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  • Il pasto gratis. Dieci anni di spesa pubblica senza costi (apparenti)

    Il pasto gratis. Dieci anni di spesa pubblica senza costi (apparenti)

    Il nuovo libro dell’economista Veronica de Romanis


    Un Paese indebitato è più vulnerabile e meno attrattivo nei confronti di gruppi imprenditoriali esteri. Meno produttivo, perché concentrato sul tentativo di contenere il disavanzo più che sulla crescita e quindi sull’aumento del livello qualitativo dei servizi pubblici.  In uno Stato come questo soldi che andrebbero a stimolare la produzione, quindi da investire per aiutare le aziende a far aumentare la qualità e la quantità di lavoro, vengono dissipati nella spesa per interessi passivi sul debito.

    Un caso plastico viene dall’Italia dove da undici anni gli esecutivi nazionali si fanno portabandiera della politica dei pasti cosiddetti gratis, cioè bollinati senza copertura economica.  E più per motivi elettoralistici, che di pura ignoranza dell’articolo 81 della Costituzione. 

    Di fatto cosa succede? Dal 2013 tutti i Governi che si sono succeduti hanno giocato al rimpiattino con bonus e mancette di vario ordine per tenersi buono il proprio elettorato, ma con l’inganno, cioè dicendo che erano gratis, mentre aumentava il debito pubblico.

    E così Superbonus, Quota 100, Reddito di Cittadinanza, 80 euro, bonus edilizi, bonus monopattino ed altri sono stati elargiti, facendoli passare per gratuiti, sebbene il buon Friedman avvertisse già ai suoi tempi che non esistono pasti gratis.

    Il governo di oggi licenzia una misura, quello successivo la fa aumentare, non potendola togliere – altrimenti perderebbe il consenso – e così per anni ed esecutivi successivi, sino a quando l’economia circolare del bonus non si interrompe. In quel caso l’ultimo governo ne paga le conseguenze. Costretto a fare la faccia feroce con gli elettori, tassa o taglia.  

    Veronica De Romanis (in foto), docente di Economia Europea alla Luiss Guido Carli di Roma e alla Stanford University a Firenze, sull’argomento ha pubblicato di recente con Mondadori un libro, intitolato Il pasto gratis, dieci anni di spesa pubblica senza costi (apparenti), 160 pagine in cui non fa sconti a nessuno e richiama i politici ad un senso di responsabilità in parte smarrito.

    “Quando nel 2011 la crisi dello spread porta alla nascita del governo dei “professori”,- afferma l’economista, il nuovo esecutivo con a capo Mario Monti interviene con tagli e inasprimenti della politica fiscale, misure che riescono a mettere sotto controllo i conti pubblici. Sorte toccata oggi a Giorgia Meloni, che in campagna elettorale voleva, per esempio, abolire le accise sulla benzina, ma che poi fortunatamente ha corretto il tiro. Gli esecutivi che sono venuti dopo il professor Monti, diversi per composizione e agenda politica, hanno avuto un tratto comune, appunto voler porre fine all’austerità. E tornare a spendere, se possibile, senza alcun vincolo, distribuendo risorse prese a prestito – a beneficio di famiglie, cittadini – A una condizione: presentare tali interventi sempre e in ogni caso privi di costi, come se il debito pubblico non fosse quello  degli italiani”.

    Una tentazione, questa, ai vari tipi di metadone di Stato che si è rilevata irresistibile. Un vizio bipartisan, da Renzi, a Conte, a Draghi che ha parlato di debito buono. Un collante straordinario che ha trovato tutti d’accordo, perché servire pasti gratis, facendo passare il messaggio secondo cui a nessuno spetti saldare il conto, genera consenso e fa vincere le elezioni. Non importa se questa scelta miope peserà sulle giovani generazioni.

    “La verità è che non esistono pasti gratis – aggiunge De Romanis – e che da parte di molti politici che ci governano c’è anche ignoranza. Come si fa a separare il debito dello Stato da quello dei cittadini, se non prendendo in giro gli elettori? Non solo, nel nostro Paese, unico in Europa a inventare le cosiddette clausole  di salvaguardia, cioè trucchetti contabili, a parlare di flessibilità o tesoretto le spese per gli interessi passivi sul debito quest’anno sono pari a 80 mld, nel 2026 saranno di 100 mld. E sa che per la sanità spendiamo 131 mld e per la formazione solo 70mld?”

    Ma perché non guardare alla condotta di gran parte delle classi dirigenti del passato che hanno sostenuto politiche inadeguate anche sul fronte pensionistico? “Guardi – la sua risposta- – se ritiene che le baby pensioni abbiano fatto più danni del Superbonus, la realtà è diversa. La misura del 110 per cento intanto non è stata spalmata in decenni ed è stata la più scellerata che sia mai stata fatta e condizionerà la vita dei nostri ragazzi in futuro. Vediamo altre misure. Quota 100, sebbene limitata a tre anni, cancellata, ma varata per mandare via un anziano e far entrare tre giovani nel mercato del lavoro, si basa sul concetto di torta fissa. Invece la torta deve crescere e poi non si mettono i giovani contro gli anziani, ma con gli anziani. Per non parlare del Reddito di cittadinanza che ha mischiato poveri e disoccupati senza generare nuovi posti di lavoro dignitosi e duraturi. Zero politiche attive.  Il Governo Meloni ne sta pagando le conseguenze, ereditando un debito che nel 2021 è stato pari al 147 per cento del pil.  In un contesto di tassi alti e crescente incertezza, far aumentare il debito non è più possibile, il debito smette persino di essere buono,  definizione data da Draghi, ma che è diventata una scusa per aumentarlo. Vuole qualche cifra? Bene, alcuni giorni fa l’Istat dava il disavanzo  al 7,4% del Pil, il Def un mese fa al 7,2, la Nadef ultima al 5 per cento, mentre il Def del 2023 intorno al 3. Cosa significa? Che va sempre peggio e non solo per le famiglie, ma anche per le imprese. Produrre in un Paese indebitato espone a rischi. Ma i cittadini sono sempre più abituati a misure di questo tipo. Altro esempio? Il PNRR. Lì abbiamo sbagliato, volendo tutto e subito. Parliamo di un Paese soffocato dalla burocrazia, che ha preso 209 mld, di cui 121 a debito europeo, che, sì, costa meno, a cui ha aggiunto 30 mld di debito nazionale. Quando e come potremo spendere questa cifra? E poi perché inserire 14 mld di Superbonus?  Avremmo dovuto fare come la Spagna, che ha prima preso le risorse a fondo perduto e ora sta prendendo le altre  in prestito. Ma forse ci ha dato l’alibi a farlo, Draghi, quando ha parlato di debito buono”.

    Ci sono tempi per fare debiti o non andrebbero fatti mai? “Bisogna essere sempre trasparenti e trattare come adulti gli elettori – replica – dire quindi a quanto ammonta un prestito, chi ne beneficia, cosa comporta. E invece, si raccontano favole, facendo leva sulle oltre 620 voci tra detrazioni e deduzioni del nostro bilancio, un ginepraio, e inventando trucchi contabili, come le clausole di salvaguardia. Ma l’allergia al rispetto delle regole è stata resa manifesta con il voto sul nuovo Patto di stabilità che, l’ho scritto mille volte, non era un compromesso giusto. Era stato elaborato dal nostro commissario Gentiloni. Gli eurodeputati italiani, da destra a sinistra, unici tra tutte le delegazioni dei 27 Stati membri, si sono astenuti”.

    Ma come “sciogliere” questa montagna di debito?  “Con una spending review fatta – conclude de Romanis – non da un tecnico, ma un politico che tagli e metta le somme dove occorre. Tagliare o alzare le tasse sono azioni che spettano ai politici”.

    Cinzia Ficco

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  •  “Nel 2023 e 2024 il Pil potrebbe crescere meno delle attese”

     “Nel 2023 e 2024 il Pil potrebbe crescere meno delle attese”

    Le previsioni di Roberto Race, segretario generale di Competere.eu


    Da Roberto Race, segretario generale di Competere.eu, riceviamo e volentieri pubblichiamo un’analisi sull’andamento dell’economia italiana. www.robertorace.com

    “Nel 2023 cominciano a manifestarsi i primi segnali di scricchiolio della tenuta economica dell’Italia, per il convergere di una serie di fattori, ,tra tutti credit crunch e inflazione, il cui impatto produrrà effetti negativi anche nel 2024, tanto da potere portare a una revisione al ribasso delle stime di crescita del PIL, diversamente da quanto avvenuto negli anni passati”

    Per il Governo ciò potrebbe tradursi in minori risorse da destinare a famiglie in difficoltà o nella necessità di aumentare le entrate fiscali – Oltretutto ciò avverrebbe in un contesto europeo nel quale sono elevati i rischi di un ritorno alle vecchie regole del patto di stabilità a partire dal 2024,. Un rischio che deve essere scongiurato e che richiede un deciso intervento del Governo italiano in Europa per definire regole più in linea con le necessità che i tempi attuali, diversi dal passato, richiedono.
    Il dibattito sulla crescita economica italiana – spiega Race – è stato caratterizzato, giustamente, negli ultimi due anni da accenti campanilistici di entusiasmo per la dinamica positiva registrata in Italia, dove l’andamento del PIL è stato migliore di quello rilevato nelle altre principali economie europee.
    I driver che hanno sostenuto questa dinamica sono stati gli investimenti (specie in costruzioni), spinti da incentivi e da PNRR, e le esportazioni, in un contesto di una sostanziale tenuta dei consumi (grazie all’extra risparmio accumulato durante la pandemia), nonostante la perdita di potere d’acquisto dovuta all’aumento dell’inflazione.
    I livelli di PIL attuali sono superiori di circa due punti percentuali rispetto a quelli pre-Covid, mentre in Germania ancora non è stato chiuso il gap e in Francia il distacco è inferiore a quello dell’Italia”.

    Competere.EU accende poi i riflettori sulle analisi dei previsori.
    Molti previsori, nazionali ed esteri grazie a questa buona e inattesa performance sono stati costretti a rivedere continuamente al rialzo i tassi di crescita del PIL italiano: basti citare il caso emblematico del Fondo Monetario Internazionale che nell’ottobre scorso aveva previsto un calo del PIL dello 0,2% per il 2023 e oggi, nell’ultima release, stima un incremento dell’1,1% per quest’anno e dello 0,9% per il 2024.
    Sono valori in linea con quelle degli altri principali previsori: l’Istat prevede, rispettivamente, +1,2% e +1,1%, la Banca d’Italia 1,3% e 1,0%, l’OCSE +1,2% e +1,0%, l’UPB +1,0% e +1,1% e il Governo +1,0% e +1,5% nel DEF.
    Ma sono – scrive Race- stime credibili? Ci sono molti segnali che alzano i livelli di allarme e preannunciano consistenti rischi al ribasso, ma che non sono ancora colti dai principali osservatori.

    Secondo l’ISTAT, nel secondo trimestre il PIL italiano è diminuito dello 0,3% sul primo, andando peggio delle attese di tutti i previsori. Ciò ha portato la crescita acquisita (cioè quella che si avrebbe se il PIL ristagnasse nei successivi due trimestri dell’anno) allo 0,8%. Raggiungere variazioni superiori all’1,0% significherebbe dover crescere nella seconda parte dell’anno.

    Ma ci sono le condizioni per avere un’espansione del PIL?

    Vi è un’estrema incertezza nel fare previsioni ma diversi fattori presagiscono un peggioramento, non un miglioramento”.

    Il rischio di credit crunch
    Il rischio più grave all’orizzonte è quello del credito: i tassi ai quali oggi si possono ottenere finanziamenti sia per famiglie che per imprese sono ai massimi degli ultimi dieci anni. Ciò si sta già riflettendo in un calo della domanda dei prestiti che è particolarmente marcato per le imprese, le quali stanno rinviando le decisioni di investimento anche in considerazione del fatto che si attendono un rientro dei tassi su valori più bassi nel giro di uno-due anni. Lo stesso sta accadendo per le famiglie: la variazione annua dei prestiti è quasi azzerata e ciò incide su alcune tipologie di, soprattutto quelli di beni durevoli (rinvio degli acquisti di case, per esempio), con ricadute significative anche sul settore delle costruzioni che risente del calo delle compravendite immobiliari.
    Il credit crunch è acuito dalla richiesta di maggiori garanzie da parte delle banche che, adesso, sostengono solamente le imprese più solide, per limitare i rischi”.

    L’inflazione
    “L’inflazione sta decelerando, la dinamica annua dei prezzi al consumo si è infatti quasi dimezzata dai picchi di fine 2022, ma resta ancora elevata. In un contesto di andamento basso delle retribuzioni, ciò riduce il potere d’acquisto delle famiglie – in particolare di quelle meno abbienti – e intacca i consumi che non vengono più sostenuti dal risparmio accumulato durante la pandemia, ormai quasi esaurito.

    Il crollo dell’import e le recenti dinamiche del turismo

    La caduta dell’import negli ultimi mesi,- sostiene il segretario generale di Competere.EU- rilevata dall’Istat nei giorni scorsi, riflette la bassa dinamica della domanda interna ed è un segnale da non sottovalutare. Anche sul turismo c’è un dibattito molto acceso. Statistiche disponibili, non solo quantitative ma anche qualitative, ed evidenze empiriche mostrano che la spinta del turismo sta gradualmente venendo meno ed è mantenuta prevalentemente dalla spesa dei viaggiatori stranieri. Le famiglie italiane  anche per la combinazione di inflazione e tassi elevati, hanno ridotto la spesa e la durata media dei soggiorni turistici.

    Non solo ombre all’orizzonte
    Ma ci sono anche alcuni fattori positivi che potrebbero contribuire a limitare l’effetto recessivo derivante da credit crunch e inflazione: il mercato del lavoro sta mostrando una buona tenuta e la decelerazione della dinamica annua dei prezzi se associata a un graduale rinnovo dei contratti collettivi (circa il 50% dei lavoratori ha un contratto scaduto) porterebbe a un recupero del potere d’acquisto delle famiglie liberando spazio per i consumi. Inoltre, il rispetto della tabella di marcia prevista dal PNRR aiuterebbe a sostenere gli investimenti, ma su questo fronte ci sono diverse perplessità e sono possibili alcune revisioni che potranno ridurre la portata dell’impatto economico del Piano.
    Tutto ciò si inserisce in un quadro di incertezza globale, dovuta a tensioni geopolitiche non legate esclusivamente al conflitto russo-ucraino, ma che include anche il deterioramento delle relazioni commerciali tra USA e Cina. Il Dragone, inoltre, mostra segnali di cedimento dovuti anche alla crisi del settore immobiliare. Ciò avrà impatti negativi sul commercio internazionale e, di conseguenza, sulla domanda estera italiana.
    La combinazione di questi fattori, verosimilmente avrà un impatto netto negativo in grado di frenare la crescita dell’economia italiana, ma potrebbe anche generare una temporanea recessione.
    Molti previsori non hanno ancora incluso nelle loro stime tale probabile rallentamento. Ma dovranno tenerne conto, e allora si verificherà un graduale “ritorno alla realtà” che porterà non solo a rivedere la dinamica della crescita del PIL italiano del 2023 ma anche, e soprattutto, del 2024.
    I fattori elencati, infatti, tenderanno a dispiegare pienamente i loro effetti nella seconda parte del 2023 e ciò porterà, aritmeticamente, a un’eredità bassa – se non negativa – trasmessa all’andamento del PIL nel 2024.

    L’urgenza della revisione del Patto di stabilità
    Raggiungere una crescita superiore all’1,0% quest’anno e il prossimo sarà dunque molto difficile. Le implicazioni saranno rilevanti soprattutto per il debito e il deficit pubblici.
    Quando il Governo dovrà iniziare a lavorare alla NADEF e poi alla legge di bilancio, dovrà rivedere ampiamente le precedenti stime, con evidenti ricadute sulle politiche fiscali, in un contesto che potrebbe divenire ulteriormente più sfidante se nel 2024 – se non si raggiungerà un accordo in Europa – torneranno in vigore le vecchie regole del Patto di Stabilità che limiteranno al 3% la soglia del deficit in rapporto al PIL.
    Sarà decisivo quindi, a questo proposito, il ruolo del Governo e delle opposizioni che, insieme, dovranno sostenere a livello comunitario una revisione del patto di stabilità che tenga conto del nuovo contesto economico generato da pandemia e conflitto
    Un contesto che nulla ha a che vedere con quello nel quale era stato concepito il patto di stabilità.
    È necessario dunque un bagno di realismo sin da ora e da parte di tutti, prima che una doccia fredda e inaspettata faccia saltare i programmi”.

    Roberto Race

    Segretario Generale di Competere.eu

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