A descrivere questa nuova figura, Sara Mantovani, coautrice di un libro (GueriniNext)
Né coach, né counseling, ma Professional organizer.
In molte aziende estere la figura esiste già da alcuni decenni, in Italia comincia ad affermarsi. Il suo obiettivo è “fluidificare” l’attività di un’organizzazione, eliminando tempi morti o riducendo sprechi di risorse umane ed economiche. Qualche esempio: avete la casella di posta elettronica piena di mail e non avete il tempo per rispondere, se non alle ultime che sembrano più urgenti? Vi scervellate su come organizzare una riunione con i dipendenti in modo che sia efficace? C’è il P.O., che mette insieme pratiche e strategie per gestire il vostro carico mentale suddiviso tra informazioni e attività, migliorando vari aspetti della vita quotidiana, professionale e personale.
“Il tempo, lo spazio e le energie sono risorse scarse” – afferma Sara Mantovani, che ha organizzato la vita degli altri per oltre 20 anni, Professional organizer dal 2018 e che con Francesca Procopio e Alessandra Janoušek ha scritto un libro dal titolo Professional Organinizing – Istruzioni per l’uso (GueriniNext, ottobre 2024). poacademy.it
“La capacità di allocarle in modo ottimale e sostenibile, – ancora lei – sottraendole talvolta a fonti di distrazione, per organizzare insieme al cliente, attività e informazioni, è il mestiere dei P.O. i quali applicano l’organizzazione a tutti gli ambiti della vita”.
Sì, ma di preciso come il P.O. aiuta a superare blocchi nell’attività di una azienda?
“L’apporto di un Professional organizer – ci spiega sempre Sara che si occupa anche di pubbliche relazioni e formazione – non si limita al semplice mettere ordine, ma ambisce, con un approccio tailor-made che scaturisce dagli anni di formazione ed esperienza, a far investire al meglio le proprie risorse per raggiungere un personale obiettivo di equilibrio e benessere. Troppo spesso lavorare è considerato un male necessario, che in tanti arrivano ad accettare passivamente. La sfida dei P.O. è cambiare questo assunto. Negli Stati Uniti la storia del Professional organizing è ormai consolidata, tanto che sono nate associazioni di categoria specifiche – come quella dei Senior move manager, per citarne una. In Italia le origini della professione sono piuttosto recenti. Di sicuro l’influsso internazionale in coloro che in Italia hanno importato la professione è stato determinante, così come lo è stata la crescente consapevolezza dell’importanza dell’organizzazione personale e professionale, utile a migliorare la qualità della vita. Partiamo sempre dall’assunto che il P.O. si occupa di organizzazione della persona”.
Nel nostro Paese c’è un’associazione professionale APOI che mette insieme queste figure e, attraverso il codice etico deontologico e il modello di qualifica e di certificazione del Professional Organizer, garantisce che a livello nazionale l’attività venga svolta secondo determinati standard qualitativi.
“Il Professional organizer – chiarisce – viene solitamente coinvolto dal lavoratore,dipendente o libero professionista, con il compito di modificarele prassi e le abitudini per migliorare la qualità di vita di ciascun lavoratore. La figura di un PO dovrebbe essere contemplata nei programmi di welfare aziendale. Da un lato, crea un ambiente di lavoro brain-friendly, dall’altro, il P.O. può essere chiamato a organizzare l’equilibrio vita-lavoro, avendo sempre come obiettivo il benessere complessivo del cliente. Per questo opera accompagnando il cliente a distribuire responsabilità familiari, personali e lavorative così come attività fisiche, hobby, relazioni sociali e dovuto riposo in modo che siano in equilibrio. Una volta individuate le priorità di un dipendente, un manager o un imprenditore, Il P.O. trasmette quelle tecniche organizzative che aiutano a raggiungere l’obiettivo prefissato e a prevedere la necessaria flessibilità per le emergenze. Questa figura stabilisce dei confini chiari per la routine – necessarie soprattutto quando si lavora da remoto – e struttura un sistema di supporto organizzativo sfruttando le risorse a disposizione. Le aziende come le associazioni o gli enti, sono organizzazioni, ma, e siamo noi le prime a dirlo, da sola l’organizzazione non tiene insieme tutte le componenti che la formano e non permette che esse funzionino in modo efficace, con effetti negativi sul gruppo di lavoro”.
Nelle aziende c’è o può esserci una figura che si occupa della funzione dell’office management. Quali le differenze tra le due figure?
“L’office manager – replica Sara – fa in modo che tutto proceda in modo efficiente e fluido, tutto sia sotto controllo e gli obiettivi vengano raggiunti allocando in modo ottimale le risorse sia materiali che umane. Parliamo sia della gestione delle risorse materiali, come attrezzature e forniture che richiedono manutenzione e aggiornamenti con un occhio alla sicurezza, all’ ergonomicità, alla funzionalità, sia della eventuale riorganizzazione degli “spazi digitali dall’archivio alle piattaforme di project management. Di solito, la figura dell’office manager è inclusa in quella del manager oppure le sue funzioni sono distribuite in capo a diversi ruoli dentro l’organigramma. Potrebbe anche non esistere e in questo caso un P.O. può aiutare il manager a svolgere meglio il suo lavoro”.
Il team management è una parte dell’office management e può anche essere oggetto di un intervento di un P.O. in azienda. “Quello che si deve comprendere – aggiunge – è che anche la migliore organizzazione fallisce poiché le persone non si adattano automaticamente ai processi, soprattutto se non li comprendono o non li condividono. Qui vengono in soccorso altre competenze come quelle relative alla negoziazione, all’uso della delega, al concetto di leadership. Un grande ruolo lo gioca la comunicazione interna”.
In estrema sintesi, per capire ancora meglio cosa faccia il P.O. dobbiamo prima rispondere alla domanda chi-fa-cosa e quando.
“Il PO – afferma Sara – non deve necessariamente conoscere nei dettagli i processi aziendali, ma assicurarsi che questi interagiscano tra loro in modo funzionale. Per questo le capacità di comunicare in modo chiaro e ascoltare attivamente sono fondamentali. Il contributo che un P.O. può portare è importante, ma è bene fare attenzione, a non debordare dalla propria area di intervento, se non si hanno le competenze specifiche richieste o, meglio ancora, collaborare con altri professionisti se necessario, per fornire un servizio ancora più completo”. Meglio avere un P.O. all’interno di una azienda e per quanto tempo? “Dipende dagli obiettivi e dalle esigenze dell’azienda – chiarisce Sara – ogni caso è da valutare in base alle risorse che un’impresa può investire per il supporto di un P.O. Comunque prima di attivare un P.O. si deve capire bene quale obiettivo questa figura debba centrare: l’organizzazione di flussi e carichi di lavoro del manager singolo oppure del team? Deve aiutare a gestire il processo della delega? Oppure stabilire come lavorare da remoto o come gestire le riunioni? Tutte le figure presenti in azienda possono trarre beneficio dalla collaborazione di un Professional organizer e senza esagerare si può dire che da questa figura dipenda anche la reputazione di un’azienda, considerando che il cattivo funzionamento può ripercuotersi sull’immagine esterna. È evidente che eliminare sprechi, cattiva comunicazione, difficoltà di muoversi e, al contrario, trovare le cose nel giusto spazio aziendale, riduca i costi e gli errori. E’ ormai noto quanto costi all’azienda stessa anche il solo turnover dei collaboratori e quanto sia conveniente fidelizzarli predisponendo un luogo di lavoro gradito e piacevole che eviti il burnout e le sindromi da stress da lavoro correlato”.
Un’ultima domanda: vi siete chieste se l’AI possa sostituire un P.O.?
“Nella recente revisione del codice etico-deontologico di APOI – conclude Sara – è stato inserito un punto sull’uso consapevole delle risorse messe a disposizione dall’AI. A nostro avviso, come per tutte le professioni che riguardano la persona, l’AI potrà essere di supporto. Ad esempio, per noi in tutte quelle automazioni che possono aiutare nell’acquisire nuove abitudini “buone” e sostituiscono quelle vecchie. E’ una risorsa che, se integrata sapientemente, può migliorare l’intervento di un P.O. Al momento sembra difficile che possa sostituirlo in toto nelle interazioni che richiedono la costruzione di un rapporto di fiducia e, soprattutto, quando occorre un osservatore attento e capace di un costante fine tuning del piano di lavoro per aderire meglio alle esigenze e alla ricettività della persona nella sua unicità e nel contesto in cui vive”.
Cinzia Ficco