Con Better Ipsum e l’avvocato Marco Imperiale nasce una nuova figura professionale
Con l’avvocato Marco Imperiale (L’Aquila, 1985) nasce una nuova figura professionale che abbina il diritto alla innovazione
Primo head of innovation per studi legali in Italia, con lunga esperienza nei campi dell’innovazione e della sostenibilità Imperiale ha fondato da poco Better Ipsum, dedicata a legal design, legal innovation e legal wellbeing.
In Better Ipsum, un team di avvocati, designer, e psicologi lavorerà con istituzioni, società e studi legali, commerciali per facilitare le realtà nei percorsi di digital transformation e rendere contratti, documenti e policy più vicini agli utenti finali. www.betteripsum.net
Imperiale, già visiting researcher presso la Harvard Law School. Nel curriculum, il primo libro di legal design italiano (con de Muro), il corso di Legal Design per la Harvard Graduate School of Design, e molteplici conferenze e keynote su tematiche di innovazione, mindfulness, e legal design. Fra queste, il Legal Design Summit, la rassegna più importante al mondo sul tema, dove avrà l’opening keynote il prossimo 14 Settembre.
“L’idea – ci spiega l’avvocato- è quella di intercettare i bisogni di vari tipi di player, tanto studi legali quanto società e istituzioni. Che si tratti di rivisitare contratti, policy e documenti, supportare aziende per la certificazione ISO 24495 sul plain language, o aiutare le varie realtà in percorsi di sostenibilità e digital transformation, i nostri professionisti hanno le competenze per rendere i nostri clienti più competitivi e attenti ai bisogni delle proprie risorse e dei propri utenti. Abbiamo esperienza pluriennale con primarie realtà italiane e internazionali, e non vediamo l’ora di lavorare con società, studi legali/commerciali e istituzioni interessati ad essere più sostenibili e a cavalcare l’onda dell’innovazione esponenziale, tematiche rilevanti anche dal punto di vista PNRR”.
Avvocato, senza ricorrere al legalese, che cosa è il legal design e a cosa serve?
Il legal design è un lavoro di semplificazione e chiarificazione di documenti giuridici in modo da essere compresi dall’utente finale. Di solito i documenti giuridici (ad esempio atti, contratti, policy) vengono scritti da avvocati o giuristi d’impresa senza pensare a chi li dovrà leggere. In questo caso, si tende ad abbandonare il legalese, a strutturare una migliore architettura dell’informazione. E’ frequente l’uso di infografiche, colori, e icone, etc. in modo da agevolare la lettura e la comprensione del testo. Va detto che, essendo una metodologia operativa, nulla vieta di espandere l’orizzonte ed applicarlo non solo a documenti, ma a processi giuridici. Cosa sarebbe una pubblica amministrazione a misura del cittadino?
Come il legal design può essere utile ad un imprenditore?
Gli utilizzi sono molteplici. Innanzitutto, la comunicazione verso l’utente finale – cliente o consumatore, ma anche cittadino – se parliamo di istituzioni e pubblica amministrazione. Poi, può essere utile al mondo della comunicazione interna, considerato che molte volte le risorse non legali fanno fatica a comprendere documenti tecnici, o magari dipartimenti di differenti nazioni parlano lingue differenti. Sottolineo anche che il legal design contribuisce a rendere l’azienda maggiormente sostenibile, visto che la crescita economica e l’accesso alla giustizia sono fra i parametri SDG dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Infine, vorrei evidenziare che è da poco uscita una certificazione ISO (la 24495) sul plain language. Pur non trattandosi di legal design in senso stretto, è un segnale di forte interesse al tema.
Quando per un’azienda è necessario ricorrere ad un legal designer?
In genere quando si vuole intervenire sulla terminologia tecnico/giuridica – tanto verso il consumatore quanto verso i componenti di un’azienda, per renderla più chiara. Ad ogni modo, è uno strumento che ha molteplici usi. Fra questi: agevolare le relazioni tra i dipartimenti, risolvere problematiche di processi interni, adottare o cominciare ad adottare un’ottica di metricizzazione sui vari documenti, con conseguenti riscontri positivi anche dal punto di vista finanziario.
Quale figura va a sostituire o completare?
Tecnicamente, non si tratta di sostituire figure, ma di migliorare processi interni ed esterni. Per certi versi è correlato al marketing, per altri al legal, per altri al project management. Ma anche il concetto di legal designer come figura è controverso in sé e per sé, visto che per essere legal designer occorrerebbero conoscenze giuridiche – senza il legal il documento è nullo – di design thinking – ossia metodologico- e molte volte grafiche, poiché i documenti in legal design tendono ad essere molto gradevoli dal punto di vista estetico. Addirittura, si potrebbe espandere l’orizzonte al mondo psicologico ed economico in caso si volesse alzare l’asticella e lavorare tramite analisi di impatto.
Meglio avere questa figura all’interno o all’esterno dell’azienda?
Per esperienza, meglio avere una o più figure all’esterno, fornendo a queste tempo e risorse. Ad ogni modo, speriamo sempre di trovare, nelle varie realtà con cui collaboriamo, uno o più evangelist interni. Il grande ostacolo operativo del legal design non è infatti né di natura economica – i costi sono alti, ma è possibile attingere a vari dipartimenti, dal legal al marketing, dalla formazione, alla sostenibilità – né di interesse, visto che piace a tutti e tutti ne comprendono i grandi benefici. Il problema, se mai, è considerarlo come una priorità operativa. Capita infatti che i dipartimenti interni non abbiano tempo, pur volendo, di dedicarsi a questo tipo di progetti. E la loro collaborazione è fondamentale, anche quando si tratta di consulenza fornita dall’esterno.
Quanto costa ad un’impresa un legal designer?
Dipende tantissimo dal progetto. Se si tratta di semplificare termini e considerazioni di un sito internet, valutiamo prima di che sito parliamo. Poi varia a seconda che si tratti di un contratto di fornitura o di una 231 in legal design. Vogliamo accontentarci della semplificazione grafica e concettuale, oppure fare un lavoro più strutturato di design thinking, con sondaggi, prototipi, etc.? Dal punto di vista pratico, il legal design fa leva su professionisti di differente estrazione – legali, psicologi, grafici, i quali hanno un loro costo, nonché sull’alchimia fra questi ultimi, che è il vero valore aggiunto, e che pesa sulla tariffa. Ciò premesso, pur trattandosi di costi rilevanti, il budget tende sempre ad essere trovato, e questo ci fa molto piacere e ci rende ottimisti per il futuro.
Come si forma un legal designer? L’Università italiana si sta attrezzando?
Domanda di non facile risposta. Per quanto mi riguarda, siamo molto indietro. C’è un seminario in Cattolica, alcune iniziative simili a Bergamo e Bologna, e vari corsi di scrittura giuridica, che pur non essendo legal design, tratta tematiche a questo correlate. Il discorso si potrebbe facilmente espandere a tutto il mondo legal tech, legal innovation, o sostenibilità, su cui di fatto mancano corsi, strutture, e soprattutto reti con professionisti e aziende potenzialmente interessate. Nulla vieta comunque a un avvocato, o perché no, a uno studente di giurisprudenza, di cominciare a lavorare con tool come Miro o Canva , mentre è più rischioso per un grafico cimentarsi con documenti giuridici – visto che si rischia di rendere clausole o interi contratti nulli. Consiglio di creare un gruppo misto di lavoro, magari avvocato/grafico/project manager, e cominciare a lavorare sui primi progetti, magari pro bono e a beneficio della collettività. Sono infatti grande sostenitore del learning by doing.
All’estero è una figura già affermata?
Siamo pionieri del settore. Ci sono diversi player internazionali, nati insieme a noi, e tutti stiamo portando avanti una rivoluzione copernicana nel mondo giuridico. Lavoriamo ogni giorno per istituzioni più vicine ai cittadini, aziende più vicine ai consumatori, e utenti finali più coscienti del peso delle proprie scelte. Tecnicamente, il legal design è nato formalmente nel 2013, e il libro che ho scritto con Barbara de Muro, pubblicato nel 2021, è stato uno dei primi al mondo. Siamo tutti moderatamente ottimisti – guardando anche l’onda di crescente interesse da parte di cittadini, consumatori, istituzioni, ed aziende – sul fatto che a breve sarà un tema di assoluta rilevanza. In fin dei conti, il Legal Design Summit ad Helsinki, l’evento più importante al mondo sul tema, nel quale ho avuto l’onore di ricevere l’opening keynote, è andato sold-out in poche ore.
Ci sono settori particolari che dovrebbero dotarsi di questa figura?
Per quanto mi riguarda, ogni azienda o istituzione può essere interessata al legal design. Basta pensare all’autocertificazione che utilizzavamo durante il periodo del lockdown – quanto avrebbe aiutato una maggiore attenzione al cittadino – o a una qualsiasi multa o contratto di affitto. Il legal design gode oggi di attenzione da patte di quei settori che hanno a che fare con il regolatorio: dal farmaceutico alle telecomunicazioni, dalla logistica al bancario. La vedo come una grande opportunità per aziende e istituzioni che vogliamo essere più sostenibili e innovativi.
Come un legal design segue un imprenditore?
Ci sono due tipi di percorsi. Il primo è eseguire un lavoro su documenti forniti dall’azienda. In questo caso, è cruciale la collaborazione dei dipartimenti interni per comprendere meglio le varie esigenze. Il secondo è insegnare ai dipartimenti interni stessi come essere maggiormente chiari e comprensibili per l’utente finale. Va detto che sono percorsi integrativi e non alternativi. Capita infatti che – dopo una formazione a 360 gradi sul tema – nascano task force interne, oppure che si destinino determinate risorse a workshop ed eventi di legal design. Non mi stupirebbe se nei prossimi anni nascessero – anche internamente – figure dedicate.
Il legal design richiede dimensioni aziendali particolari?
Di solito si tende a pensare al legal design nelle grandi aziende e nelle multinazionali. E ciò non solo per ragioni collegate alla sostenibilità -frequente, infatti, che tematiche quali l’attenzione al consumatore e l’impatto entrino nei bilanci sociali ed integrati – ma anche perché con l’aumentare delle dimensioni – le problematiche connesse a processi interni vanno ad aumentare molto. Ma si può pensare al legal design in una piccola azienda o in una startup. Tutta la nostra vita, dalla bolletta al biglietto del cinema o di un concerto, gravita su documenti giuridici. E tutto ciò che è giuridico può essere scritto in maniera più chiara e comprensibile.
Quanti siete? Potete vantare clienti famosi e di quali settori?
Al momento siamo in 6, in maggioranza donne, in fase di espansione. Oltre a ciò, abbiamo una rete di professionisti di differente estrazione, tanto italiana quanto internazionale, in modo da intervenire in caso di specifiche richieste dall’estero o di sovraccarico di lavoro. Siamo gli unici – tanto a livello italiano quanto internazionale – a fornire una combinazione di servizi aventi ad oggetto legal design, legal innovation, e legal wellbeing. Ci sono però agenzie, studi legali e solo practitioners che offrono uno o più d questi servizi. Per i clienti famosi, i professionisti e le professioniste del team hanno avuto a che fare con quotate e multinazionali in vari campi: bancario, assicurativo, telco, logistica, moda, farmaceutico, con istituzioni, tanto italiane quanto internazionali.
Il legal designer si occupa anche del rispetto delle norme di sicurezza di una azienda?
Pur non occupandosi direttamente della sicurezza – se non, ad esempio, per fare un lavoro specifico sulla 231), un legal designer può promuovere riflessioni su come vengono letti i documenti e su quali sono i problemi “di processo” che vanno ad impattare sulle varie funzioni. Il che porta ad un miglioramento delle condizioni di lavoro. Tematiche molto care a tutti coloro che si occupano di sicurezza. Come siamo messi in Italia? Troppe norme, troppo confuse, troppo poco conosciute. A noi il compito di invertire la tendenza!
Cinzia Ficco