L’evento si terrà il 17 aprile prossimo dalle 10 alle 12 nell’Aula Magna Lingotto
Mercoledì 17 aprile dalle 10 alle 12 si terrà a Torino l’evento intitolato: Open innovation e sostenibilità: Best practice in ambito amministrazione, mobilità e climatizzazione.
L’incontro illustrerà approcci ed esempi concreti di collaborazione aperta (open innovation) tra imprese, università e startup per l’innovazione sostenibile.
Le imprese sono chiamate sempre di più a diventare sostenibili. Per farlo oltre alle proprie risorse possono e devono rivolgersi ai soggetti esterni che hanno sviluppato e sanno sviluppare soluzioni innovative con un focus sulla sostenibilità.
Tra questi soggetti esterni con cui collaborare ci sono altre imprese, ma anche startup e università.
L’evento servirà a capire come facilitare queste collaborazioni, oltre a presentare tre casi di successo che sono stati facilitati dall’azione del Politecnico di Torino con un innovativo programma di contaminazione tra i diversi soggetti.
Gli approcci e le best practice saranno presentate e discusse come modelli per altri soggetti interessati a investire in Open innovation e Sostenibilità.
Inviare le domande entro l’11 aprile . Previsto un esame – colloquio
ENEA ha indetto un concorso per il reclutamento di 20 laureati in materie tecnico-scientifiche da assumere con contratto di lavoro a tempo determinato.
I giovani ricercatori saranno coinvolti su tutti i temi della transizione ecologica e digitale, dall’idrogeno all’agricoltura sostenibile, dal nucleare sostenibile all’HPC e Biga Data, con l’obiettivo accrescere le loro competenze ed esperienze su tutte le filiere tecnologiche individuate come prioritarie dal PNIEC e dal PNRR.
Il concorso prevede un esame-colloquio e la valutazione dei titoli accademici e professionali. I contratti di lavoro sono a tempo determinato e potranno essere prorogati/rinnovati in accordo alle indicazioni normative fornite dal PNRR.
Per accrescere le risorse di personale giovane e neolaureato, le assunzioni saranno distribuite in diversi Centri Ricerche ENEA del Centro-Sud: Casaccia (Roma), Frascati (Roma), Portici (Napoli), Brindisi e Trisaia (Matera).
Termine ultimo per presentare la domanda: lunedì 8 aprile 2024, entro le 11:30.
Il dato si riferisce a febbraio scorso. Export cresce del 7%, import del 5,4%
A febbraio 2024 si stima, per l’interscambio commerciale con i Paesi extra Ue27, un aumento congiunturale per entrambi i flussi, più ampio per le esportazioni (+7,0%) rispetto alle importazioni (+5,4%).
L’incremento su base mensile dell’export riguarda tutti i raggruppamenti ed è dovuto soprattutto alle maggiori vendite di beni strumentali (+15,5%) e in particolare di mezzi di navigazione marittima. Anche dal lato dell’import, si rilevano incrementi congiunturali per tutti i raggruppamenti; i più ampi per beni di consumo durevoli (+13,6%) e non durevoli (+7,3%) e beni strumentali (+8,3%).
Nel trimestre dicembre 2023-febbraio 2024, rispetto al precedente, l’export aumenta dello 0,7%. Crescono le esportazioni di beni di consumo durevoli (+7,3%) e beni strumentali (+2,5%), si riducono quelle di energia (-12,2%) e beni intermedi (-0,6%); stazionarie le vendite di beni di consumo non durevoli. Nello stesso periodo, l’import registra una flessione dell’8,1%, generalizzata e più ampia per energia (-18,1%) e beni di consumo durevoli (-11,4%).
A febbraio 2024, l’export cresce su base annua del 2,1% (era -0,4% a gennaio 2024). A contribuire sono principalmente le maggiori vendite di beni strumentali (+19,2%); in forte aumento su base annua anche le esportazioni di beni di consumo durevoli (+21,2%). L’import segna una flessione tendenziale del 10,4%, quasi totalmente dovuta alla contrazione degli acquisti di energia (-30,6%).
A febbraio 2024 il saldo commerciale con i paesi extra Ue27 è positivo e pari a +6.739 milioni (+3.997 milioni nello stesso mese del 2023). Il deficit energetico (-3.773 milioni) è inferiore rispetto a un anno prima (-5.721 milioni). L’avanzo nell’interscambio di prodotti non energetici aumenta da 9.718 milioni di febbraio 2023 a 10.512 milioni di febbraio 2024.
A febbraio 2024, tranne che verso Cina (-57,7%) e Regno Unito (-4,4%), si rilevano incrementi su base annua delle esportazioni verso tutti i principali partner extra Ue27: i più marcati riguardano Turchia (+32,9%), Stati Uniti (+23,6%) e Giappone (+18,8%).
Crescono su base annua le importazioni da Stati Uniti (+27,9%), Turchia (+9,7%) e paesi MERCOSUR (+2,4%), mentre flettono gli acquisti da tutti gli altri principali paesi partner extra Ue27. Le riduzioni tendenziali più ampie riguardano gli acquisti da paesi OPEC (-34,0%), Regno Unito (-27,8%) e paesi ASEAN (-23,7%).
Il commento
A febbraio, la dinamica positiva dell’export verso i paesi extra Ue è influenzata da movimentazioni occasionali di elevato impatto (cantieristica navale) verso gli Stati Uniti, al netto delle quali il profilo di crescita risulta più contenuto su base mensile (+3,1%) e negativo su base annua (-1,7%). Anche a febbraio, il crollo tendenziale delle vendite verso la Cina è un effetto base derivante dal confronto con febbraio 2023, quando l’export di prodotti farmaceutici verso tale paese registrò un eccezionale aumento.
L’import torna a crescere in termini congiunturali per effetto in particolare dei maggiori acquisti di beni strumentali e beni di consumo non durevoli; la sua flessione su base annua è in decisa attenuazione. Nei primi due mesi del 2024, il saldo commerciale con i paesi extra Ue è positivo per 9,8 miliardi (era +2,6 miliardi nello stesso periodo del 2023).
L’Istat descrive anche un clima di fiducia delle imprese in Italia
Con riferimento alle imprese, l’indice di fiducia aumenta in tutti e quattro i comparti economici indagati, seppur con intensità diverse: nelle costruzioni e, soprattutto, nel commercio al dettaglio si registrano gli aumenti più consistenti (rispettivamente da 104,3 a 105,8 e da 100,8 a 104,6); nella manifattura e nei servizi si stima una crescita più contenuta (l’indice sale, nell’ordine, da 87,5 a 88,6 e da 100,2 a 100,7).
Quanto alle componenti degli indici di fiducia dei comparti economici, nella manifattura tutte le componenti sono in miglioramento; nelle costruzioni giudizi sul livello degli ordini e/o piani di costruzione sostanzialmente stabili rispetto al mese scorso si uniscono ad attese sull’occupazione presso l’azienda in deciso aumento.
Passando al comparto dei servizi di mercato, si osserva un aumento di tutte le componenti ad eccezione delle attese sugli ordini che sono riviste in diminuzione. Con riferimento al commercio al dettaglio, tutte le variabili registrano una dinamica positiva; si segnala che l’indice di fiducia aumenta nella grande distribuzione (da 98,6 a 103,8), mentre cala nella distribuzione tradizionale (da 109,7 a 108,8). In base ai giudizi forniti dagli imprenditori del comparto manifatturiero sui fattori negativi che condizionano l’export (variabili rilevate trimestralmente), nel primo trimestre 2024 si stima un lieve aumento della percentuale di imprese con difficoltà nell’export.
Tema di quest’anno: Human AI Love You. Oltre 60 gli appuntamenti previsti
Dal 9 al 14 aprile tornano i Torino Digital Days 2024. L’Associazione Digital Days svela i dettagli della quinta edizione. Un programma di oltre 60 appuntamenti, in oltre 10 location differenti. Un evento che intende esplorare il connubio tra umanità e intelligenza artificiale e dare voce agli esperti e alle esperte del mondo digitale, coinvolgendo professionisti, aziende e agenzie attive nel settore.
“Human AI Love You” è il titolo e tema di questa edizione, che affronterà il rapporto tra le capacità umane e l’avanzamento tecnologico.
Dalla collaborazione tra l’essere umano e l’intelligenza artificiale nascono soluzioni straordinarie e impatti significativi in settori come il marketing, il design, le risorse umane e l’innovazione aziendale.
“I Torino Digital Days 2024 – commenta Federica Toso (in foto), Presidente Associazione Digital Days – rappresentano l’essenza di un dialogo profondo tra umanità e tecnologia, svelando come l’intelligenza artificiale non solo modelli il futuro dell’innovazione, ma diventi parte integrante della nostra esistenza quotidiana. È l’occasione per immergersi nelle correnti del cambiamento, per coloro che sono determinati a navigare le acque dell’avanguardia tecnologica e a plasmare attivamente il domani – Ma il punto di forza del festival è la sua natura collaborativa, dà spazio alle esperienze e mette a sistema le conoscenze di ogni speaker, che condividono strumenti pratici e concreti”.
Ospiti e argomenti
Sei giorni e ogni giorno un tema. Ma sono le persone e le esperienze a fare il festival e quest’anno partecipano all’evento oltre 150 speaker selezionati attraverso un accurato processo di candidatura. Professionisti, aziende e agenzie si ritrovano a Torino per parlare dei nuovi trend e condividere le loro esperienze dirette, provenienti da diverse realtà del mondo digitale. Non mancano ospiti d’eccezione come: Paolo Bovio di Will Media, l’artista Greg Goya, Ivan Ortenzi, Veronica Civiero, diversi autori di Franco Angeli edizioni e i fondatori della pagina instagram Consulenza Confusa. Per sei giorni, quindi, la città di Torino si trasforma in un vivace hub di innovazione digitale.
Dove
Il Torino Digital Days Village presso Toolbox (via Agostino da Montefeltro 2) diventa il cuore dell’evento, insieme a numerose altre location sparse per la città; luoghi di incontro per professionisti, aziende, cittadini e studenti, riflettendo la natura inclusiva e eterogenea del festival. Il Torino Digital Days Village ospita tre sale tematiche dedicate ad argomenti diversi (Marketing, Design, Business & HR, e Startup & Tech). Per il fine settimana sono in programma eventi speciali dedicati ai più giovani e al Market Day presso Combo.
Partecipare
La partecipazione è aperta e gratuita, con la possibilità di prenotare gli eventi tramite il sito ufficiale https://digitaldays.it/programma/ e su Eventbrite per il Torino Digital Days Village.
Per ulteriori informazioni sui Torino Digital Days 2024, per consultare il programma completo o per iscriversi agli eventi, visitate il sito ufficiale https://digitaldays.it/.
Chi siamo
L’incessante avanzamento delle tecnologie digitali ha portato a cambiamenti profondi nei modi di fare business, lavorare, vivere e comunicare. In risposta a questa evoluzione, l’Associazione Digital Days si è affermata come un punto di riferimento nell’ecosistema digitale nazionale nell’organizzazione di eventi e appuntamenti dedicati a digital, innovazione e tecnologia. L’associazione vuole diffondere la cultura del digitale, affrontare tematiche complesse, creare momenti di confronto e di riflessione. Come? Coinvolgendo persone e organizzazioni. Attraverso l’organizzazione dei Torino Digital Days, si afferma come collettore di idee e innovazioni.
Cifra pari al 29% della raccolta Outdoor complessiva. Lo rivela una ricerca
In Italia nel 2023 il mercato pubblicitario out-of-home (cioè l’advertising comprendente tutte quelle forme di pubblicità indirizzate a un consumatore fuori casa)continua a crescere (+13%) e tocca quota 696 milioni di euro, aumentando la sua importanza all’interno del Media Mix pubblicitario e raggiungendo il 7% della raccolta complessiva italiana (+1 punto percentuale rispetto al 2022). In questo panorama è sempre più rilevante il ruolo del Digital Out Of Home (DOOH), che con 201 milioni di euro (+21%), pesa circa un terzo sulla raccolta totale del mezzo.
“Il digitale – dichiara Denise Ronconi, Direttrice dell’Osservatorio Internet Media –si sta facendo sempre più strada portando innovazione e guidando la crescita dell’Out of Home. Il trend positivo di questa componente sarà ancora più evidente nel 2024: il DOOH sarà infatti responsabile del 64% della crescita di questo Media prevista sull’anno in corso e raggiungerà i 242 milioni di euro (+21%), con un peso del 32% sulla raccolta complessiva del mezzo”.
La raccolta pubblicitaria complessiva Digital Out of Home si suddivide tra diverse tipologie di impianti: la quota principale (65%) riguarda gli impianti Roadside (pensiline, affissioni e in generale nell’arredo urbano come ad esempio fioriere, fermate autobus decorate).
Seguono (33%) gli impianti Transit Media (collocati all’interno ed all’esterno di mezzi di trasporto e localizzati tra aeroporti, stazioni e metropolitane) e la quota minoritaria (2% circa) degli impianti Retail & Leisure (posizionati all’interno di negozi e centri commerciali ma anche in ambienti di intrattenimento come stadi e palazzetti).
Lo sviluppo della componente digital e i crescenti investimenti per la diffusione di impianti digitali portano nuove opportunità per il mercato Out of Home, che ora può sfruttare modalità di compravendita simili al Programmatic advertising disponibile per gli spazi pubblicitari online. In particolare, il Programmatic Digital Out of Home (pDOOH) fa riferimento all’automazione del processo di acquisto, vendita e distribuzione dell’inventory degli schermi digitali, offrendo agli advertiser funzionalità di targeting avanzate per raggiungere gli utenti anche fuori casa.
In Italia il mercato del Programmatic DOOH è ad oggi ancora piuttosto contenuto, anche se registra tassi di crescita rilevanti: nel 2023 vale circa 10 milioni (+61% rispetto all’anno precedente) e pesa il 5% della raccolta Digital Out of Home. Il trend positivo del mercato è attribuibile in particolare ad un aumento dell’inventory, dovuto agli importanti investimenti da parte dei Media Owner per abilitare il Programmatic sui propri impianti digitali.
Tali investimenti porteranno questo mercato a crescere sempre di più nei prossimi anni: secondo le prime stime, infatti, nel 2024 potrebbe raggiungere 15 milioni di euro, con un incremento del +50% rispetto al 2023.
L’utilizzo ancora limitato del Programmatic emerge anche dal confronto con gli investitori pubblicitari: ad oggi, tra gli intervistati, solo 1 investitore su 3 ha utilizzato il pDOOH[1], ma si tratta perlopiù di brand che al momento hanno sperimentato questa modalità di compravendita solamente in alcune occasioni circoscritte.
La maggior parte degli advertiser non si è dunque mai approcciata al pDOOH e le motivazioni che ne frenano l’utilizzo sono: la disponibilità di inventory ancora limitata e concentrata principalmente nei grandi centri urbani; il costo, percepito come troppo elevato da parte degli advertiser; la scarsa conoscenza delle opportunità offerte dal pDOOH e la difficoltà a reperire le competenze necessarie per sfruttarle; la percezione di mancanza di trasparenza lungo la filiera Media; i timori rispetto alla qualità dei dati, non sempre in linea con le aspettative.
Tra coloro che invece hanno sperimentato il Programmatic per la comunicazione Outdoor, il driver principale che spinge ad approcciarsi a questa modalità di acquisto è la maggioreprecisione nel targeting e nel delivery del messaggio pubblicitario rispetto all’OOH tradizionale, grazie alla possibilità di attivare gli impianti più rilevanti in tempo reale, sfruttando modelli basati sugli spostamenti del pubblico e sui comportamenti dei consumatori per determinare dove, quando e come veicolare l’annuncio.
Si sottolineano poi la flessibilità e l’ottimizzazione delle campagne in tempo reale (che permettono di aumentare, diminuire o addirittura interrompere la spesa pubblicitaria in risposta a cambiamenti improvvisi), la gestione della pianificazione cross-canale (che consente agli inserzionisti di creare campagne integrate tra i diversi mezzi, attraverso un’unica interfaccia di acquisto), la rilevanza contestuale rispetto all’ambiente, cioè la possibilità di veicolare annunci modificando i parametri a seconda del contesto di riferimento circostante.
La misurazione del mezzo Out of Home
Il mercato ad oggi è caratterizzato da una molteplicità di tecnologie e di modalità di rilevazione di dati utili per la pianificazione e la misurazione delle campagne Out of Home. In particolare le tecnologie di rilevazione si possono ascrivere a due categorie principali: le classi di dati provenienti da monitoraggio diretto da parte del Media Owner (ad esempio, sensori Wi-fi e beacon bluetooth, cam) e quelle derivanti da player terzi di diversi settori (come GPS/SDK app, Telco/SIM). Questi sistemi permettono di raccogliere dati e informazioni con i quali implementare metriche differenti (tra le quali: viewers, tempo di permanenza, tempo di attenzione, frequenza di ritorno) volte a supportare una pianificazione efficace della campagna.
Se questi approcci abilitano l’effettiva possibilità di una valutazione dell’impatto atteso delle campagne, agli occhi degli advertiser rimangono alcune aree rilevanti di miglioramento.
Tra queste emergono soprattutto l’eterogeneità dell’offerta da parte delle concessionarie Out of Home, la frammentazione del mercato e la mancanza di uniformità delle metriche proposte, per cui una stessa metrica può essere basata su calcoli e dati diversi a seconda del Media Owner di riferimento. Questo ha come conseguenza un sistema di misurazione che rende ancora ardua la valutazione di campagne complesse, soprattutto nel caso di stima dell’impatto di iniziative cross-media che vedono integrata all’OOH anche l’attivazione di altri mezzi (es. Tv, mobile, ecc.).
“Il comparto Out of Home vede nella misurazione una criticità molto rilevante: l’eterogeneità delle metriche proposte dagli operatori, infatti, rappresenta la sfida principale per lo sviluppo futuro del mezzo – sottolinea Nicola Spiller, Direttore dell’Osservatorio Internet Media– dall’altra parte, per quanto riguarda le concessionarie, si apre l’opportunità di sviluppare metriche e modalità di misurazione condivise, con standard minimi riconosciuti tra gli operatori e impegni comuni in tema di trasparenza in modo da soddisfare larichiestadei brand”.
*L’edizione 2023-2024 dell’Osservatorio Internet Media è stata realizzata in collaborazione con: Havas Media; The Trade Desk; Aeroporti di Roma; Blis; BVA Doxa; CAIRORCS MEDIA; Comscore; Digitalia ’08; FRAMEN; Freewheel, a Comcast Company; GEDI Gruppo Editoriale; Google; Grandi Stazioni Retail; IGPDecaux; MDE-Audio Strategy; Mediamond; Mediaset Infinity; Publitalia ‘80; Quantcast; Rai/Rai Pubblicità; Teads; Urban Vision; Blendee; Blimp.ai; Discovery Media; DoubleVerify; Integral Ad Science; LiveRamp; Magnite; MCM DIGITAL AI; Serially; Sky Media; Toshiba Global Commerce Solutions.
Survey erogata tra gennaio e marzo 2024 ad un campione di investitori di medie e grandi dimensioni a cui hanno risposto 81 advertiser.
Parla Matteo di Teodoro, Product Marketing Manager SW, Systems & Solutions
I risultati della ricerca di ISEO Ultimate Access Technologies realizzata con il Politecnico di Milano dimostrano una diminuzione delle emissioni di carbonio degli edifici grazie all’utilizzo di sistemi di chiusura intelligenti
Maggiore risparmio energetico e riduzione delle emissioni di carbonio. Perché una corretta gestione degli spazi, un’adozione di sistemi di gestione degli accessi degli edifici contribuiscono in modo significativo agli sforzi di sostenibilità ambientale.
È il risultato della ricerca di ISEO Ultimate Access Technologies, azienda leader nelle soluzioni meccaniche ed elettroniche per la sicurezza e la gestione intelligente degli accessi, realizzata con il Dipartimento di Architettura, Ambiente Costruito e Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano, basata su un caso di studio con l’obiettivo di valutare gli impatti dei sistemi di chiusura intelligente sulle prestazioni energetiche degli edifici.
Analisi del settore
Se facciamo una riflessione sui cambiamenti legati alla pandemia, sull’adozione diffusa di modelli di lavoro flessibili, possiamo comprendere come il Covid abbia ha portato a una gestione non decisamente ottimale degli spazi negli uffici. E per rispondere a questa situazione emerge con chiarezza l’applicazione del controllo accessi intelligente come una vera e propria soluzione per una serie di fattori tra cui: implementazione delle strategie di gestione del flusso delle persone, ottimizzazione degli spazi, riduzione dei consumi energetici degli edifici. Scendiamo nel dettaglio. La ricerca è stata strutturata in due fasi principali: una preliminare per definire strategie di gestione dell’occupazione e compartimentazione efficaci, una successiva per la modellazione energetica dinamica dell’edificio.
Nel corso della prima fase, sono stati identificati spazi idonei al ricollocamento di postazioni di lavoro, definendo un modello gerarchico di accesso e utilizzo degli spazi. La seconda fase ha coinvolto la simulazione dinamica di un edificio tipo implementando chiusure parziali dei semipiani, secondo il modello gerarchico identificato.
Conviene ricordare che la ricerca ha voluto tenere conto anche dell’impatto ambientale legato alla produzione dei materiali che compongono i dispositivi elettronici, installazione dei sistemi in opera e manutenzione dei principali componenti per la gestione ottimizzata degli spazi, rilevando che, anche in ottica di ciclo di vita, le emissioni di carbonio maggiori misurate rispetto a un sistema convenzionale di gestione accessi vengono completamente compensate in pochi mesi dalle emissioni evitate dovute al risparmio energetico nell’uso dell’edificio.
Con Matteo di Teodoro, Product Marketing Manager SW, Systems & Solutions, entriamo nel dettaglio della ricerca per conoscere le particolarità della riqualificazione architettonica delle imprese.
Come l’implementazione di sistemi di chiusura intelligente può contribuire all’ottimizzazione degli spazi e alla riduzione dei consumi energetici degli edifici?
«Secondo quanto emerge dalla ricerca di ISEO Ultimate Access Technologies, realizzata con il Dipartimento di Architettura, Ambiente Costruito e Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano, una corretta gestione degli spazi e l’uso di sistemi di gestione degli accessi degli edifici si possono tradurre in una riduzione del consumo di energia e delle emissioni annuali di carbonio degli edifici. A seguito dell’adozione diffusa di modelli di lavoro flessibile, il controllo accessi intelligente emerge come una soluzione chiave per una serie di fattori, come l’implementazione delle strategie di gestione del flusso delle persone, l’ottimizzazione degli spazi e la riduzione dei consumi energetici degli edifici».
Può la gestione ottimizzata degli accessi avere un impatto economico su edifici privati?
«Lo studio realizzato con il Politecnico di Milano è nato dalla volontà di ISEO di condurre un’analisi completa sul modo in cui il controllo degli accessi può contribuire in maniera trasparente alla riduzione dell’impatto ambientale delle aziende nell’ambito della gestione ordinaria degli edifici. I risultati ottenuti possono essere applicati anche ad altri contesti. La gestione ottimizzata degli accessi può portare a una serie di benefici economici per gli edifici privati, contribuendo a ridurre i costi operativi e a migliorare l’efficienza. Inoltre, i sistemi di gestione degli accessi possono essere integrati con sistemi di controllo dell’illuminazione e del riscaldamento dell’edificio, programmandoli in modo da attivarsi solo in caso di necessità, riducendo così i costi energetici complessivi».
Quali sono le specifiche implementazioni o strategie consigliate sulla base dei risultati della ricerca?
«È molto importante fare una riflessione sulla gestione degli spazi in generale, per capire dove intervenire per ottimizzare le risorse in chiave sostenibile. Ad esempio, riuscire a organizzare in anticipo gli ingressi, con una visione di chi sarà in un determinato spazio e per quanto tempo, è sicuramente utile per poter gestire le diverse aree dell’edificio, lasciando attivi e accessibili solamente gli spazi necessari».
Qual è il costo che le imprese devono sostenere per l’efficientamento energetico grazie alla gestione delle serrature?
«L’efficientamento energetico di un edificio attraverso la gestione intelligente delle serrature ha un costo che può variare notevolmente in base a diversi fattori, come le dimensioni dell’impresa, il tipo di serrature e di sistemi di gestione energetica già in uso, lo stato attuale dell’efficientamento e la possibilità di investimento. La razionalizzazione dei consumi energetici è strettamente legata alla capacità che ha l’edificio di applicare un controllo avanzato sui sistemi di illuminazione e termoregolazione: in questo sono fortemente agevolati gli edifici dotati di building automation. Quando si valuta questo tipo di investimenti, è importante considerare i benefici associati all’efficientamento, come i risparmi sui costi energetici a lungo termine e la riduzione dell’impatto ambientale».
Come si può promuovere la consapevolezza sull’efficientamento energetico degli edifici e sull’importanza di soluzioni sostenibili nel settore della sicurezza e gestione degli accessi?
«Come ISEO, promuoviamo attivamente la consapevolezza sull’importanza dell’adozione di soluzioni sostenibili nel settore della sicurezza e della gestione degli accessi attraverso diverse iniziative come: formazione continua, eventi del settore e collaborazioni con organizzazioni e istituzioni accademiche. ISEO è quotidianamente impegnata nella ricerca e nella sperimentazione di nuove tecnologie. Collaboriamo con esperti del settore e centri di ricerca e studi come le Università. Facciamo parte dell’Osservatorio IoT del Politecnico di Milano. E questo per essere sempre all’avanguardia e sviluppare serrature smart che integrino le ultime innovazioni. La flessibilità è fondamentale e ci assicuriamo di riuscire ad anticipare le mutevoli esigenze del mercato. Lo studio svolto insieme al Politecnico di Milano ha come obiettivo quello di portare dei risultati concreti, per sensibilizzare le aziende sull’importanza dell’adozione di questo tipo di soluzioni».
Sfide o opportunità che emergono da questa ricerca per il settore
«Guardando al futuro, prevediamo una maggiore integrazione delle serrature smart con l‘Internet of Things (IoT) e l’uso crescente di tecnologie biometriche. Stiamo sviluppando prodotti che rispondano a queste tendenze, offrendo soluzioni avanzate che combinano sicurezza, connettività e praticità. Prevediamo un’evoluzione verso l’integrazione più ampia con ecosistemismart domestici. Inoltre, vediamo un aumento nell’utilizzo di tecnologie avanzate, comel’intelligenza artificiale, per migliorare ulteriormente la sicurezza e l’usabilità».
Si tratta della piattaforma spagnola di crowdfunding. Sarà guidata da Carlo Magnoni
Raggiungere fino a 50 milioni l’anno: è l’obiettivo di Urbanitae, la società che oggi rappresenta oltre il 60% dei finanziamenti partecipativi nel settore immobiliare e che arriva in Italia, sotto la guida di Carlo Magnoni (in foto)
Spagnola, èuna piattaforma di crowdfunding immobiliare che punta a posizionarsi nel breve termine fra i principali player del settore. https://urbanitae.com/es/
Dall’inizio della sua attività nel giugno 2019, la proptech ha finanziato più di 130 progetti in Spagna per un valore pari a oltre 240 milioni di euro. Una cifra che rappresenta più del 60% del volume transato dai finanziamenti partecipativi nel Paese, posizionandola come piattaforma leader del mercato.
Il modello di finanziamento partecipativo di Urbanitae riunisce piccoli e medi risparmiatori per investire in immobili (residenziali, commerciali e industriali) e beneficiare di alti rendimenti.
Attraverso un processo completamente digitale e molto semplice, chiunque può investire a partire da 500 euro in operazioni normalmente accessibili solo agli investitori professionisti.
Per gli sviluppatori, Urbanitae rappresenta un’alternativa di finanziamento agile e solvibile, che offre liquidità per i progetti non coperti dalle banche.
In Italia, Urbanitae prevede di raggiungere un volume fino a 50 milioni di euro di progetti finanziati nel suo primo anno di attività.
Per questo, ha messo alla testa dell’iniziativa italiana Carlo Magnoni, un professionista con oltre 20 anni di esperienza nel settore degli investimenti e dello sviluppo immobiliare.
Il capo di Urbanitae nel Paese è stato legato a importanti fondi di investimento come Blackstone e Stoneweg, dove è stato responsabile delle acquisizioni per l’Italia e il Portogallo.
Nel settore immobiliare, è stato Head of Capital Markets presso la proptech Casafari, ed è amministratore e membro del Consiglio di amministrazione delle società di investimento residenziale di Carlyle in Spagna, nonché di altre società immobiliari in Italia e Spagna.
Dopo aver avviato il processo di internazionalizzazione lo scorso dicembre con il lancio delle attività in Francia e Portogallo, Urbanitae, dunque, si concentra sul nostro Paese.
“Oltre a contare su un team di professionisti locali con una vasta esperienza nel settore, crediamo che l’esperienza acquisita in Spagna e i buoni risultati del modello che abbiamo consolidato ci permetteranno di raggiungere una posizione rilevante nel mercato italiano – fa sapere Diego Bestard, CEO e socio fondatore di Urbanitae – Si tratta di un ulteriore passo avanti verso il nostro obiettivo di diventare la principale piattaforma europea di finanziamento partecipativo immobiliare entro due anni.
Specializzata in grandi operazioni
Urbanitae, specializzata in progetti di crowdfunding immobiliare tra i 2 e i 5 milioni di euro, si basa principalmente su due formule di finanziamento. Il 65% delle operazioni si articola secondo il formato equity o capital gain, in cui gli investitori diventano azionisti della società veicolo responsabile dell’esecuzione del progetto. Questa categoria comprende anche i progetti di reddito, che, oltre alla plusvalenza finale, offrono all’investitore anche rendimenti periodici a basso rischio. Il restante 35% corrisponde a progetti di debito, con l’erogazione di una linea di credito per sviluppatori per il finanziamento di progetti immobiliari fino a 5 milioni di euro.
Informazioni su Urbanitae
Fondata nel 2017, Urbanitae ha iniziato a operare come piattaforma di crowdfunding nel giugno 2019 dopo aver ricevuto l’autorizzazione dalla Comisión Nacional del Mercado de Valores (CNMV), l’organismo incaricato di supervisionare e ispezionare i mercati mobiliari spagnoli. Tre anni dopo, Urbanitae è diventata un fornitore europeo di servizi di finanziamento partecipativo (PSFP), essendo la prima piattaforma di crowdfunding immobiliare in Europa con l’autorizzazione a operare in tutti i Paesi membri. Il team di Urbanitae è composto da un gruppo multidisciplinare di 50 professionisti con oltre 15 anni di esperienza nei settori finanziario e immobiliare. Inoltre, il proprio azionariato è sostenuto da importanti investitori. Tra questi, Eduardo Navarro, attuale presidente di Urbanitae e socio fondatore, nonché presidente esecutivo di Sherpa Capital, la banca Andbank España e i fondi All Iron e K Fund.
La struttura industriale italiana potrebbe rallentare gli effetti dell’intelligenza artificiale sul lavoro. Tutte le professioni saranno interessate dall’IA. Ma quelle che richiedono livelli di istruzione medio-alti subiranno le conseguenze maggiori.
Il concetto di esposizione all’IA
Il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale degli ultimi anni ha alimentato un’ampia discussione sulla ricaduta della nuova tecnologia sulle nostre vite. Uno degli aspetti più dibattuti riguarda le conseguenze che potrebbe avere sul mercato del lavoro, rendendo obsolete alcune professioni e aumentando la produttività o la domanda per altre. È opinione comune fra gli esperti che l’impatto sia ancora limitato, ma destinato a crescere in futuro. Basandosi sulle mansioni che questa tecnologia è in grado di svolgere è possibile identificare quali professioni potrebbero subire maggiori effetti dalla sua introduzione nei processi produttivi.
In particolare, per stabilire il grado di esposizione di una determinata professione all’intelligenza artificiale, in questo articolo siamo partiti dall’approccio sviluppato da Edward Felten e coautori (2018 e 2021), ampiamente ripreso nella letteratura di riferimento.
L’approccio si concentra sulle abilità umane che vengono utilizzate nelle varie professioni e ne misura il grado di relazione con l’intelligenza artificiale. Ad esempio, per svolgere la professione di avvocato è necessario saper “ordinare le informazioni”.
Gli autori hanno valutato che l’intelligenza artificiale è in grado di interagire con tale abilità in misura elevata e quindi, secondo il loro metodo, un avvocato viene considerato come esposto all’intelligenza artificiale, almeno per questa mansione. La misura finale di esposizione per ogni professione è data dalla media dell’esposizione di tutte le sue mansioni.
Il concetto di esposizione non implica necessariamente una sostituzione, ma è da intendere più in generale come una interrelazione, che può tradursi anche in un rapporto di complementarità con conseguenti possibili vantaggi in termini di guadagni di produttività del lavoratore.
In questo senso, poiché l’intelligenza artificiale è più connessa con le abilità cognitive, le occupazioni dove maggiore è il loro utilizzo sono generalmente le più esposte. La relazione è confermata anche da altri studi presenti in letteratura, sia quelli basati su approcci alternativi (si veda ad esempio Songül Tolan e coautori, 2021 e Michael Webb, 2019), sia quelli più recenti, che si innestano sull’approccio di Felten e coautori e introducono distinzioni tra complementarietà e sostituibilità (Carlo Pizzinelli e coautori, 2023).
Va poi tenuto presente che tutte le classificazioni di esposizione all’intelligenza artificiale necessariamente si basano sulla descrizione attuale delle mansioni svolte dalle diverse professioni. È possibile, tuttavia, che questa tecnologia modifichi le stesse attività svolte e quindi anche il grado di esposizione delle singole professioni. Ciò può avere importanti conseguenze anche dal punto di vista distributivo, in modi che però è difficile prevedere a priori.
Utilizzando la misura di Felten e coautori è possibile assegnare a tutte le professioni un punteggio che rifletta il livello di esposizione all’intelligenza artificiale. Abbiamo poi diviso le professioni in tre gruppi: quelle nel terzo più alto della distribuzione del punteggio vengono considerate molto esposte (high exposed), quelle nel secondo terzo hanno un livello di esposizione medio (middle exposed), mentre quelle nel terzo più basso sono poco esposte (low exposed). Con questa tassonomia abbiamo analizzato diversi aspetti delle professioni più o meno esposte nel mercato del lavoro italiano.
Professioni e intelligenza artificiale
Se prendiamo a riferimento l’ultima annualità disponibile della Rilevazione sulle forze di lavoro Istat, il 2022, tra gli occupati in settori diversi dal domestico e dalle forze armate, oltre 7 lavoratori su 10 (poco più di 15 milioni su circa 21,5 milioni) risultano ricoprire professioni potenzialmente interessate dall’introduzione dei sistemi di intelligenza artificiale (figura 1). Per quasi 7 milioni, pari a un terzo dell’intera platea degli occupati, l’esposizione sarà elevata (high exposed).
Figura 1 – Occupati per intensità di esposizione all’utilizzo dell’intelligenza artificiale
Nota: la classificazione si basa sulla misura di esposizione descritta nel testo che può implicare sia sostituzione, sia complementarità. Dati riferiti agli occupati tra 15 e 64 anni, ad esclusione del settore domestico e delle forze armate.
Fonte: Istat, Rcfl. Media 2022.
La figura 2 mostra alcune caratteristiche dei lavoratori in professioni diversamente esposte all’introduzione dell’intelligenza artificiale (la percentuale sull’asse orizzontale corrisponde alla somma delle frazioni di occupati in professioni middle e high exposed, per la categoria presa in esame). I lavoratori più scolarizzati risultano essere più esposti al cambiamento tecnologico. I soggetti in possesso di un titolo di studio terziario risultano middle e high exposed nel 95 per cento dei casi (in particolare, nel 62 per cento dei casi sono high exposed). Particolarmente significativa è la porzione di occupati high exposed nel settore dei servizi: i comparti della pubblica amministrazione, dei servizi di informazione e comunicazione, delle attività finanziarie e assicurative e di istruzione, sanità e altri servizi sociali presentano tutti una quota di middle e high exposed che supera il 90 per cento. Questo concorre a spiegare il maggior livello di esposizione medio delle lavoratrici, che risultano occupate in tali comparti nel 37 per cento dei casi contro il 17 per cento rilevato per gli uomini. Dal punto di vista della distribuzione dell’età, invece, non si notano differenze rilevanti.
Figura 2 – Quota di occupati middle e high exposed all’intelligenza artificiale per settore e alcune caratteristiche individuali e incidenza sul totale degli occupati
Nota: la quota di occupati middle e high exposed si basa sulla misura di esposizione descritta nel testo che può implicare sia sostituzione, sia complementarità. Dati riferiti agli occupati tra 15 e 64 anni, ad esclusione del settore domestico e delle forze armate. Fonte Istat, Rcfl. Media 2022.
Distinguendo per il livello di competenza richiesto dalle professioni, classifichiamo come high skilled i manager, i professionisti e i tecnici specializzati e low skilled tutti gli altri. Più della metà degli 8 milioni di occupati in professioni high skilled sono high exposed (figura 3); la quota sale quasi al 98 per cento considerando anche i middle exposed. Tra gli occupati in professioni low skilled (poco più di 13,6 milioni di individui) la percentuale più elevata è quella dei low exposed (43,1 per cento). Tuttavia, anche queste professioni sono soggette all’impatto dell’intelligenza artificiale: infatti, più di un terzo degli individui risulta middle exposed e quasi un quinto rientra tra gli high exposed.
Figura 3 – Occupati Low e High skilled per intensità di esposizione all’utilizzo dell’intelligenza artificiale
Nota: la classificazione in low, middle e high exposed si basa sulla misura di esposizione descritta nel testo che può implicare sia sostituzione, sia complementarità. Dati riferiti a occupati tra 15 e 64 anni, ad esclusione del settore domestico e delle forze armate.
Fonte: Istat, Rcfl. Media 2022.
I livelli di competenza possono essere ulteriormente suddivisi nei grandi gruppi professionali (Ggp) della classificazione CP2011 (figura 4). All’interno delle professioni high skilled (i primi tre Ggp), quelle “intellettuali” (il secondo Ggp) presentano una quota di individui in professioni high exposed superiore all’82 per cento. Ma una percentuale ancora superiore si registra tra le professioni impiegatizie (quarto Ggp), per le quali i processi di ibridazione uomo-computer presentano elevati livelli di interazione con le innovazioni introdotte dallo sviluppo di algoritmi legati all’intelligenza artificiale. Questa classe professionale è generalmente classificata come low skilled, a conferma del fatto che l’intelligenza artificiale può avere un impatto non trascurabile su diverse categorie occupazionali. In tal senso, anche gli operai e gli artigiani (ultime tre categorie dei grandi gruppi professionali), pur presentando quote relativamente più basse di occupati esposti all’intelligenza artificiale e quasi nulle di occupati high exposed, potrebbero non essere esenti dall’impatto della trasformazione tecnologica.
Figura 4 – Occupati per intensità di esposizione e per grande gruppo professionale
Nota: la classificazione in low, middle e high exposed si basa sulla misura di esposizione descritta nel testo che può implicare sia sostituzione, sia complementarietà. Dati riferiti a occupati tra 15 e 64 anni, ad esclusione del settore domestico e delle forze armate. Fonte: Istat, Rcfl. Media 2022.
Differenze fra territori
La figura 5 analizza le differenze territoriali. Le regioni centro-settentrionali presentano valori di esposizione alla nuova tecnologia generalmente più elevati rispetto a quelle del Mezzogiorno, differenze che si amplificano se si guarda alla sola quota di high exposed, proprio in ragione dei differenti sistemi produttivi locali. Particolarmente alti risultano gli indici del Lazio e della Lombardia.
Da un lato, in queste regioni è rilevante il peso di settori quali quelli finanziario-assicurativo, della pubblica amministrazione e di informazione e comunicazione. Dall’altro lato, si verifica una generale maggior incidenza, rispetto agli altri territori, di lavoratori high exposed anche nel comparto industriale, probabilmente per una maggior presenza relativa di professioni legate al management, alla comunicazione e alla ricerca e sviluppo.
Figura 5 – Quota di occupati middle e high exposed per regione di lavoro
Nota: la classificazione si basa sulla misura di esposizione descritta nel testo che può implicare sia sostituzione, sia complementarità. Dati riferiti occupati 15-64, ad esclusione del settore domestico e delle forze armate.
Fonte: Istat, Rcfl. Media 2022.
Va sicuramente considerato che i tempi con cui si manifesteranno le conseguenze dell’introduzione dell’intelligenza artificiale dipenderanno dal ritmo di adozione delle nuove tecnologie da parte degli agenti economici. Nel contesto italiano, che rispetto ad altre economie avanzate è caratterizzato da un’elevata diffusione di piccole imprese e lavoratori autonomi, nonché da una bassa propensione all’innovazione, i tempi di adozione dell’IA potrebbero essere più lenti e quindi anche gli stessi effetti della tecnologia potrebbero emergere molto gradualmente.
La nostra analisi mostra però che non saranno diversi da quelli attesi altrove, con una maggiore interconnessione dell’intelligenza artificiale con le posizioni lavorative che richiedono livelli di istruzione medio-alto e a più alto salario. Tuttavia, dal momento che le abilità cognitive sono richieste in modo trasversale da un ampio numero di posizioni, le professioni potenzialmente coinvolte sono molte. Anche alcune fra quelle generalmente considerate low skilled, come quelle impiegatizie, potrebbero essere interessate in misura significativa.
Le conseguenze di questa tecnologia in termini redistributivi sono perciò ambigue, anche in virtù del fatto che le professioni più esposte potrebbero essere in grado di sfruttare forme di complementarità per aumentare la propria produttività e quindi il salario. Per questo motivo è importante monitorare non solo il rischio di una diminuzione delle assunzioni per le figure professionali più coinvolte, ma anche l’andamento dei redditi, soprattutto nel settore dei servizi.
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Lo rivela uno studio realizzato da Centro Studi Tagliacarne e Svimez
Il Mezzogiorno vince la sfida con il Centro Nord nella bioeconomia.
Al Sud il 23,6% delle imprese è “bio”, utilizza cioè risorse biologiche, inclusi gli scarti, nelle proprie produzioni, contro il 19,7% delle imprese del resto del Paese.
E nel Mezzogiorno le imprese “bio” sono anche più innovative. Il 59,8% ha investito o investirà in tecnologie 4.0 tra il 2017 e il 2024, (contro il 56,3% del Centro Nord), mentre il 50,0% ha adottato un modello di open innovation, ossia aperto alle collaborazioni con Università, clienti e fornitori per una crescita strutturata del territorio e per il rafforzamento delle filiere produttive (contro il 46,1%). Anche per questo la scelta bio può essere una potente chiave di sviluppo per il Sud.
E’ quanto emerge dall’indagine realizzata dal Centro Studi Tagliacarne e Svimez su un campione di 2 mila imprese industriali, con un numero di addetti compreso tra 5 e 499 unità.
“In una fase in cui si ripropone in maniera rinnovata il tema della crescita della base produttivo-manifatturiera del Mezzogiorno, la filiera della bioeconomia si pone come un prezioso asset a livello locale. Perché esprime una forte capacità di creare collegamenti tra segmenti diversi a valle e a monte della catena produttiva, come quello dell’agricoltura, che costituisce tradizionalmente un’eccellenza del territorio, e del recupero delle relative produzioni”.
È quanto afferma il direttore generale del Centro Studi Tagliacarne, Gaetano Fausto Esposito (in foto), che ha aggiunto “il profilo dinamico di queste imprese in investimenti nella duplice transizione e la maggiore sensibilità ai temi della sostenibilità, anche in termini sociali e di attenzione all’occupazione, deve porre questo segmento di imprese al centro di policy di rilancio della crescita per il Sud, anche attraverso politiche di incentivazione mirate”.
Per il direttore generale dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno,Luca Bianchi“si conferma quanto rilevato dalla SVIMEZ in questi anni circa le potenzialità di sviluppo offerte dai nuovi settori dell’economia circolare e della bioeconomia in particolare per il Mezzogiorno, a condizione che le importanti esperienze oggi presenti siano accompagnate da politiche industriali e di filiera funzionali a renderle più solide e a favorirne la crescita anche dimensionale.”
Essere “bio” rende le imprese più “smart”, non solo al Mezzogiorno
La scelta “bio”, nel complesso, si rileva nel Mezzogiorno come nel resto d’Italia un potente stimolo per investire in green e in innovazione su cui ha puntato il 63,2% delle imprese nazionali della bio-economia (contro il 35,5% delle non bio). Nel Meridione, infatti, il 63,4% delle imprese bio ha investito tra il 2017 e il 2024 in processi e prodotti a maggior risparmio energetico, idrico e/o a minore impatto ambientale (contro il 37,0% delle non bio), in linea con quanto si è verificato nel Centro-Nord dove (63,2% contro il 35,2% nelle non bio). Anche per questo il 57,3% di queste imprese meridionali ha investito o investirà in R&S nello stesso periodo (contro il 45,3% delle non bio). Essere “bio” si traduce, inoltre, pure in una maggiore attenzione ai lavoratori non solo dal punto di vista sociale, ma anche professionale.
Il 61,0% delle imprese bio del Mezzogiorno ha avviato percorsi formativi per i propri dipendenti nel biennio 2017-2019 e ha intenzione di continuare le attività di formazione anche nel biennio 2022-2024 (vs il 57,0% delle non bio meridionali). Una quota che si presenta anche più elevata nel Centro-Nord (62,5% contro il 54,7%).
Il digitale spinge la produttività di oltre una impresa “bio” meridionale su quattro.
Investire in digitale fa bene agli affari delle imprese bio. Nel Meridione, in particolare, queste realtà imprenditoriali che hanno già puntato tra il 2017 e il 2021 sul digitale dichiarano di avere ottenuto una maggiore produttività nel 28,0% dei casi, una migliore qualità dei prodotti e minori scarti (24,4%), una maggiore velocità nel passaggio dal prototipo alla produzione (23,2%), nuove funzionalità del prodotto derivanti dall’Internet of things (22,0%).
Ma il green stimola la competitività di più della metà
Aumentare la competitività e rispondere alle regole nazionali e internazionali: sono queste le principali motivazioni che portano le aziende “bio” del Mezzogiorno ad intraprendere la strada della transizione ecologica. Più della metà di queste imprese dichiara, infatti, di aver investito tra il 2017 e il 2021 sia per rispondere alle regole e alle normative imposte a livello nazionale ed europeo (nel 56,1% dei casi), sia per aumentare la propria competitività (nel 52,4% dei casi), mentre il 30,5% di queste imprese della bioeconomia del Sud ha sostenuto investimenti ambientali per reagire all’aumento dei prezzi delle materie prime ed energetiche e il 29,3% lo ha fatto perché convinto che l’inquinamento e il cambiamento climatico rappresentino un rischio per l’azienda e la società.
Si è conclusa qualche giorno fa la consultazione pubblica organizzata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in merito allo schema di recepimento della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), relativa agli obblighi di redazione dei bilanci di sostenibilità da parte delle aziende. La direttiva impone alle imprese di rilevare e divulgare informazioni relative alle loro attività e ai relativi impatti sulle persone e l’ambiente, in modo da canalizzare i capitali verso gli investimenti “sostenibili”. Sembra tutto ragionevole e utile a una maggiore trasparenza, ma dietro questa logica si nascondono rischi enormi.
Il primo rischio riguarda le modalità e i criteri adottati per il monitoraggio e la rendicontazione degli impatti delle attività delle imprese.
Il concetto alla base di questa rivoluzione è quello di doppia materialità, che la direttiva stessa definisce come “doppia rilevanza, nella quale il rischio che l’impresa affronta e l’impatto da essa prodotto rappresentano ciascuno una prospettiva di rilevanza. La verifica dell’adeguatezza dell’informativa societaria indica che spesso tali due prospettive non sono comprese o applicate correttamente. È pertanto necessario chiarire che le imprese dovrebbero considerare ciascuna prospettiva di rilevanza singolarmente e comunicare sia informazioni che sono rilevanti da entrambe le prospettive sia informazioni che sono rilevanti da una sola prospettiva”. È evidente che dietro questa presunzione si nascondono scelte di natura inevitabilmente politica, perché riconducono alla responsabilità dell’impresa (e dunque rendono criterio preferenziale per l’allocazione dei capitali) effetti che non solo essa può controllare soltanto indirettamente, ma che in alcuni casi richiedono l’adozione di assunzioni e metodologie che ne condizionano gli esiti. Per fare un esempio banale: è preferibile un investimento che azzeri l’impatto ambientale di una piccola parte delle attività dell’impresa oppure un altro che riduca gli impatti ambientali, senza azzerarli, su un perimetro più vasto?
Vi è poi un secondo rischio, i cui effetti abbiamo già osservato nel corso della crisi energetica del 2022. Nella nostra fetta di mondo possiamo anche imporre gli standard più restrittivi, ma non necessariamente il resto del mondo farà lo stesso. Così, per effetto della regolamentazione e delle pressioni degli investitori, in Occidente, e in particolare tra le imprese quotate in borsa, si è registrato un drastico calo degli investimenti nel settore delle fonti fossili. Ma poiché la minore offerta non si traduce necessariamente in minore domanda, il risultato che abbiamo ottenuto è stato quello di causare un disallineamento che ha fatto esplodere i prezzi e che ha comportato uno spostamento dalle imprese occidentali a quelle di altri paesi, caratterizzati tipicamente da minore trasparenza e standard meno rigorosi nel rispetto dell’ambiente.
Infine, la nuova direttiva estende questi obblighi anche a decine di migliaia di Pmi, caricando queste ultime di oneri amministrativi che non sempre sono in grado di sostenere, e che sarà praticamente impossibile verificare a meno di non costruire un’impalcatura di controlli insostenibile per estensione e pervasività. Sicché non è improbabile che si diffonderanno software che redigono automaticamente il bilancio di sostenibilità delle Pmi, in modo da rispettare formalmente le norme senza fornire alcuna reale informazione al mercato.
L’idea di fondo, però, è che le imprese e il sistema finanziario debbano essere forzati a perseguire obiettivi che vanno ben oltre la loro responsabilità stretta (generare valore per gli azionisti) e che scavalcano perfino la pur generosa definizione della loro responsabilità sociale. È come se le imprese fossero viste alla stregua di un’appendice dello Stato e fossero quindi trattate come meri soggetti attuativi di decisioni prese altrove. Al di là di tutte le giuste preoccupazioni sui costi e le implicazioni di questo nuovo sistema, il problema principale è proprio che comporta non solo una sorta di esproprio silenzioso delle imprese stesse, ma anche una statalizzazione di fatto dei loro obiettivi.