13.1 C
Rome
Novembre 7, 2024
FocusInnovazioneManagement

“Attenti a non offrire una polizza assicurativa a un lavoratore della Generazione Z”

Beniamino Bedusa (Great Place to Work Italia) sui benefit che vanno differenziati


Lavoro: qualche settimana fa è stata pubblicata la classifica dei 60 best workplaces italiani. Sembrerebbe che sia l’elevata fiducia dei collaboratori (89%) a spingere all’insù il fatturato (+28%)

Il ranking è stato stilato da Great Place to Work Italia ascoltando il parere di 219mila collaboratori di 379 organizzazioni, suddivise in base al numero di dipendenti (10-49, 50-149, 150-499 e più di 500), attive sul territorio nazionale. Un terzo di queste appartiene al settore IT (30%), seguono poi industria manifatturiera e produzione e i servizi professionali (15%), mentre a livello di distribuzione territoriale più di 3 aziende su 4 (77%) hanno sede in Lombardia, Lazio e Veneto.

Commentando la ricerca, Beniamino Bedusa, presidente di Great Place to Work Italia, afferma: “La crescita delle organizzazioni, anche nel Sud, passa dallo sviluppo di un rapporto di fiducia tra persone e leader aziendali”.

Oltre al Trust Index, uno strumento d’analisi fondamentale è rappresentato dall’Overall Satisfaction, una valutazione più diretta e istintiva dell’ambiente di lavoro che, nel 2024, è risultato essere pari al 92% (+6% nel confronto con il 2019). Un livello elevato di fiducia dei dipendenti si riflette direttamente sul fatturato aziendale: i “best workplaces italiani” nel 2023 hanno avuto una crescita media dei ricavi, rispetto all’anno precedente, del 28%, un dato che se confrontato con il +0,6% medio fatto registrare nell’incremento del fatturato da parte delle organizzazioni italiane appartenenti ad industria e servizi incluse nell’indice Istat fa capire l’importanza, per lo sviluppo del business aziendale, di avere dei dipendenti soddisfatti. 

Ma giriamo a Bedusa qualche domanda.

Quali sono i parametri utilizzati per misurare i posti migliori in cui lavorare e dove si lavora meglio?

Per noi di Great Place to Work Italia un eccellente luogo di lavoro è un ambiente in cui le persone si fidano degli altri, sono orgogliose di ciò che fanno, e stanno bene con i colleghi e colleghe con cui collaborano. Per misurare e descrivere come questo avviene conduciamo analisi di clima aziendale, anonime e confidenziali, avvalendoci del questionario Trust Index, un modello ormai testato e consolidato da quasi 40 anni, che valuta 5 dimensioni della relazione tra azienda e collaboratori (credibilità, rispetto, equità, orgoglio, coesione). Composto da 60 statement, viene somministrato a tutti i collaboratori dell’azienda per valutare in che grado le affermazioni proposte possano applicarsi al contesto della loro esperienza lavorativa quotidiana. Quando il Trust Index, cioè la media percentuale di tutte le risposte positive, è pari o superiore al 60%, l’azienda può essere certificata come Great Place To Work. Le aziende certificate possono concorrere alla classifica annuale Best Workplaces Italia, che rappresenta i 60 migliori ambienti di lavoro italiani. Il questionario Trust Index e l’analisi di clima aziendale costituiscono, di fatto, il momento in cui un’organizzazione si confronta con sé stessa per conoscersi meglio e ottenere una fotografia dettagliata della situazione attuale, settando il proprio punto di partenza nella definizione di un processo di miglioramento, consolidando i punti di forza e celebrando gli aspetti positivi.

Altra bussola?

C’è ed è data dal confronto con i nostri benchmark, che vengono scelti appositamente per dare all’azienda un’idea concreta di dove questa si posizioni rispetto ad altre aziende dello stesso settore, dimensione, o territorio, così come rispetto alle altre aziende certificate o presenti nella classifica Best Workplaces Italia. L’elemento che unisce tutte queste componenti è il nostro approccio For All.

Cioè?

Un Great Place to Work per essere tale deve esserlo per tutti. Ciò che fa davvero la differenza è quindi l’omogeneità tra le percezioni dei diversi gruppi demografici presenti in azienda rispetto alle dimensioni indagate.

C’è differenza tra gli ambienti creati da aziende di proprietà estera in Italia e quelli di imprese a capitale tutto italiano?

Le aziende italiane tendono ad avere un punteggio alto nella dimensione dell’orgoglio, specialmente rispetto al contributo che l’azienda porta alla comunità e al senso di realizzazione personale all’interno dell’organizzazione. Tuttavia, rispetto al livello di engagement totale, soprattutto nelle grandi aziende /multinazionali di matrice italiana, si tende a godere di una fiducia non sempre alta da parte dei dipendenti. Le organizzazioni italiane di grandi dimensioni hanno in genere una fiducia più bassa, ma fortunatamente negli ultimi anni, a causa della pandemia e di fenomeni come la great resignation o elevati tassi di turnover, stanno iniziando a dare più importanza a temi sensibili quali: la meritocrazia e il bilanciamento tra lavoro e vita privata. Temi sui quali scontano, in media, un gap di quasi tre punti percentuali rispetto alle aziende internazionali. Questo “risveglio” è dimostrato da un dato: nei CDA il come valorizzare al meglio le risorse umane è considerato seconda tema fondamentale, mentre fino a qualche anno fa era considerato argomento secondario.

Veniamo all’attualità: come le aziende in genere stanno vivendo la transizione green e quella digitale?

Uno degli aspetti cruciali in questo momento storico in cui i cambiamenti avvengono velocemente, è proprio la capacità da parte delle organizzazioni di farsi trovare pronte, innovandosi per generare nuove strategie aziendali e al contempo offrire spunti e opportunità a collaboratrici e collaboratori per ideare e sviluppare nuove e migliori modalità di lavoro. A partire da questo presupposto, le aziende presenti nel ranking Best Workplaces Italia 2024, nel 2023 vedono l’84% dei rispondenti percepire che vi sia molta o abbastanza opportunità di innovazione, a fronte del 67% dei collaboratori delle aziende non in classifica (-17 punti percentuali). Anche i dati ISTAT ci restituiscono l’immagine di un diffuso orientamento  delle imprese italiane verso l’adozione di prodotti e processi innovativi che permettano una riduzione dell’impatto ambientale.

Invece per la transizione green?

Già nel triennio 2018-2020, per esempio, il 40,3% delle imprese innovatrici dichiarava di aver introdotto una o più iniziative eco-sostenibili. Questo dato sale fino al 56,1% nel caso delle grandi imprese. A livello di settore notiamo delle differenze importanti: a guidare la transizione green sono le industrie (45,5%), seguite dal settore delle costruzioni (40.2%) e dai servizi (33.7%). Per quel che concerne la transizione digitale, la pandemia da Covid-19 ha sicuramente dato un impulso positivo a molte aziende, incluse le piccole imprese, che rappresentano la grande maggioranza sul nostro territorio. La dimensione delle imprese influenza sicuramente la velocità di adozione delle novità. Infatti, a registrare un maggior numero di rispondenti che riconoscono molte o abbastanza opportunità di innovazione nelle aziende in classifica Great Place to Work, sono le aziende con meno di 50 dipendenti (97%), numero che progressivamente si abbassa all’83% se prendiamo in considerazione le aziende con più di 500 dipendenti. Bisogna considerare un altro fattore importante?

Quale?

L’innovazione digitale e green, e le conseguenti transizioni tecnologiche, devono andare di pari passo con l’innovazione sociale e con la formazione delle persone che ogni giorno si trovano ad adottare, utilizzare e creare strumenti e servizi nuovi. Le competenze, e la comprensione delle dinamiche in corso, sono fondamentali per adottare le tecnologie in modo funzionale alla transizione green e digitale. I nostri dati su questo tema ci dicono che i collaboratori sono soddisfatti della capacità di adattamento interna ai cambiamenti necessari (70% di risposte positive) e al modo in cui possono contribuire alla comunità (79%), con un gap di circa 27 punti percentuali a favore delle aziende certificate come Great Place to Work.

Nonostante le guerre in corso, l’inflazione e i tassi d’interesse che non scendono, sembra che gli utilo stiano aumentando, l’occupazione pure, i salari però rimangono bassi e non ci sono grossi investimenti in macchinari. E’ così?

È vero, negli ultimi dieci anni secondo i dati ISTAT, i salari in Italia sono cresciuti meno rispetto a ciò che è successo nel resto d’Europa. I salari in Italia sono infatti più bassi del 12% rispetto alla media europea, e del 23% rispetto a paesi come la Germania, a parità di potere d’acquisto (dati 2023). In aggiunta, l’inflazione nel nostro paese continua a rimanere alta (5.7%), insieme al costo del lavoro. Ed è proprio il potere d’acquisto in Italia ad essere sceso del 2%, mentre in Europa è salito del 2.5%, quindi le percezioni negative da parte dei lavoratori rispetto all’erosione del loro reddito sono comprensibili. A mio parere il bicchiere è quindi sicuramente mezzo vuoto perché i salari, in Italia, crescono meno dell’inflazione. Secondo una ricerca pubblicata da Randstad Workmonitor, il 38% dei lavoratori italiani dichiara un supporto in tal senso da parte del proprio datore di lavoro, una media inferiore rispetto a quella globale (51%, -13%) e a quella europea (45%, -7%).  Tuttavia il bicchiere è anche mezzo pieno, perché le aziende hanno ben presente la situazione, e stanno iniziando a lavorare davvero molto su questi temi, lo vediamo ogni giorno. Nella nostra survey c’è infatti un’affermazione che va ad indagare proprio in che misura i collaboratori percepiscono di ricevere una parte equa della ricchezza generata dall’azienda. I risultati medi si attestano sul 51% di risposte positive. Tuttavia è importante fare una distinzione tra aziende certificate Great Place to Work e non certificate: le prime hanno, infatti, valori nettamente superiori (+27%) rispetto alle non certificate. L’utilizzo di strumenti che riescono ad attutire il peso dell’inflazione e del caro vita, dallo smart working all’utilizzo mirato del welfare aziendale tendono a migliorare ovviamente la percezione delle persone. Importante è che le aziende chiedano ai dipendenti le loro necessità e non le interpretino autonomamente: una polizza sanitaria integrativa potrebbe non avere un impatto particolarmente rilevante per un collaboratore della Generazione Z.

Rating e imprese italiane all’estero: godiamo di fiducia?

Il sistema imprenditoriale italiano è complesso e caratterizzato da differenze economiche regionali molto evidenti, quindi dare una risposta univoca è un esercizio complesso. Tuttavia, il sempre più frequente fenomeno dell’Italian Sounding nella creazione di prodotti e servizi ci suggerisce che in generale l’Italia e il Made in Italy siano apprezzati per la creatività, il design e la qualità dei prodotti, che rimangono popolari grazie all’approccio artigianale che contraddistingue molta della produzione italiana, anche quando è su larga scala. Per esempio, se vediamo i dati di Great Place To Work la media nazionale è una delle più basse d’Europa, ma le eccellenze sono incredibilmente a livello dei paesi più virtuosi. Dal nostro osservatorio non siamo in grado di dire cosa dovrebbe fare l’esecutivo in generale, ma sicuramente il tema del gap salariale lo vediamo come un tema chiave: i CCNL possono sicuramente aiutare ma non riescono a tutelare al 100% il collaboratore, rendendo le aziende anche meno attrattive

Cinzia Ficco

Leggi anche

Economia circolare: aperte le iscrizioni al concorso Enea e Conai

Cinzia Ficco

In Europa solo il 13 per cento dei lavoratori si sente coinvolto in azienda

Cinzia Ficco

Banda ultra larga e gestione dei rifiuti: il ruolo della connessione nella crescita economica

Cinzia Ficco