di debolezza del contesto economico comporteranno il contrarsi dei margini di interesse e, ceteris paribus, un potenziale aumento delle sofferenze.

    Emergeranno gli istituti che si dimostreranno capaci di accelerare la transizione digitale e diversificare il business per preservare competitività e redditività.

    Ma al contempo, la riduzione del costo del capitale, incrementerà la componente commissionale, legata alle attività di capital markets, investment banking ed asset management.

    Quanto al rischio di Regolamentazione è fondamentale sfruttare una maggiore flessibilità nell’implementazione del pacchetto finale di regole di Basilea III, per evitare svantaggi competitivi alle nostre banche.

    Il Regno Unito ha già optato per posticipare a gennaio 2027.

    Al contempo, le dichiarazioni dell’amministrazione Trump sembrano indicare una riduzione significativa dei requisiti regolamentari per le banche americane.

    Il campo non sarà più “livellato”: in mancanza di un adeguamento anche in Europa, si rischia di avere un impatto competitivo negativo e sproporzionato per gli istituti del Vecchio continente.

    …………

    Last but not least” – da ultimo ma non come ultimo – desidero richiamare la vostra attenzione sull’importanza della complementarità, ma al tempo stesso della crescente competizione tra banche e “soggetti finanziari non bancari”, nel finanziamento dell’economia reale europea.

    Complice la stretta del credito seguita alla Grande Crisi Finanziaria, gli operatori di credito privato hanno ampliato il loro raggio d’azione, passando dai tradizionali leveraged buyout e investimenti in capitale privato di rischio, a strumenti creditizi più tradizionali, inclusi i “senior loans”, andando in concorrenza diretta con il settore bancario.

    Questo cambiamento epocale nei mercati globali del credito sta ridefinendo le tradizionali fonti di valore del nostro settore: da un lato ci sono nuove opportunità per le banche in grado di “cooperare” con i nuovi attori (mediante la costituzione di joint venture ed attività in condivisione), ma dall’altro cresce il rischio di un contesto competitivo che favorisce gli arbitraggi regolamentari.

    L’attenzione da parte delle Autorità sul sistema delle “Non Bank Financial Institutions” è già evidente: auspichiamo che il risultato ultimo della normativa sia quello di favorire la complementarietà delle attività con il sistema bancario, al fine di garantire le migliori condizioni, di breve e di lungo termine, per il finanziamento dell’economia reale.

    CONCLUSIONI

    Il 2025 si presenta come un anno carico di sfide che ci apprestiamo ad affrontare fiduciosi, alla luce degli importanti traguardi fin qui raggiunti.

    Per gestire con lucidità le complessità attuali, un fattore chiave sarà dato dal prezioso bagaglio di competenze ed esperienze accumulato da chi – come molti di noi di Assiom Forex – ha saputo superare, con coraggio e passione, le grandi crisi del passato.

    Sono competenze ed esperienze che da sempre ci impegniamo a trasmettere agli associati più giovani.

    Per quel che concerne il mondo Associativo, dobbiamo ora essere pronti a traghettare le nostre organizzazioni verso una nuova dimensione, per essere in grado di cogliere le opportunità che sicuramente emergeranno, per accrescere la nostra autorevolezza e promuovere la cultura finanziaria del sistema.

    In questo percorso, Assiom Forex – la più grande associazione di persone nel mondo finanziario in Europa – si porrà come soggetto aggregatore per le tante organizzazioni italiane ed estere che agiscono sui mercati finanziari.

    Siamo certi che Assiom Forex, con i suoi Associati e con il supporto delle nostre Banche e delle Istituzioni, continuerà a essere in prima linea per rendere i nostri mercati ancora più efficienti e sicuri, per le famiglie e le imprese, per i risparmiatori e gli investitori, italiani ed europei.

    E’ con questo messaggio, di impegno e di speranza, che ringrazio ancora tutti Voi per la partecipazione e per l’attenzione”.

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  • Finanza, iBanFirst semplifica i pagamenti delle imprese

    Finanza, iBanFirst semplifica i pagamenti delle imprese

    Parla Michele Sansone, country manager della fintech sbarcata in Italia due anni fa


    Cresce a ritmo serrato iBanFirst in Italia. La fintech è sbarcata in Italia nel mese di aprile 2022, ritagliandosi un’importante fetta di mercato: punto di riferimento per i pagamenti internazionali b2b di nuova generazione, rivolgendosi alle PMI con un’offerta tecnologica innovativa di servizi finanziari. Questo servizio è fondamentale per le imprese perché velocizza il lavoro e favorisce un aumento degli scambi commerciali. Negli ultimi 12 mesi iBanFirst ha processato in Italia un valore straordinario di oltre 400 milioni di euro di transato valutario. Moltiplicato anche il numero di clienti che ha ormai superato le centinaia di aziende, grazie all’impegno del team italiano, guidato dal country manager Michele Sansone (in foto), che ha raggiunto le 15 risorse oggi e punta a raddoppiare il numero di dipendenti nel prossimo biennio. La crescita di iBanFirst in Italia segue quella del gruppo presente con 13 sedi in 10 Paesi europei che, negli ultimi 5 anni, ha raggiunto risultati straordinari registrando uno sviluppo di +55% anno su anno, con un volume di transazioni mensili del valore di 1,5 miliardi di euro e oltre 10mila clienti, confermandosi per il quinto anno consecutivo nella classifica FT 1000 del Financial Times.

    Con Michele Sansone cerchiamo di approfondire questo argomento di finanza che coinvolge l’economia delle imprese.

    Quali vantaggi principali registrano le imprese con i vostri servizi?

    «Principalmente due: il primo di natura operativa consentendo alle aziende nostre clienti, prevalentemente piccole e medie imprese, che rappresentano l’80% del tessuto economico italiano, di semplificare i pagamenti su scala internazionale, in valute diverse dall’euro. La nostra piattaforma, tecnologicamente avanzata, consente di combinare in un unico cruscotto incassi e pagamenti di fornitori, partner e dipendenti, permettendo alle aziende di ricevere pagamenti ed erogarli in maniera rapida e autonoma in qualsiasi parte del mondo nelle varie divise locali. Rispetto ai tradizionali istituti di credito, il processo risulta quindi molto più agile e snello, permettendo all’azienda sia di collegarsi indipendentemente e in tempo reale al mercato valutario per beneficiare delle stesse condizioni che solitamente vengono riservate alle grandi aziende, sia di operare attraverso il confronto diretto con gli specialisti di iBanFirst. Il secondo grande vantaggio è di natura economica con risparmi possibili grazie all’abbattimento dei costi accessori che pesano sui servizi offerti generalmente dalle banche».

    Come è strutturata la vostra piattaforma finanziaria?

    «La nostra piattaforma è stata progettata per offrire sicurezza, efficienza e semplicità di utilizzo nelle operazioni finanziarie multivaluta. Una soluzione tecnologicamente all’avanguardia, intuitiva e compatibile con i principali software di contabilità e tesoreria che offre in un’unica dashboard tutto ciò che occorre per gestire le operazioni valutarie, accedere a tassi di cambio competitivi e mantenere un controllo in tempo reale sulle ultime operazioni e sul saldo di tutti i conti, fondamentale per un’impresa che opera sui mercati internazionali per prendere decisioni strategiche consapevoli e garantire la stabilità finanziaria dell’organizzazione e gestirne i relativi rischi».

    Quanto incide l’area geografica dove opera un’impresa?

    «Tantissimo, in un’economia sempre più globale e interconnessa, aspetti come la disponibilità di risorse, le regolamentazioni locali, il costo del lavoro, ma anche il tasso di cambio, possono influenzare l’espansione internazionale di un’impresa. La recente crisi nel canale di Suez ne è una testimonianza evidente che sta impattando sul commercio globale mettendolo in grave difficoltà, considerando che il 21% transita da lì. Ricordiamo anche lo shortage delle materie prime in epoca pandemica che ha rappresentato una sfida per molte industrie, mettendo in evidenza la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento globali. Diversificare clienti e fornitori è la chiave per riuscire ad assorbire l’eventuale rischio operativo che trasformazioni nel contesto macroeconomico e geopolitico, sempre più frequenti, possono portare alla stabilità di un’azienda».

    Quali sono i rischi più comuni quando si usa la multivaluta?

    «I rischi delle operazioni che presuppongono costi e ricavi in divise diverse sono numerosi. Spesso le piccole e medie imprese che operano a livello globale si scontrano con procedure lente e frammentate e tassi di cambio imprevedibili che possono compromettere le aspettative di guadagno derivanti dalla compravendita. Avere a disposizione strumenti di protezione dal rischio cambio su misura, messi a disposizione da un istituto di pagamento, come il nostro, capaci di limitare questo rischio, si rivela fondamentale per un’impresa che voglia evitare un’erosione dei margini per il tasso di cambio».

    I vostri professionisti in che modo supportano le imprese?

    «iBanFirst mette a disposizione delle aziende un team di specialisti finanziari a contatto diretto con l’azienda che può avere la tranquillità di concentrarsi sul proprio core business sapendo che la gestione operativa dei propri pagamenti internazionali è in buone mani. I nostri esperti mettono a disposizione competenze su scenari diversi, potendo accedere direttamente ai mercati valutari, e una profonda esperienza che permette di rispondere alle aziende con una strategia di copertura personalizzata e un  obiettivo: la protezione del margine aziendale in base alle specifiche esigenze ed esposizioni valutarie».

    Francesco Fravolini

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  • Gestione finanziaria: da utili a patrimonio. I consigli di Sonia Canal

    Gestione finanziaria: da utili a patrimonio. I consigli di Sonia Canal

    E’ il libro della Coo del network Partner d’Impresa, pubblicato da Engage Editore

    Da utili a patrimonio”: è il titolo del libro scritto da Sonia Canal, Chief Operations Officer di Partner d’Impresa, network professionale in franchising, che riunisce commercialisti, consulenti del lavoro, avvocati, esperti in privacy e sicurezza e specialisti di finanza agevolata. https://www.partnerdimpresa.it/

    Il volume, edito da Engage Editore, affronta in tre macro sezioni gli aspetti fondamentali della gestione finanziaria, fornendo esempi pratici e schemi di confronto per acquisire la comprensione di alcuni principi di funzionamento fondamentali.

    La prima parte è dedicata a esaminare la differenza tra utili di esercizio e liquidità effettiva, per imparare a formulare prodotti in grado di generare guadagni i reali. La seconda parte spiega come ricavare dai profitti reali un patrimonio personale protetto, ragionando anche su come pianificare lo sviluppo di un’eredità aziendale proficua. Infine, il terzo capitolo presenta gli strumenti utili per la diversificazione del patrimonio, analizzando le tipologie di investimento più idonee, utili a ottenere rendite passive.

    “Saper realizzare correttamente un preventivo capendo come calcolare spese e ricavi, imparare ad accantonare ogni giorno i guadagni in modo consapevole, saper gestire i soldi affinché diano serenità nei momenti di difficoltà finanziaria e pianificare passaggi di proprietà aziendale in previsione della pensione, sono aspetti importanti quanto saper svolgere bene la propria professione – spiega Sonia Canal – Tanti sono gli imprenditori che, carenti di queste informazioni, si sentono schiacciare dalla pressione fiscale, si indebitano, si ritrovano a non riuscire a pagare regolarmente i fornitori anche se lavorano tantissimo. L’obiettivo del manuale è sensibilizzare l’imprenditore nell’apprendere le basi della cultura aziendale in modo semplice e diventare consapevole dei meccanismi di funzionamento della propria azienda” .

    Gli step fondamentali: la liquidità, la pianificazione e gli investimenti. Sfogliando le pagine del libro, si scoprono nozioni base che è utile sapere. Per esempio, che generare utili da bilancio non significa necessariamente avere soldi reali sul conto corrente. Questa prima consapevolezza serve all’imprenditore a prevedere con largo anticipo le crisi e saperle gestire.

    Da qui nel libro seguono alcuni consigli focalizzati a calcolare utili e liquidità e a mantenere un equilibrio stabile tra questi nel tempo. Per esempio, con la creazione di procedure sistematiche di incasso, la definizione corretta dei contratti e le modalità di recupero crediti.

    Il manuale invita a ragionare sull’unicità dei propri prodotti e servizi, realizzando un’analisi del mercato e della concorrenza e ponendosi le giuste domande per cogliere quali siano le caratteristiche che potrebbero rendere la propria offerta differente dalla concorrenza. Individuati i prodotti e servizi da valorizzare, è necessario capire come poter ottimizzare i costi fissi e variabili.

    Il libro continua con alcuni consigli pratici per la gestione della liquidità e offre, sul finale, una panoramica degli strumenti fiscali a disposizione per ottimizzare i propri guadagni e trasformarli in patrimonio protetto. Tra questi, effettuare investimenti in protezioni assicurative, pianificazioni successorie e fondi pensione privati. Si spiega poi,  come pianificare l’eredità aziendale attraverso strumenti diversificati – per esempio, con l’apertura di holding, redazione di patti di famiglia e identificazione di un trust fiduciario – e vengono presentate, infine, le diverse possibilità a disposizione per ottenere rendite passive, diversificando gli investimenti in tipologie di differenti, compiendo le dovute valutazioni.

    Il libro “Da utili a patrimonio”, disponibile nel circuito delle librerie nazionali e su Amazon https://www.amazon.it/UTILI-PATRIMONIO-dallimpresa-raggiungere-finanziaria/dp/B0CQSWNB1F, sarà oggetto di approfondimento e focus divulgativi specifici nell’omonimo evento di formazione rivolto agli imprenditori interessati ad acquisire competenze di gestione aziendale, organizzato da Partner d’Impresa e in programma a Bologna l’11 marzo. (info e dettagli, https://www.dautiliapatrimonio.it/).

    L’iniziativa avrà come punto di partenza i dati sull’imprenditoria italiana, elaborati da una ricerca Istat del 2023, su oltre 1000 titolari di azienda. Dallo studio deriva che il  71,8 % degli imprenditori ha dichiarato che il patrimonio attualmente in suo possesso non gli garantirebbe il medesimo tenore di vita in futuro; il 62,5 % non ha investito nel tempo per ottenere almeno un’ entrata passiva; l’ 85 % una diffusa tendenza a NON tutelare il proprio patrimonio personale, mettendo a rischio tutto ciò che ha costruito nel tempo. Ogni anno in Italia il 30% delle attività si ritrova a dover affrontare il processo di passaggio generazionale senza alcun tipo di tutela e pianificazione.

    La Redazione

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  • Ai applicata alla Finanza: entro il 2030 il mercato globale supererà i 55 miliardi di dollari di fatturato

    Ai applicata alla Finanza: entro il 2030 il mercato globale supererà i 55 miliardi di dollari di fatturato

    Con gli algoritmi maggior efficienza operativa, vantaggi sui competitor. Parla Francesco Elmi (QuestIT)


    Dalla maggior efficienza operativa (43%) all’ottenimento di un vantaggio sui competitor (42%), fino alla realizzazione di report più accurati (27%): ecco le principali motivazioni che spingono aziende e professionisti del settore finanziario ad affidarsi alla tecnologia del momento.

    E in Italia, qual è il rapporto tra Ai e finanza?

    Secondo l’indagine condotta dalla tech company QuestIT su scala nazionale, la finanza è il secondo settore, dietro alla PA, in cui l’AI risulta maggiormente utilizzata, in particolar modo al Nord (79%), seguita dalle regioni del Centro (14%) e del Sud (7%).

    “Algoritmi, avatar e piattaforme non solo velocizzano l’operatività, ma accrescono anche il business delle singole financial organization – afferma Francesco Elmi (in foto) Chief Marketing Officer di QuestIT – La finanza è l’arte di far passare i soldi di mano in mano, finché non spariscono”: le parole di Robert W. Sarnoff, noto uomo d’affari americano del ‘900, descrivono alla perfezione un settore in cui precisione, efficienza e anche un pizzico di scaltrezza non possono mai mancare. Ma non è ttutto perché, secondo una serie di ricerche effettuate per QuestIT, i professionisti del finance asset risultano anche estremamente aperti alle nuove tecnologie, tra cui l’intelligenza artificiale. Le prime conferme in merito giungono da Future Data Stats: entro i prossimi 6 anni il mercato globale dell’AI applicata nell’universo finanziario avrà una grande esplosione. Verrà infatti superata quota 55 miliardi di dollari di fatturato (+450% sul 2023), con una crescita media annuale composta del 23%. Entrando più nel dettaglio, da una recente indagine di Benefits Pro emerge che negli Stati Uniti oltre 7 consulenti su 10 (72%) sfruttano già quotidianamente le potenzialità dell’artificial intelligence per velocizzare i singoli processi operativi e ottenere risultati finali più soddisfacenti.

    Il trend coinvolge anche l’Europa: secondo quanto riportato da Channel Eye, il 60% delle aziende finanziarie del Vecchio Continente di recente ha incrementato i propri artificial intelligence investment per mettere la tecnologia a disposizione dei loro professionisti.

    “L’intelligenza artificiale non sostituirà mai i professionisti della finanza, anzi li accompagnerà passo dopo passo nelle mansioni quotidiane – afferma Francesco Elmi, Chief Marketing Officer di QuestIT – Le applicazioni della tecnologia del momento nell’universo finanziario, infatti, sono innumerevoli e vengono definite nel dettaglio da Statista. A questo proposito, per il 43% dei financial advisor globali l’AI ha garantito una maggiore efficienza operativa nel corso del 2023. Nello stesso arco di tempo, la tecnologia ha fornito un vantaggio nei confronti dei competitor nel 42% dei casi e, per concludere, ha realizzato report più accurati nel 27% delle occasioni. Entrando più nel dettaglio, l’uso di interfacce conversazionali, come assistenti virtuali, alimentati da IA generativa risulta essenziale, soprattutto, in fase di reperimento e analisi dei dati. Questo processo è particolarmente vantaggioso per i team dirigenziali, i quali accedono ad informazioni precise in modo tempestivo e, di conseguenza, riescono a prendere decisioni strategiche in periodi di tempo relativamente brevi. In Italia stiamo crescendo molto sotto questo punto di vista, ma potremmo farlo molto più in fretta. Per questo motivo, in qualità di azienda punto di riferimento del settore nel Bel Paese, forniamo a banche ed organizzazioni finanziarie avatar e digital human in grado di supportare collaboratori e clienti a 360°”.

    Secondo altri esperti, i cosiddetti “AI powered algorithm” che, esaminando volumi importanti documenti e file, identificano con anticipo potenziali rischi e truffe, salvaguardano la sicurezza economica dei soggetti coinvolti. Inoltre, sistemi basati sull’AI, monitorando il mercato e le azioni 24/7, possono rilevare l’insorgenza di eventuali frodi e salvare business. E ancora, l’AI risulta estremamente utile anche in ottica trading perché, studiando i principali trend di mercato, può prevedere eventuali flessioni o cambiamenti dell’ultimo minuto, incrementando così l’efficacia delle scelte messe a terra dai trader. Per ultimi, ma non meno importanti, esistono anche digital humans che, inseriti all’interno di apposite piattaforme, assumono il ruolo di personal banking advisor personali, completamente integrati nei sistemi, capaci di garantire un servizio clienti esclusivo e personalizzato.

    La Redazione

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  • Manuela Donghi: “Ora la finanza è per tutti. Anche per chi non l’ha mai capita”

    Manuela Donghi: “Ora la finanza è per tutti. Anche per chi non l’ha mai capita”

    Giornalista, ha scritto un libro con Mursia per rendere più semplice la materia


    È nelle librerie italiane La Finanza per tutti. Anche per chi non l’ha mai capita, (Mursia, pagine 282, 17euro), il nuovo libro di Manuela Donghi (con la Prefazione di Vittorio Feltri ) che spiega in maniera chiara e semplice, concetti e argomenti del mondo finanziario per riuscire a gestire in prima persona i propri risparmi. L’argomento è sovente discusso nei talk show politici proposti dalla televisione pubblica e privata, chiamando in causa esperti economisti. Questa esigenza di conoscere la situazione economica e finanziaria nasce dal momento storico in cui l’Italia conosce profonde crisi economiche (2007, 2009, 2011). La finanza fu un argomento che riuscì a catalizzare l’attenzione riscuotendo molto interesse. Da quel periodo storico siamo usciti più informati e forse più consapevoli del ruolo della finanza. Per non parlare del recente periodo di inflazione. Con la risalita dei prezzi e dei tassi di interesse, la conoscenza è sempre più importante per comprendere le conseguenze sulle scelte economiche.

    Il libro di Manuela Donghi risponde proprio a queste specifiche esigenze: essere un punto di riferimento mediante il quale spiegare concetti difficili in maniera accattivante e divulgativa.

    Con Manuela Donghi, giornalista professionista, conduttrice televisiva e radiofonica, vicedirettore editoriale di Giornale Radio, autrice e conduttrice della trasmissione Next Economy, head of summit a «Le Fonti Tv», cerchiamo di conoscere l’argomento del libro, per comprendere le diverse sfaccettature della finanza.

    Perché nasce questo libro?

    «Ha origine da una domanda precisa: “Quanto ne sappiamo di economia e finanza?” Ce lo siamo mai chiesti? Forse no, perché l’errore più comune è credere che riguardino solo i cosiddetti “esperti”. In Italia, il livello di educazione finanziaria è sempre stato storicamente più basso rispetto alla media dei Paesi Ocse, quindi è il momento di fare sul serio, perché la scarsa conoscenza costa: pesa ogni anno sulle famiglie per migliaia di euro. Con il periodo di inflazione e le recenti crisi economiche, la risalita dei prezzi e dei tassi di interesse, la conoscenza è sempre più importante per comprendere le conseguenze sulle nostre scelte economiche. Pubblico da qualche anno la mia rubrica La finanza spiegata alla gente su “Libero Quotidiano”, e tanti miei lettori hanno chiesto questa raccolta delle varie puntate, per disporre di un manuale pratico che potesse aiutare a capire parole, concetti, termini e temi di attualità, spesso non compresi pienamente».

    Come spiegare argomenti complessi in maniera coinvolgente?

    «La mia mission? O meglio, quella che ormai mi è stata attribuita, è quella di rendere la materia seria ma non seriosa. Questo è uno slogan che mi sono inventata e che mi porto appresso, perché ne sono convinta al 100%. Se ci pensiamo bene vale per qualsiasi cosa: quando un argomento ci sembra noioso o semplicemente lontano da noi, proviamo a percorrerlo attraverso un’altra strada. Nel caso della finanza, per esempio, pensando che se riusciamo a essere più sul pezzo sulle basi, possiamo evitarci fregature e magari rispondere a tono a chi cerca di darcene!».

    Che ruolo assume la finanza nella vita quotidiana?

    «La finanza e l’economia sono ovunque, sempre con noi. Qualche esempio? Quando usciamo di casa e controlliamo quanti contanti abbiamo nel nostro portafoglio, quando andiamo al supermercato e siamo in grado di confrontare le offerte senza farci attirare da prodotti civetta. A proposito, sappiamo cosa sono? Oppure quando andiamo in Banca e, parlando con il nostro referente, riusciamo a capire cosa ci sta proponendo. Quattro occhi sono meglio di due e quattro orecchie sono meglio di due..».

    Le persone come vivono gli andamenti dei mercati finanziari?

    «Non li vivono nel vero senso della parola, ma si affidano a notizie buttate qua e là, spesso senza nemmeno verificare le fonti. E questo è facilmente intuibile, altrimenti non saremmo agli ultimi posti nelle classifiche ufficiali di livello di alfabetizzazione finanziaria. I mercati finanziari sono considerati solo dagli esperti del settore oppure da appassionati».

    Che frasi utilizzare per diffondere tranquillità nelle persone preoccupate dalla finanza?

    «Quando una cosa non si conosce fa più paura. Non ci sono formule magiche o segreti particolari, se non quello di leggere, informarsi, chiedere, parlare con chi ne sa più di noi. Se non ti occupi della finanza, prima o poi la finanza si occuperà di te. Ogni giorno abbiamo a che fare con previsioni, numeri e conti: bisogna per forza farseli amici!».

    Francesco Fravolini

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  • Meglio investire in azioni o obbligazioni? Vincenzo Farina: “Prima conosci te stesso”

    Meglio investire in azioni o obbligazioni? Vincenzo Farina: “Prima conosci te stesso”

    Parla il docente di Economia degli Intermediari Finanziari, autore di un libro

    Vincenzo Farina, docente di Economia degli Intermediari finanziari, autore di un libro

    Perché alcuni alla sicurezza preferiscono l’utile e il rischio? Scegliere di investire in obbligazioni è una scelta dettata solo dalla ragione?

    Di questi temi si è occupato in un libro (Investire alla velocità del pensiero), pubblicato di recente (Franco Angeli), Vincenzo Farina, professore associato di Economia degli Intermediari finanziari all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e Adjunct Professor di Financial Management e Financial Markets all’Università Bocconi.

    In poco meno di centottanta pagine, l’autore – che è anche presidente dell’organo di revisione  e membro del gruppo di ricerca dell’Associazione  interuniversitaria di Neuroeconomia BrainLine – spiega perché molte nostre decisioni sono il risultato di processi inconsci. E questo nonostante il nostro cervello, che rappresenta il 2 percento del peso totale di una persona  (con un peso di  1500 grammi  e un volume compreso tra i 1100 e i 1300 cm cubici), sia in perenne attività, controlli ogni nostra azione, ci faccia sperimentare il mondo e, in fondo, ci renda unici come i individui.  

    Proviamo a capirne di più con il docente, partendo da una curiosità.

    Professore, cos’è la neuroeconomia?

    Un campo di ricerca interdisciplinare che combina neuroscienze, economia, psicologia e altre scienze sociali per analizzare i correlati neurali delle scelte individuali. Il cervello gioca un ruolo cruciale nei processi decisionali e questo campo di ricerca unisce la comprensione economica del comportamento umano con la conoscenza dell’attività cerebrale. Si parla di neuroeconomia fin dagli anni ‘90, quando l’economia comportamentale ha iniziato a utilizzare strumenti di imaging cerebrale per studiare i processi decisionali. La neuroeconomia è quindi una disciplina ancora piuttosto giovane, cresciuta molto negli ultimi decenni.

    Quanto è attendibile?

    Come per qualsiasi campo di indagine, l’attendibilità dei risultati degli studi di neuroeconomia dipende dalla qualità della ricerca e delle tecniche utilizzate per studiare le decisioni ed il comportamento delle persone. Tra queste ultime si segnala la risonanza magnetica funzionale (fMRI), che permette di osservare l’attività del cervello durante le varie fasi del decision making. Mentre l’economia tradizionale spiega come dovremmo comportarci in teoria e l’economia comportamentale studia come ci comportiamo in pratica, la neuroeconomia si concentra sul perché dei nostri comportamenti, sulle decisioni dei consumatori, degli investitori e dei produttori, così come sulla valutazione del valore, della fiducia e della cooperazione. L’obiettivo principale della neuroeconomia è creare modelli economici teorici e empirici sempre più accurati e integrare le conoscenze neuroscientifiche con la teoria economica tradizionale.

    Nel suo libro spiega come alcuni colori, livelli di glucosio bassi nel sangue, una pancia vuota, una forte stanchezza ci facciano perdere l’autocontrollo e portino a determinate scelte anche in altri ambiti. Alludo alle sentenze dei giudici.  Dunque, anche uno stato intestinale non proprio in salute ci spinge all’azzardo.

    Il mio non è un libro di neuroeconomia. Il focus sono le decisioni economiche e finanziarie e tutto ciò che le può influenzare. Modelli economici tradizionali, economia comportamentale e neuroeconomia forniscono gli strumenti per l’indagine e in qualche modo rappresentano la cassetta degli attrezzi. Nel tempo il nostro cervello ha sviluppato meccanismi di pensiero rapidi e intuitivi che funzionano bene in diverse situazioni. Questo significa che le decisioni non sono sempre basate esclusivamente sulla razionalità e sulla logica, ma sono anche influenzate dalle reazioni emotive e istintive. Quando le informazioni sono incomplete o ambigue, per prendere una decisione noi ci affidiamo alle euristiche o alla pancia. Se da un lato questo può portare a errori o a scelte non ottimali, dall’altro lato, le euristiche non sono necessariamente sempre un male.

    Perché?

    In base alla conoscenza e all’esperienza della persona e alla natura della scelta da compiere, esse hanno il potenziale per essere efficaci strumenti di decisione. Del resto, hanno contribuito in maniera rilevante alla nostra evoluzione come esseri umani, garantendo la sopravvivenza della nostra specie di fronte alle non poche minacce ambientali. Tuttavia, quello che ha funzionato per millenni non è sempre efficace in alcuni contesti, come quello delle decisioni economiche e finanziarie.  Il denaro rappresenta un’invenzione relativamente recente nella scala temporale dell’evoluzione e i mercati finanziari sono un’invenzione ancora più recente.

    Quali sono le maggiori trappole, i meccanismi distorti delle nostre decisioni economiche e finanziarie?

    Ce ne sono molti. Però, tra i più importanti quando si parla di investimenti, ci sono: L’eccesso di fiducia / overconfidence. Si riferisce alla sopravvalutazione delle proprie capacità di prendere decisioni efficaci sui mercati finanziari. Bias di conferma. E’ la tendenza delle persone a cercare, interpretare e ricordare le informazioni in maniera selettiva, in modo tale da confermare le proprie convinzioni e credenze preesistenti, e ignorare o minimizzare le informazioni che non lo fanno. In altre parole, una persona tende ad accettare solo le informazioni che si adattano alla propria visione del mondo e filtra tutto il resto.

    Poi?

    Fallacia del tasso di base. E’ la tendenza a giudicare erroneamente la probabilità di una situazione, non tenendo conto di tutti i dati rilevanti. Effetto framing. Si riferisce all’influenza esercitata su chi decide delle modalità con cui le informazioni vengono presentate, a prescindere dal loro contenuto effettivo. Herding bias. L’abitudine a seguire il comportamento degli altri investitori, senza analizzare in modo critico le proprie scelte di investimento.

    Cosa avviene nel nostro cervello quando non riusciamo ad autocontrollarci e cosa ci dà estrema sicurezza anche quando ci sono rischi concreti?

    In generale, la propensione al rischio di una persona è determinata da una complessa interazione tra: disposizione cerebrale individuale e fattori ambientali, tra cui esperienze passate, formazione ed educazione. Dal punto di vista neurologico, la nostra corteccia prefrontale gioca un ruolo importante nell’esecuzione del controllo cognitivo e nella valutazione delle conseguenze delle nostre azioni. Tuttavia, quando siamo esposti a situazioni stressanti o abbiamo la possibilità di ottenere un guadagno elevato, il nostro sistema limbico può prendere il sopravvento e spingerci a prendere decisioni irrazionali.

    Cosa avviene, invece, in soggetti con problemi al cervello?

    In soggetti che presentano lesioni cerebrali possono osservarsi comportamenti differenti, a seconda delle aree del cervello compromesse. Ad esempio, in un esperimento si è visto come i soggetti con lesioni orbitofrontali fossero insensibili al livello di ambiguità e incertezza che caratterizzava determinate scelte.

    Quanto incidono le informazioni, quindi le notizie che diffondono i media, sulle nostre scelte economiche e finanziarie? E le mode collettive sulle scelte individuali?

    La conoscenza passa attraverso le informazioni e, certo, le notizie dei mass media contribuiscono alla diffusione delle informazioni fra gli investitori. Occorre, però, considerare alcuni aspetti. In primo luogo, il nostro cervello non è in grado di processare correttamente un volume elevato di informazioni, notizie. Quindi non necessariamente miglioriamo l’efficacia delle nostre decisioni. Inoltre, troppe informazioni possono aumentare il nostro senso di fiducia nelle decisioni, non necessariamente migliori. Infine, la rappresentazione delle informazioni può incidere sulla loro corretta interpretazione e innescare reazioni più o meno marcate in chi legge e vuole investire in base ad esse. Da questo punto di vista, sappiamo che i mass media competono fra loro per avere l’attenzione dei lettori e sappiamo anche che il modo in cui sono enfatizzate le notizie crea una maggiore o minore reazione di chi le utilizza per decisioni di investimento. Questo può spingere a investire o disinvestire in modo eccessivo (over-reaction) in un certo settore o in una certa azienda, portando di fatto alla creazione di bolle sui mercati finanziari.

    Come l’intelligenza artificiale, le nuove tecnologie possono in qualche modo pesare sulle nostre decisioni finanziarie?

    Le tecnologie, inclusa l’intelligenza artificiale, sono solo uno strumento e come tale andrebbero considerate. In altri termini, esse non dovrebbero essere intese come sostitute dell’intelligenza umana. Tenendo conto degli impatti sociali ed etici, l’uomo -il fine- e non la tecnologia -lo strumento- deve essere al comando. Credo, invece, che l’evoluzione tecnologica debba rappresentare un’opportunità per sviluppare sistemi che lavorino in sinergia con gli esseri umani per sfruttare al meglio le nostre competenze e aiutarci a superare i limiti cognitivi. Quindi, a prendere decisioni – non solo di tipo economico e finanziario- più efficaci. Un ruolo importante, per rimanere in argomento, potrebbe essere quello di supportare le persone alle prese con le decisioni economiche finanziarie. Ad esempio, migliorando il processing di un volume elevato di informazioni. Servono sostegniper evitare di farci prendere decisioni finanziarie impulsive o basate sull’emotività.

    Per chiudere, la scelta ideale?

    In linea di principio, prendere decisioni economiche ponderate significa considerare e valutare attentamente tutti i fattori rilevanti per la decisione in questione, tra cui costi, benefici, rischi, opportunità e conseguenze a lungo termine. Il problema che si pone, però, è proprio la valutazione attenta e razionale di tutti i fattori.

    Cioè?

    Come discriminiamo fra informazioni rilevanti e non rilevanti? Siamo sicuri di riuscire ad elaborare tutte le informazioni rilevanti? Sul frontone del tempio di Apollo a Delfi era presente l’esortazione conosci te stesso. Ecco, per migliorare le nostre decisioni bisogna partire da lì. Occorre prima di tutto essere consapevoli dei nostri obiettivi, preferenze e priorità. Poi, per prendere decisioni economiche ponderate, dobbiamo identificare – o almeno essere consapevoli della loro esistenza – i nostri bias (distorsioni mentali) e cercare di evitarli o mitigarli. Forse le decisioni che prederemo non saranno ponderate o perfette dal punto di vista economico, ma soddisfacenti per noi. Del resto, le distorsioni di cui abbiamo parlato finora hanno senso da un punto di vista evoluzionistico. Le emozioni hanno un peso enorme sulle nostre vite e, direi, meno male! Se diventassimo tutti esseri razionali, probabilmente il mondo non sarebbe migliore, ma certamente diventerebbe più noioso.

    https://www.vincenzofarina.com/

    Cinzia Ficco

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