Parla Sandro Pettinato, Vice Segretario generale di Unioncamere
Se un tempo a preoccupare gli imprenditori c’erano: scarse risorse economiche, difficoltà ad accedere al credito bancario, burocrazia e criminalità, soprattutto in alcune aree del Paese, oggi qual è la grossa difficoltà che incontrano le piccole e medie imprese italiane? Si può dire che siano più le scarse competenze, utili ad affrontare le nuove sfide – transizioni digitale e green – a rallentare la loro attività?
Abbiamo girato la domanda a Sandro Pettinato, Vice Segretario generale di Unioncamere, Responsabile Area Servizi per la finanza ed il sostegno alle imprese che, descrivendoci lo stato di salute delle realtà italiane, ha replicato: “Le preoccupazioni delle nostre imprese sono diverse. Di fondo ci sono un’incertezza economica ed una crisi internazionale di cui si ignora l’evoluzione. Chi non riesce a investire nell’ innovazione e nell’ internazionalizzazione dei propri prodotti deve competere in un mercato domestico tradizionale dove, al massimo, può contenere i costi e abbassare i rischi. Molte aziende stanno – intelligentemente – sfruttando i fattori Esg e in particolare vedono il tema del Green come un’opportunità, ma questo non vale per tutte. Se dovessimo fare una classifica delle preoccupazioni, sicuramente, al primo posto metteremmo le crisi internazionali, l’instabilità politica, ma non sono assolutamente da sottovalutare il costo della burocrazia – che andrebbe semplificata, le risorse finanziarie scarse, la transizione digitale e l’intelligenza artificiale che, nel medio periodo, cambieranno sicuramente gli assetti delle nostre imprese”.
Il divario tra Nord e Sud si è ridotto importante?
Il divario fra Nord e Sud si è ridotto solo in parte: alcune regioni, come la Puglia e la Sicilia per alcuni comparti, hanno saputo recuperare il grosso gap rispetto alle aree di maggiore produttività del Paese. Restano, invece, ancora molto indietro le altre realtà e non mi pare che le soluzioni adottate negli ultimi anni potranno dare grandissimi risultati. Mi riferisco alle zone economiche speciali o agli sgravi contributivi per le imprese che assumono. Sono ricette di vecchio stampo riviste e corrette.
Quale può essere oggi un servizio utile delle Camere di Commercio alle pmi?
Le Camere di Commercio puntano su due fattori essenziali: uno. aiutare a cambiare le regole per rendere più facile la vita delle imprese. Pensiamo ai processi autorizzativi per aprire un’attività o per smaltire dei rifiuti, o al sostegno per l’accesso al credito o ai permessi per una nuova unità locale, alle procedure per la sicurezza o la compatibilità con le norme ambientali.
Il secondo obiettivo?
Riguarda lo sviluppo dei mercati. Il contesto europeo non tira come trent’anni fa ed è obbligatorio guardare – discorso valido anche per le piccole imprese che non l’hanno mai fatto – sui mercati internazionali. Non bastano le risorse economiche, gli incentivi fiscali o l’assistenza di consulenti. Servono delle reti che come le Camere di commercio italiane all’estero accompagnino in concreto l’azienda fuori dai confini internazionali. Le Camere all’estero conoscono le reti di distribuzione commerciale di un Paese, i migliori consulenti legali, gli intermediari, le regole fiscali o quelle ambientali di quel Paese, i mercati, perché sono lì da decenni.
Il ruolo del Governo centrale?
Oltre al validissimo lavoro che svolgono la Farnesina, il Mimit, l’Ice e tutto il gruppo Cassa Depositi e Prestiti, ci si deve poter appoggiare a reti come quelle create dalla Camere di Commercio, perché solo queste esperienze garantiscono il raggiungimento efficace dell’ultimo miglio.
Crisi d’impresa: oggi quante aziende si rimettono in piedi? E il nostro dato è inferiore alla media europea?
La crisi d’impresa in Italia sta cambiando pelle, essendo oggi concepita più come una fase fisiologica dell’impresa che non come uno scandalo o una iattura. E questo vale per il debitore, il professionista, l’intermediario finanziario e, speriamo presto, anche per l’Erario. Andare in crisi o fallire non è uno scandalo – quando questo succede senza dolo. I fallimenti, o come si chiamano adesso, le liquidazioni giudiziali sono nel nostro Paese ancora contenute toccando non oltre le 10mila unità l’anno. In proporzione al numero di imprese presenti, riscontriamo medie inferiori rispetto ad altri Paesi, ma il punto non è questo. La dimensione piccola della nostra impresa rende più vulnerabile alle crisi il nostro modello aziendale che va invece aiutato garantendo la continuità dell’azienda anche quando questa versa in condizioni di crisi purché reversibile. Non ci si può quindi accanire terapeuticamente su un’azienda in difficoltà cronica, ma si devono tentare il recupero e la ristrutturazione di quelle imprese che scontano una crisi temporanea legata a fattori ben definiti. Ecco perché le Camere di Commercio stanno spingendo fortemente per la prevenzione della crisi aziendale e per risolvere – fuori dalle aule dei tribunali – i contenziosi fra imprese debitrici e creditori, sia privati (banche) che pubblici (Agenzia delle Entrate ed Inps).
Ultima curiosità: quali sono gli strumenti preferiti dalle pmi italiane per finanziare la propria attività?
Purtroppo gli strumenti finanziari per le imprese italiane sono ancora prevalentemente quelli tradizionali: il credito bancario, oltre evidentemente al capitale proprio. Scarso è invece il ricorso ai mercati finanziari. Non solo alla Borsa, ma anche agli altri strumenti come: il venture capital, le cambiali finanziarie, i minibond o la finanza di terzi investitori. Su questo va anche detto che non sempre vengono sfruttati gli importanti incentivi che Governo centrale, Regioni e altri soggetti mettono in pista: gli oltre 4000 strumenti incentivanti presenti nel nostro Paese vengono sfruttati in una percentuale non superiore al 60%.Esiste infatti un problema di capacità progettuale.
Cinzia Ficco