Roberto Panzarani, docente di Governo dell’innovazione tecnologica presso l’Università Cattolica di Roma
Se a Stoccolma ne hanno uno in cui è partito il piano assunzioni per i prossimi cinque anni, l’Italia ne conta ventidue, che nonostante l’impegno di chi ci collabora non sono ancora considerati generatori di idee distintive per lo sviluppo economico e del lavoro.
Si tratta dei parchi tecnologici e scientifici, che nessun Governo ha mai valorizzato, ma che potrebbero aiutare le piccole e medie imprese ad investire in innovazione.
“Si sa – afferma Roberto Panzarani, presidente dello Studio Panzarani & Associates, docente di Governo dell’Innovazione tecnologica presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Roma, e autore di Arcipelago Innovazione, pubblicato di recente da Palinsesto – il nostro tessuto produttivo è costituito per il 98,5% da piccole e medie imprese, che per il 90% hanno meno di dieci dipendenti e non riescono a fare investimenti in innovazione .Perché non potenziare queste realtà o trasformarle in modelli per una economia più sostenibile che guardi al futuro senza paura? Noi come Studio Panzarani abbiamo lavorato e ci capita di collaborare con quello di Latina, il TechnoScience avendo sempre esperienze positive, ma i due più noti a livello europeo sono HFarm vicino Venezia e Kilometro Rosso, a Bergamo. I parchi sono strutture composte da uffici, laboratori ed edifici frequentati da ricercatori di università e istituzioni accademiche, da di-pendenti di laboratori di ricerca pubblici e privati, da personale tecnico dei comparti manifatturieri con lo scopo di sperimentare, progettare, sviluppare e promuovere tutte le innovazioni generate nei vari ambiti di applicazione. Sono realtà di grandi dimensioni che mettono insieme imprese, startup, e università, diventando moltiplicatori di brevetti. Certo richiedono modelli differenti di città e atenei, ma in quanto laboratori di iniziative e generatori di lavoro, dovrebbero essere più sponsorizzati nel nostro Paese. Comunque, non ci sono solo i parchi. Modelli di una governance per il futuro sono anche Paesi come Brasile, Australia, Canada e Danimarca. O città come Malaga, San Francisco, Amsterdam e Bangalore. Pur fra contraddizioni, ognuno sta tentando di capire come costruire un nuovo mondo con nuove energie.
Come mai i Parchi tecnologici non vengono supportati?
Perché a quasi tutti i Governi che si sono succeduti è mancata una visione. E invece, dopo la pandemia e con gli assetti geopolitici che entrano nelle pmi, ci si dovrebbe prima di tutto chiedere come intende svilupparsi il nostro Paese e poi potenziare queste realtà.
Dal suo Osservatorio globale, in questo momento dalla sua postazione in Brasile dove rimarrà per due mesi, come vede il sistema produttivo italiano?
Solo. I Governi spesso sembrano lontani dai temi economici. In più mancano quei corpi intermedi, alludo a Confindustria e ai sindacati, che avrebbero potuto favorire la trasformazione del nostro Paese, creando strutture di servizi come appunto i parchi. Ancora oggi non si sa che modello di sviluppo abbraccerà l’Italia, si naviga a vista, nel qui ed ora senza pensare al futuro. In Italia più che in altri Paesi, inoltre, l’Università è lontana dal mercato. Le piccole e medie imprese, sebbene abbiano molte idee, cercano personale per modellizzarle. Ma quello che non funziona è il linguaggio, l’approccio con cui gli imprenditori si avvicinano all’ Universita’ e viceversa. Il Parco tecnologico semplificherebbe l’incontro. Cosa vedo? C’è un clima di incertezza, dovuto alle due guerre in corso, ma anche tante pmi che si stanno aprendo a mercati nuovi. Vedo le tre Valley in Emilia Romagna che hanno avuto una grande capacità di adattamento e rilancio.
Quale il Paese che più di tutti può aiutarci a capire più velocemente i cambiamenti?
Il posto oggi modello è nonostante tutto ancora la Silicon Valley negli Stati Uniti. Valley, la zona urbana che si estende attorno alla Baia di San Francisco tra la Contea di Santa Clara e le città di San Jose e Palo Alto. In assoluto la Silicon Valley rimane un luogo di elezione per chi vuole fare innovazione, nonostante ci siano stati negli ultimi anni molti licenziamenti nelle aziende big e nonostante la Silicon Valley Bank abbia avuto un tracollo e si senta minacciata dalla Cerebral Valley3, il quartiere a nord del Mission District di San Francisco dove si sono concentrate le start up del settore dell’intelligenza artificiale, in quelle che vengono chiamate hacker house, ovvero spazi di co-working e co-living che sono l’evoluzione dei garage in cui vennero create le prime grandi realtà della Silicon Valley. La Silicon Valley si è formata come un milieu di innovazioni, un grande pool di ingegneri e scienziati esperti delle principali università della zona, con finanziamenti generosi da un mercato assicurato con il Dipartimento della Difesa. Lì si sono concentrati una rete efficiente di società di venture capital e, nella primissima fase, la leadership istituzionale della Stanford University. Ma come scrivo nel libro, c’è un arcipelago di posti da prendere a modello. Mi riferisco ai parchi Sophia-Antipolis in Costa Azzurra, Porto Digital in Brasile, Adlershof in Germania, Kista Science City in Svezia, Cambridge Science Park in Inghilterra, Philips Research a Eindhoven in Olanda, e nonostante i problemi geopolitici attuali il campus Huawei di Dongguan in Cina.
Cinzia Ficco