E’ il patrimonio di know how di un’impresa, che le dà vantaggio competitivo. Parla Faggioli, esperto
Si chiamano immateriali o intangibili, dal momento che il loro valore non si traduce in modo immediato in termini finanziari.
Eppure rappresentano il cuore dell’azienda, cioè il suo patrimonio di conoscenze che, se non ben tutelato, rischia di perdere consistenza con un effetto domino su tutti i dipendenti.
Si tratta di beni quali: il capitale umano, cioè l’insieme di relazioni che il lavoratore crea in azienda, quello organizzativo, vale a dire l’insieme di procedure e regole che permettono all’azienda di funzionare, quello relazionale, l’insieme di azionisti, dipendenti, fornitori, che costituiscono l’immagine dell’azienda percepita dal mercato e, per finire, la proprietà intellettuale. Quindi: brevetti, marchi, copyright, know how, segreti commerciali. Che, come si è detto prima, devono essere ben custoditi. Altrimenti perdono il proprio valore.
La reputazione, la capacità di competere in un libero mercato di un’azienda dipendono, appunto, da questi asset apparentemente fragili, ma di grande impatto.
Ma come proteggerli?
L’abbiamo chiesto a Gabriele Faggioli, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Cybersecurity & Data Protection del Politecnico di Milano, CEO di Digital360 S.p.A. e di Partners4innovation S.r.l. (società controllata da Digital360 S.p.A.), e Presidente del Clusit (Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica). Che puntualizza: “Quando parliamo di beni immateriali in genere ci riferiamo alla proprietà industriale (brevetti e marchi), alla proprietà intellettuale (cioè il diritto d’autore fra cui il software e gli algoritimi) e il know how. Nel corso del tempo è cresciuta l’importanza di asset come questi per l’ evoluzione digitale che sta permeando il tessuto imprenditoriale e la nostra pubblica amministrazione. E non vedo differenze fra PMI, grandi imprese e start up. Tutte richiedono tutele. Ma la tutela è fondamentale per le start-up, che quasi sempre fondano le proprie opportunità di valorizzazione sugli asset immateriali. Occorre prestare massima attenzione in questi casi. E questo significa che anche i soggetti che si relazionano con le start-up, quindi investitori e grandi imprese, potenzialmente interessate ad accordi anche eventualmente di investimento in equity, possono pretendere la correttezza della gestione di questi asset. Teniamo anche conto che l’impianto normativo in materia di asset immateriali è molto complesso, quindi è fondamentale avere competenze specifiche in materia”
Quali sono le caratteristiche più evidenti di tali beni? “Tutti – afferma – possono facilmente appropriarsene, se non c’è un’adeguata protezione. Soprattutto per la piega digitale che il mondo produttivo e non solo quello, sta assumendo. Da un lato, infatti, l’assenza di protezione permette a terzi malevoli di sfruttare abusivamente asset immateriali di chi li ha legittimamente creati, dall’altro, basta vedere che tipo di aziende sono quelle a maggiore capitalizzazione nei maggiori mercati azionari o i moltiplicatori applicati alle aziende oggetto di M&A. Oggi modelli imprenditoriali basati su dati, intelligenza artificiale, algoritmi, software danno possibilità di valorizzazione incredibili”.
Chi li misura e con quali criteri? “E’ una questione troppo complessa da poter sviscerare in questa sede – replica – Ricordiamoci solo che senza tutela non c’è valore. Un asset immateriale non protetto può perdere completamente valore perché si azzera il vantaggio vantaggio competitivo dovuto all’esclusivo diritto di sfruttamento. Ma può anche accadere che il bene venga sottratto e che diventi impossibile dimostrare la genesi”
Da uno a dieci quanto è importante il complesso dei beni immateriali per la crescita e l’immagine, di un’azienda? “Se parliamo di valore, nelle aziende dove il business si fonda sugli asset immateriali, questo è pari a 10. Ovvio, in questo tipo di aziende la crescita si fonda sugli asset immateriali e sulla capacità di evolverli e svilupparli nel tempo”.
Marchi, brevetti, segreto aziendale: come è messa l’ Italia dal punto di vista normativo rispetto al resto d’Europa? Per il docente, “le norme attuali sono in linea con le normative europee e chi dall’estero intende operare in Italia le deve rispettare. Ritengo le norme ragionevolmente congrue, ma sarebbe utile pensare a un loro aggiornamento per renderle più aderenti al panorama digitale attuale. In ogni caso, preferisco norme di principio a norme troppo puntuali che rischiamo di diventare inattuali in pochissimo tempo”.
Tutelare i propri beni immateriali ha dei costi per un imprenditore e di che tipo? Faggioli replica: “Rispettare le normative vuol dire procedere con processi formali o svolgendo ricerche di anteriorità – come nel caso di brevetti – adottare misure di sicurezza tecnologiche, studiare se dal punto di vista normativo un modello di business rispetta le normative vigenti, adottare procedure interne organizzative e altro. Quindi si, ha un costo. Ma si tratta di un costo fondamentale da sostenere, se si vuole avere il vantaggio del valore che gli asset immateriali possono comportare”.
Innovazione, opere di ingegno, sapere e creatività tout court: sembra di capire che abbiano bisogno di norme elastiche, principi generali. “La regolamentazione – conclude – è essenziale perché se non fosse possibile proteggere gli asset immateriali verrebbe disincentivata l’innovazione. Quindi non bisogna averne timore. Serve saper sfruttare le opportunità che l’innovazione ci mette a disposizione. Siamo in un momento storico anche per l’impatto che l’AI avrà su moltissime professioni. Ma ci sono temi etici e giuridici che non si possono in nessun modo sottovalutare”.
Cinzia Ficco
Gabriele Faggioli è CEO di Digital360 S.p.A. e di Partners4innovation S.r.l. (società controllata da Digital360 S.p.A.). Presidente del Clusit (Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica), Adjunct Professor del MIP – Politecnico di Milano.
È Professore a contratto in Aspetti legali e contrattuali del management delle ICT presso l’Università degli Studi di Pavia corso di laurea magistrale in economia e gestione delle imprese. È Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Cybersecurity & Data Protection del Politecnico di Milano e senior advisor degli Osservatori della Digital Innovation del Politecnico di Milano.
È membro del Gruppo di Esperti della Commissione Europea in materia di data sharing e cloud computing contracts.
E’ specializzato in contrattualistica informatica e telematica, in ICT law, nel diritto della proprietà intellettuale e industriale e negli aspetti legali della sicurezza informatica, in progetti inerenti l’applicazione delle normative inerenti la responsabilità amministrativa degli enti e nel diritto dell’editoria e del marketing.
Ha pubblicato vari libri fra cui: “I contratti di cloud computing” (Franco Angeli), “I contratti per l’acquisto di servizi informatici” (Franco Angeli), “Negoziare i contratti per l’acquisto di servizi informatici” (Franco Angeli), “Computer Forensics” (Apogeo), “Privacy per posta elettronica e internet in azienda” (Cesi Multimedia).