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  • Management: “L’approccio calmo e aperto dei tedeschi?  Un modello per le nostre aziende”

    Management: “L’approccio calmo e aperto dei tedeschi? Un modello per le nostre aziende”

    Così Ilaria Chiapedi, 23 anni, dopo le esperienze in Bosch e Mercedes Benz


    Ha 23 anni, è nata a Montebello della Battaglia (Pavia) e con tenacia sta costruendo la sua carriera nel management. Invitando i suoi colleghi a seguire le sue orme, consiglia: “Investire in un percorso internazionale significa investire su se stessi, superare i propri limiti e aprire la mente a nuove prospettive. È una sfida fatta di tanti sacrifici tra i quali lasciare la propria famiglia, ma anche un’opportunità straordinaria per crescere e costruire il proprio futuro”.  

    Lei è Ilaria Chiapedi e noi l’abbiamo intervistata.

    Ci racconta il suo percorso?

    “Ho avuto l’opportunità di vivere un iter accademico e professionale che mi ha portato a esplorare diverse culture e sfide. Ho frequentato un programma double degree che mi ha permesso di studiare per due anni in Italia e due anni in Germania. Durante questo percorso, ho conseguito una laurea triennale italiana in Economia Aziendale con indirizzo in International Management, un Bachelor (equivalente a una laurea triennale) tedesco in International Management e un Master italiano di primo livello in Management Internazionale.

    Perché per mettersi alla prova tra le numerose destinazioni disponibili ha scelto la Germania e ha deciso di seguire corsi universitari in tedesco?

    Questa esperienza ha rappresentato una svolta per me, poiché mi ha spinta ad uscire completamente dalla mia comfort zone e mi ha aperto porte lavorative che forse non avrei trovato nel nostro Paese. Durante il mio percorso, ho avuto l’opportunità di svolgere, oltre a un’iniziale stage a Manchester, uno stage full-time presso Bosch, dove successivamente sono stata confermata con un contratto, parallelamente ai miei studi. Questo ruolo mi ha permesso di acquisire esperienza pratica e consolidare le mie competenze, fino a ricevere una proposta di lavoro da Mercedes-Benz, dove ho proseguito il mio percorso professionale. Nello stesso tempo, ho sempre dedicato tempo ed energie alla vita universitaria. In Italia, sono stata responsabile dell’area marketing e comunicazione di un gruppo studentesco, mentre nella mia attuale università, la ESCP Business School, ricopro il ruolo di ambasciatrice studentesca e responsabile degli eventi della Wealth Society. Attualmente, sto frequentando il corso di Luxury Management presso la ESCP, un programma intensivo di 15 mesi che culminerà con il raggiungimento di una laurea magistrale e del Master DEAMIE francese.

    Cosa ha imparato di sé dall’esperienza all’estero?

    Beh, l’esperienza in Merceds Benz mi ha fatto capire che il settore del lusso è la direzione in cui voglio specializzarmi. Grazie al mio percorso internazionale, ho avuto modo di parlare in modo fluente in inglese, tedesco, spagnolo. Sto attualmente imparando il francese. Questa strada mi ha permesso di sviluppare competenze linguistiche, accademiche e personali che lo scorso mese mi hanno portata a un’importante conquista: l’ingresso in Nova, un network d’élite che connette il 3% dei migliori talenti a livello globale. L’accettazione in Nova è il risultato di un rigoroso processo di selezione, basato sul merito e sul potenziale. Sono stati valutati il mio curriculum, le referenze fornite dai miei ex datori di lavoro, interviste e test che hanno confermato le competenze professionali, accademiche, internazionali e relazionali. Questo traguardo rappresenta per me il primo passo verso la costruzione di una carriera nel settore del management. Sono entusiasta di poter entrare in contatto con persone di valore che possano ispirarmi e aiutarmi a crescere ulteriormente.

    Dal punto di vista professionale cosa le hanno insegnato le esperienze in Bosh e in Mercedes Benz?

    La mia esperienza presso due colossi dell’industria tedesca, Bosch e Mercedes-Benz, mi ha permesso di apprendere lezioni preziose che potrebbero ispirare i manager delle aziende italiane. Questi due ambienti lavorativi, pur essendo estremamente competitivi e focalizzati sull’eccellenza, si distinguono per alcune caratteristiche che li rendono un esempio da seguire. Una delle prime cose che mi ha colpito in Bosch è stata la calma che caratterizza l’ambiente lavorativo. Anche di fronte a difficoltà significative, il clima rimaneva sereno e professionale, privo di tensioni inutili. Questa attitudine favorisce una maggiore concentrazione e produttività, permettendo ai dipendenti di affrontare le sfide con lucidità. Una frase, in particolare, ha cambiato il mio approccio al lavoro e alla vita quotidiana: Non esistono problemi, esistono solo soluzioni. Queste parole, pronunciate da un collega in risposta a una mia segnalazione, mi hanno insegnato a vedere le difficoltà non come ostacoli, ma come opportunità per applicare competenze e trovare la strada migliore per procedere. Questo mindset, centrato sulla proattività e sulla ricerca di soluzioni, potrebbe trasformare il modo in cui molte aziende italiane affrontano le sfide quotidiane. Un altro aspetto che mi ha profondamente colpito in Bosch è stato l’interesse autentico dei miei colleghi affinché io apprendessi qualcosa di concreto durante la mia esperienza. Fin dal primo giorno, mi è stato chiesto di esprimere eventuali desideri di provare nuovi ambiti di expertise, nel caso lo ritenessi necessario per comprendere meglio ciò che avrei potuto fare in futuro. Questo approccio denota una grande apertura e attenzione alla crescita personale e professionale dei giovani talenti. Inoltre, mi sono state affidate fin da subito task rilevanti e responsabilità, con l’obiettivo di farmi imparare attraverso l’azione e il coinvolgimento diretto. Questo atteggiamento non solo mi ha permesso di crescere rapidamente, ma mi ha fatto sentire valorizzata e parte integrante del team. L’inclusività è stata un altro elemento fondamentale. Nonostante non fossi madrelingua tedesca, mi sono sempre sentita apprezzata e sostenuta grazie a un modello meritocratico che premia le competenze e il contributo individuale, indipendentemente dalla nazionalità o dalle differenze culturali. Questo approccio elimina barriere e pregiudizi, crea un ambiente di lavoro collaborativo e motivante, dove il talento viene riconosciuto e sostenuto. Presso Mercedes, ho riscontrato un ulteriore livello di apertura e supporto, soprattutto verso gli studenti. In Germania, infatti, il valore dei giovani talenti viene riconosciuto e incentivato fin dai primi passi nel mondo lavorativo. Per me è stato sorprendente ricevere una proposta di lavoro da Mercedes ancora prima di terminare il mio contratto con Bosch e, soprattutto, prima di completare i miei studi. Questo dimostra una visione lungimirante da parte delle aziende tedesche, che non esitano a investire nei giovani, accompagnandoli e supportandoli anche nelle loro scelte accademiche e professionali. Durante la mia esperienza, alcuni manager in Mercedes mi hanno confidato una riflessione particolarmente significativa: ritenevano un vero peccato che alcuni team si ostinassero a ricercare solo candidati che parlassero tedesco. Questo approccio, pur comprensibile in determinati contesti, rischia di far perdere alle aziende l’opportunità di attrarre grandi talenti solo a causa di una semplice barriera linguistica. In un mercato sempre più globale, limitarsi in questo modo può rappresentare una perdita non solo in termini di diversità culturale, ma anche di competitività aziendale. L’approccio aperto e collaborativo dei manager tedeschi potrebbe rappresentare una svolta per le aziende italiane. Favorire un clima sereno, valorizzare le competenze in modo meritocratico e puntare sui giovani talenti sono strategie che non solo migliorano il benessere organizzativo, ma anche la competitività aziendale. Creare ambienti dove i dipendenti si sentano inclusi e supportati non è solo una questione etica, ma una leva fondamentale per attrarre e trattenere i migliori talenti. Le esperienze in Bosch e Mercedes mi hanno insegnato che il successo non è solo una questione di obiettivi raggiunti, ma anche di come si costruiscono i percorsi per raggiungerli. E forse, proprio da qui, potrebbe partire una nuova fase per le aziende italiane, una fase in cui i problemi diventano soluzioni, e il talento diventa il vero motore del cambiamento.

    C.F.

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  • Il modello After per guidare un’azienda in contesti complessi

    Il modello After per guidare un’azienda in contesti complessi

    L’ha ideato Giuseppe Pasceri, ceo di Adevinta italy, che controlla i marchi Subito.it, Infojobs..it e Automobile.it


    Come guidare con successo un’azienda in contesti complessi?

    Non c’è progetto che sia a prova di proiettile, ma di sicuro serve un metodo.

    Dopo trenta anni di lavoro come manager di importanti aziende tech, Giuseppe Pasceri, Ceo di Adevinta .it, che controlla i marchi Subito.it, InfoJobs.it e Automobile.it ha messo a punto un framework di gestione, battezzato con l’acronimo After.

    Ne parla in un libro, dal titolo “Management dell’incertezza”, pubblicato di recente da Roi Edizioni, in cui collegando le migliori pratiche e i modelli manageriali esistenti, descrive uno strumento  di facile applicazione per chiunque si trovi a creare o guidare un’impresa di qualunque tipo e di qualunque dimensione.

    Il metodo, che ha permesso all’autore di raddoppiare i risultati di Subito.it portandolo a essere il primo marketplace italiano, contiene cinque elementi: Aligned organization, la capacità di allineare strategia ed executive, Focused organization, la capacità di utilizzare al meglio le risorse, Timely organization, la capacità di sincronizzare macro e microprocessi, Evolving organization, la caacità di migliorarsi continuamente, Rallying organization, la capacità di sviluppare i talenti.  

    Ma come manager e imprenditori dovrebbero prepararsi a quello che lei chiama Management dell’incertezza?

    Pasceri relica: “Il Management dell’incertezza richiede una mentalità aperta e flessibile, in grado di promuovere un ambiente lavorativo dove sperimentazione e apprendimento continuo sono al centro. I manager e gli imprenditori di oggi dovrebbero concentrarsi sui vantaggi derivanti dalla costruzione di team agili, su come promuovere al meglio una comunicazione trasparente e incoraggiare l’innovazione. Allo stesso tempo, questo cambio di paradigma coincide con l’adozione di nuovi strumenti e metodologie che permettano di monitorare costantemente il progresso e reagire rapidamente ad ostacoli imprevisti​​.

    Il modello è stato applicato per Subito? Dopo quanto tempo ha dato risultati e di che tipo?

    Sì, il modello AFTER è stato applicato a Subito. I risultati sono stati visibili già nei primi mesi, con un miglioramento significativo nella capacità dei team di adattarsi alle nuove sfide e di raggiungere gli obiettivi prefissati. Per essere a pieno regime è però necessario adottare il modello per almeno 1 anno/1 anno e mezzo. Questi risultati includono: un aumento della produttività, una maggiore coesione del team e una migliore capacità di rispondere rapidamente alle esigenze del mercato.

    È un modello applicabile ad ogni tipo di azienda a prescindere da settore e dimensione?

    Il vantaggio di AFTER è proprio questo: essere un modello applicabile a qualsiasi tipo di azienda, indipendentemente dal settore o dalla dimensione. La chiave del successo del modello risiede nella sua elevata adattabilità alle specifiche esigenze e condizioni di ciascuna organizzazione. Che si tratti di una startup o di una grande impresa, i principi di base possono essere personalizzati per ottimizzare i processi decisionali e operativi in qualsiasi contesto​​, ed anzi devono essere utilizzati proprio in accordo con il proprio contesto del momento.

    Perché funzioni, quali sono i preconcetti di cui imprenditori e manager dovrebbero liberarsi?

    Il cuore di “Management dell’incertezza” (ROI EDIZIONI) affronta nel dettaglio questo passaggio cruciale, per far sì che il modello funzioni efficacemente. In particolare, ci sono quattro categorie di bias che ricorrono tra manager e imprenditori e che rappresentano dei veri e propri ostacoli al cambio di paradigma. In primis, la resistenza al cambiamento, accompagnata dall’idea che i metodi tradizionali siano sempre migliori, l’avversione al rischio e la paura di fallire, grandi ostacoli per sperimentazione e innovazione, la mancanza di comunicazione e collaborazione tra diversi dipartimenti e uffici, che lavorano in compartimenti stagni ostacolando il metodo di lavoro agile, infine, la necessità di cercare solo informazioni a conferma delle proprie convinzioni (bias di conferma), ignorando dati che suggeriscono alternative​​. Spesso i preconcetti si basano su vere e proprie fallacie, come ad esempio l’argomento “fanno tutti così, quindi è giusto” oquello  (“si è sempre fatto così, perché cambiare”.

    Da quali rischi ripara questo modello?

    Il modello AFTER protegge principalmente dai rischi associati all’imprevedibilità e alla rapida evoluzione del mercato. Inoltre, le organizzazioni che adottano questo modello, mitigano il rischio di rimanere bloccati in strategie obsolete, migliorano il livello di resilienza organizzativa del business e aumentano la propria capacità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti esterni, in una parola diventano antifragili.

    Quello di AFTER è l’unico modello di business che può aiutare a superare la transizione digitale? E a proposito di questo, come immagina il rapporto tra AI e management?

    AFTER non è l’unico modello di business esistente in grado di aiutare le aziende a superare la transizione digitale ma, dal mio punto di vista, rimane uno dei più efficaci, guardando a un futuro in cui l’intelligenza artificiale sarà sempre più integrata nei processi decisionali e gestionali quotidiani. Un’integrazione che, credo, aiuterà manager e imprenditori ad avere dati sempre più accurati e analisi predittive per migliorare, velocizzare e ottimizzare le capacità di decision making​​.

    Come va raccontato all’esterno questo management dell’incertezza e che costi ha per un imprenditore?

    Per stimolare un cambio di paradigma e guidare un’azienda al successo anche in contesti complessi, è necessario far comprendere a pieno i concetti e i metodi alla base del nuovo framework di gestione. Questi, se ben assimilati, possono essere inestimabili linee guida lungo la strada del successo di aziende e organizzazioni. Quello che è il contenuto del saggio “Management dell’incertezza” va raccontato all’esterno come un approccio innovativo e proattivo utile a gestire il cambiamento e l’imprevedibile mutevolezza del nostro presente lavorativo. Il modello AFTER, opera proprio in questa direzione, favorendo lo sviluppo di un ambiente di lavoro dinamico e resiliente, capace di adattarsi rapidamente alle sfide del mercato. Per quanto riguarda i costi, essi variano a seconda della dimensione dell’azienda e del livello di implementazione. Tuttavia, i benefici a lungo termine in termini di maggiore efficienza, agilità e capacità di innovazione superano di gran lunga lo sforzo iniziale di investimento.

    V.F.

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  • Intelligenza artificiale,  Ford e le Risorse (Oltre) Umane

    Intelligenza artificiale, Ford e le Risorse (Oltre) Umane

    Parla Francesco Donato Perillo, docente, che ha scritto di recente un libro: Algocrazia (Guerini)


    L’intelligenza artificiale è la fine del management? No, a patto che: si impari a interrogare gli algoritmi, non si pensi di delegare la formazione aziendale alle app o al microlearning e si capisca che la trasformazione digitale non è solo un investimento sugli oggetti, ma un processo richiedente un piano, in grado di coinvolgere tanti soggetti, non solo le imprese.  

    E’ in sintesi il messaggio di Francesco Donato Perillo (in foto), filosofo, una lunga esperienza di dirigente delle Risorse Umane nel gruppo Finmeccanica (oggi Leonardo), docente di Persone, Macchine e Organizzazione nella trasformazione digitale all’Università Suon Orsola Benincasa a Napoli, che di recente ha pubblicato con Guerini il suo libro “Algocrazia”.

    Secondo il saggista, l’homo sapiens, quello del fuoco, del ferro, del carbone co-evolve con le macchine ibridandosi con loro nelle applicazioni della fabbrica come nella vita personale.

    Come in un fotogramma di Blade Runner, lo scenario che si spalanca ai nostri occhi è quello di un digital worker, un uomo macchina, inabile a lavorare senza l’interazione con la macchina uomo, con un computer dotato di AI. Un cyborg equipaggiato tanto di ragione affettiva e soggettività erotica, quanto di capacità di calcolo.  Si conserva umano, ma si oltrepassa per mezzo della tecnologia, senza tradirsi nella sua radice biologica. Siamo in una fase in cui dovremmo imparare a bilanciare l’algoritmo con l’androritmo.

    Con la trasformazione digitale, il lavoro che tende a dematerializzarsi e a diventare on demand, saltano i tradizionali schemi gestionali e gli stessi principi organizzativi che hanno governato le aziende e il lavoro.

    Progettare il cambiamento è la missione che ogni manager – ma soprattutto la direzione Risorse Umane – è chiamato a svolgere con urgenza.  Come? “I direttori HR – ci dice l’autore – dovrebbero porsi come i campioni del cambiamento e allo stesso tempo come gli stabilizzatori del sistema. Il cambiamento comporta necessariamente una disruption del modo di essere, ragionare, esprimere i propri comportamenti nell’ organizzazione. Serve per questo superare le resistenze culturali e di potere. Il Direttore HR è il primo cavaliere nella conduzione di questa impresa in cui è in gioco la sopravvivenza stessa dell’azienda. Ma nello stesso tempo, rappresenta il fuoco di questa missione, per cui davvero pochi direttori HR sono preparati e disponibili. IL direttore HR deve essere pertanto temperato dalla necessità di tenere insieme il sistema per evitarne la destabilizzazione. La stabilità può essere data solo da una vision condivisa – stella polare che guida la rotta- dai valori aziendali che mai come in una fase costituiscono riferimenti essenziali”.

    In concreto, cosa dovrebbe fare il Direttore delle Risorse Umane? “Il suo compito nella trasformazione digitale non è quello di spiegare che gli algoritmi servono a potenziare l’azione umana. Ma, se da una parte deve salvaguardare la dimensione umana ed etica nella gestione del cambiamento, dall’altra, dovrebbe dotarsi di una nuova e diversa strumentazione gestionale: non è pensabile continuare a gestire le risorse umane con strumenti, politiche e logiche del vecchio mondo analogico. Politiche di sviluppo, formazione, retributive e organizzative devono cedere il passo a modalità gestionali adeguate ai nuovi contesti. Il mio libro ha l’ambizione di volere stimolare una presa di coscienza in grado di spingere non solo le imprese, ma le Università, i master, i centri di formazione, oltre le precedenti e consuete logiche della gestione delle risorse umane. Quanto più le domande che ci poniamo sono potenti e profonde, tento più è difficile scendere nel concreto delle azioni da intraprendere. Non ci sono manuali che tengano, non ci sono ricette preconfezionate: sarebbe un inganno manipolatorio. Bisogna sviluppare l’attitudine a interrogarsi e ipotizzare e sperimentare le azioni possibili. La prima parte del mio libro è dedicata alle domande da porci di fronte all’inevitabile e dilagante algocrazia. La seconda parte si concentra sulle azioni, intese come possibili linee da seguire, vie di una possibile progettualità da interpretare e adattare, non come pratiche operative standard. Escluse perciò pillole di microlearning, App e scorciatoie”.

    Il punto, secondo il docente, è che la tecnologia non si può fermare. Piuttosto, tocca a noi formarci. E qui la formazione necessaria è un oltraggio, cioè spinta ad andare oltre, lasciare le proprie zone di comfort per dialogare con le macchine intelligenti, conoscerle, comprenderne limiti, caratteristiche, potenzialità e bisogni. Perché anche le macchine sapiens hanno bisogni: essere interrogate correttamente, manutenute, integrate con le dimensioni non calcolanti dell’intelligenza umana.

    L’autore crede che l’obiettivo di una coerente ed efficace trasformazione digitale richieda la piena valorizzazione della dimensione relazionale: dialogo tra macchine e macchine, tra macchine e umani, tra umani e umani.

    “La modalità delle Comunità di Pratica è la più efficace in questo senso, in quanto promuove il senso di responsabilità, favorisce la prossimità professionale, la condivisione delle problematiche operative e, soprattutto, il trasferimento delle conoscenze tacite, non ottenibile da nessun algoritmo di Intelligenza artificiale”.

    Le informazioni, inoltre, sono essenziali e funzionali alla fabbrica integrata, ma secondo Perillo “saranno sempre più disintermediate e disponibili appena una mano accenderà il computer e comincerà la giornata. Non saranno né filtrate né top down, né monopolio del datore di lavoro o del sindacato”.

    Quale l’errore più grande da non commettere? “Pensare che la digitalizzazione si risolva con un piano di investimenti tecnici. L’attenzione va posta più sul termine trasformazione – per cui è necessario un piano- e meno su digitale, che richiede un investimento in tecnologia”.

    Nei prossimi anni, con una fabbrica sempre meno fisica, un lavoro on demand, sempre più a tempo determinato, potrebbe affievolirsi anche la necessità da parte dell’azienda di interfacciarsi con i sindacati? “Questo è un punto dirimente. Il sindacato esaurisce la sua funzione tradizionale di tipo rivendicativo, per esercitare invece una funzione di supervisione e controllo sulle modalità in cui viene esercitato il potere algoritmico in fabbrica. La cooperazione tra responsabili e collaboratori non può più richiedere la mediazione sindacale, deve necessariamente esercitarsi in modo diretto e a-gerarchico di fronte al potere dei dati e dell’apprendimento veloce delle macchine intelligenti”.

    Facendo parlare il laureato in Filosofia, sarebbe preferibile un direttore HR con il suo percorso universitario, servirebbe un filosofo in azienda?  “Secondo me non esiste né dovrebbe esistere la figura specialistica del filosofo in azienda. Siamo tutti filosofi e la filosofia deve consistere in un atteggiamento riflessivo e non supino rispetto alla realtà – che ormai comprende nell’infosfera sia il mondo fisico che quello virtuale. Porsi domande, interrogare lo stato dei fatti, trovare soluzioni rispetto agli imprevisti, supportare i cambiamenti. Ogni manager dovrebbe farlo. Non sono azioni delegabili a un Direttore HR filosofo, col rischio di deresponsabilizzare e svuotare la funzione manageriale. La responsabilità manageriale non dev’essere delegata né agli algoritmi né a un direttore HR filosofo. Essa è essenziale per dare all’azienda una marcia in più oltre la standardizzazione piatta che i sistemi di AI possono conferire al prodotto e alla produzione”.

    Il rischio maggiore? Per il saggista, è che si imbocchi la strada dell’approssimazione, tentati dalle scorciatoie, tipo: Affidiamo tutto a una società di consulenza. Quindi che si resista al cambiamento per ragioni di potere e controllo. Anche per questo è necessario un ricambio generazionale sia nel management che nell’imprenditorialità familiare”.

    Alla fine del discorso, meglio pensare che Henry Ford non si stia rivoltando nella tomba, ma che al contrario, se la stia ridendo? “Penso che se la goda perché il neo-fordismo riaffiora sempre, è insito nella pretesa di ottimizzare e standardizzare i processi nell’illusione di assicurare stabilità e ripetibilità operativa alla fabbrica. Ma si rivolterà nella tomba quando un giorno una macchina intelligente gli dirà che per vincere la competizione e restare sul mercato occorre che il talento, l’unicità e l’esperienza umana dialoghino con le macchine. E ciò richiede un’organizzazione del lavoro con un alto grado di libertà per gli umani e vincoli per le macchine”.

    Cinzia Ficco

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  • Henry Mintzberg e gli otto “ineludibili dilemmi del management”

    Henry Mintzberg e gli otto “ineludibili dilemmi del management”

    Dal suo ultimo libro, pubblicato di recente da FrancoAngeli


    Per mezzo secolo Henry Mintzberg (in foto) le ha studiate e osservate da vicino. In alcuni casi ha dato loro consigli e le ha aiutate ad uscire da periodi di difficoltà.  

    Rimangono il centro dei suoi studi ancora oggi che ha compiuto 85 anni. Tanto che ha deciso di dedicare loro l’ultima fatica letteraria, pubblicata da FrancoAngeli e intitolata: Capire le organizzazioni…Alla Buon’ora! – 7 forme e 7 forze.

    Si tratta di una guida concentrata, appunto, sulle organizzazioni, di trecento pagine, in cui lo studioso americano è netto: credere che esista un modo migliore di tutti per strutturare le organizzazioni è il modo peggiore per farlo. Esistono diverse tipologie. Mintzberg ne individua sette, all’interno delle quali agiscono – quattro forze – consolidamento, efficienza, conoscenza, collaborazione, ognuna delle quali tende ad essere predominante in una specifica forma organizzativa, mentre  tre  forze aggiuntive – separazione, cultura e conflitto-  in alcune circostanze, possono prevalere in tutte le forme. In generale, le forze fissano le forme per impedire di andare fuori controllo, creano degli ibridi e guidano le trasformazioni lungo l’intero ciclo di vita delle organizzazioni.

    Vi allego alcune pagine del libro dello studioso, Cleghorn Professor of Management Studies presso la McGill University di Montreal, premiato da istituzioni accademiche e professionali.

    Gestire sul piano dell’azione

    I manager gestiscono anche l’azione, quasi direttamente. Quando qualcuno pronuncia una frase come “Mary-Anne è una che fa”, di solito non intende dire che Mary-Anne è impegnata in un lavoro di tipo operativo, per esempio, realizzare prodotti o fare la manutenzione dei macchinari. Piuttosto, muovendo verso il piano dell’azione, i manager aiutano gli altri a fare le cose: promuovono i cambiamenti, partecipano ai progetti, gestiscono le difficoltà, fanno affari.

    Fare all’interno. I manager gestiscono in modo reattivo le difficoltà e in modo proattivo le opportunità, quest’ultima cosa, per esempio, unendosi a un team, non solo per essere informati ma per influenzarne le attività.

    Gestire all’esterno. Gestire è l’altra faccia del fare, la sua manifestazione esterna. I manager hanno a che fare con gli esterni, vale a dire fornitori, finanziatori, soci, ma anche altri manager della stessa organizzazione. Ciò spesso significa, per esempio, ricorrere alle loro reti esterne per condurre negoziazioni con i partner in joint venture e con i sindacati che rappresentano i lavoratori.

    Ora siamo in grado di comprendere i pericoli derivanti da un’eccessiva enfatizzazione di uno specifico ruolo manageriale: potrebbe portare a una pratica sbilanciata della gestione. Come una ruota sbilanciata, il lavoro rischia un’oscillazione fuori controllo. Questo è un lavoro che necessita un perfetto equilibrio. Pensare è un’attività pesante (un eccesso può estenuare il manager), mentre agire è lieve (troppa azione può disperdere in mille direzioni il lavoro del manager). Un eccesso di leadership può distrarre il manager dal contenuto della gestione, mentre un eccesso di contatti può ridurre il suo lavoro al mantenimento di pubbliche relazioni. Il manager che si limita acomunicare non riesce a fare mai nulla, mentre il manager che fa ditutto finisce con l’agire in solitudine.

    Quindi come fare a rimanere ben bilanciati? Affrontando una serie di dilemmi che sono parte integrante del lavoro manageriale (si veda il riquadro). Avendo esaminato le parti e i player fondamentali all’interno delle organizzazioni e avendo considerato i tre approcci al processo decisionale, alla creazione delle strategie e al lavoro manageriale, passiamo ora agli elementi di base della progettazione organizzativa.

    Gli ineluttabili dilemmi del management

    Per apprezzare le vere difficoltà della gestione manageriale, considerate per piacere questi dilemmi. Un dilemma è un problema che, sebbene possa essere attenuato, non ha mai una vera e propria soluzione. Di seguito, ne propongo otto.

    1. Il rompicapo della pianificazione. Questo è forse il più elementare di tutti i dilemmi, una piaga per tutti i manager. Come pianificare, fare strategie, semplicemente pensare, per non parlare di prepararsi per il futuro in questo lavoro tanto frenetico? Detto diversamente, come approfondire quando la pressione per fare è molta?

    2. L’enigma della connessione. Come tenersi aggiornati – in contatto, in relazione – quando la gestione è per sua natura così distante da ciò che si gestisce? Ieri scrivevate articoli, oggi gestite un drappello di professori che scrivono articoli.

    3. Il labirinto della scomposizione. Il mondo delle organizzazioni è frammentario: dipartimenti e divisioni, prodotti e servizi, programmi e budget. I manager dovrebbero supervisionare e integrare fra loro i vari elementi di questa confusa realtà. Dove trovare la sintesi in un mondo scisso dall’analisi?

    4. I misteri della misurazione. Molte delle cose più importanti da gestire, come la cultura aziendale e lo stesso management, non si prestano a una facile misurazione. Quindi, come gestire ciò a cui non è applicabile alcuna misurazione?

    5. Il rebus della delega. I manager che hanno contatti ricevono moltissime informazioni, gran parte delle quali informali: opinioni, voci, persino pettegolezzi. Pertanto, come fa un manager a delegare quando tanta parte delle sue informazioni sono personali, orali e spesso confidenziali?

    6. L’ambiguità dell’azione. Quando un manager ritarda la decisione per capire meglio una situazione, anche tutti gli altri possono trattenersi dall’azione. Come agire con decisione in un mon- do complicato e ricco di sfumature, evitando al contempo la paralisi per eccesso di analisi e le cattive decisioni frutto di un esclusivo affidarsi all’istinto?

    7. L’arcano del cambiamento. Il cambiamento continuo può essere disfunzionale così come l’assenza di cambiamento. Come gestire il cambiamento quando c’è bisogno di mantenere la continuità?

    8. Il momento critico della fiducia. La gestione richiede fiducia: nessuno vuole che il suo lavoro venga organizzato e gestito da qualcuno che ha sempre paura di agire, così come nessuno desi-dera ricevere indicazioni da qualcuno che agisce sempre impavidamente. Quindi, come riuscire a trasmettere un certo livello di fiducia senza travalicare nell’arroganza?

    Come può un manager far fronte a tutti questi dilemmi in una sola volta? Tenendoli continuamente presenti, affrontandoli, alleviando- ne gli effetti. Questi dilemmi non sono distrazioni, sono l’essenza del management! Gestire un’organizzazione significa attraversare uno spazio multidimensionale su una serie di corde tese, come dei funamboli. I manager devono trovare il giusto equilibrio, un equilibrio dinamico.

    Note

    Connolly T., “On Taking Action Seriously”, in Undon G.N., Brunstein D.N. (acura di), Decision-Making: An Interdisciplinary Inquiry, Kent, Boston, 1982, p. 45. 2 Gran parte di questo paragrafo è discussa con abbondanza di esempi in Mintzberg H., Tracking Strategies: Toward a General Theory, Oxford University Press, Oxford, 2007. 3 Porter M., Competitive Strategy: Techniques for Analyzing Industries and Competitors, Free Press, New York, 1980. Drucker P.F., The Practice of Management, Harper & Row, New York, 1954. 4 Fayol H., General and Industrial Management, Paris Institute of Electrical and Electronics Engineering, Paris, 1916, trad.it. Direzione industriale e generale, Guerini e Associati, Milano, 2011. 5 Quanto segue è discusso in modo esteso, con esempi dettagliati tratti dalla vita lavorativa quotidiana di diversi tipi di manager, nel mio libro Managing, Berrett-Koehler, San Francisco, 2009, trad. it. Il lavoro manageriale, FrancoAngeli, Milano, 2013 e, più brevemente, in Simply Managing, Berrett-Koehler, San Francisco, 2013, trad. it. Il lavoro manageriale in pratica, FrancoAngeli, Milano, 2014. 6 Porter M., “The State of Strategic Thinking”, The Economist, maggio 23, 1987, p. 2.7 Bennis W.G., On Becoming a Leader, Basic Books, New York, 2009; Zaleznik A., “Managers and Leaders: Are They Different?”, Harvard Business Review, gennaio 2004, pp. 74-81. 8 Simon H., The Sciences of the Artificial, MIT Press, Cambridge, MA, 1969, trad. it. Le scienze dell’artificiale, Il Mulino, Bologna, 1988. 9 Per esempio, Mintzberg H., The Nature of Managerial Work, Harper Collins, New York, 1973. 10 Si veda Mintzberg H., Simply Management, Capitolo 5, per una più approfondita trattazione di questi dilemmi. 11 Langley A., “Between ‘Paralysis by Analysis’ and ‘Extention by Instinct’”, Sloan Management Review, primavera 1995.

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  • A Milano torna il Forum Risorse Umane, appuntamento dedicato al lavoro

    A Milano torna il Forum Risorse Umane, appuntamento dedicato al lavoro

    Si terrà il 14, 15 e 16 novembre prossimi. Oltre 250 gli speaker C-level dell’area HR


    Il lavoro è l’argomento protagonista della quindicesima edizione del Forum Risorse Umane, il principale appuntamento italiano dedicato al mondo del Lavoro e del People Management.

    Quest’anno l’evento si svolgerà in presenza presso il Magna Pars di Milano il 14, 15 e 16

    novembre 2023. Il Forum HR è un’interessante opportunità dove manager e professionisti della gestione delle Risorse Umane si riuniscono per esplorare i nuovi scenari lavorativi, condividere le ultime idee e pratiche organizzative e creare una piattaforma di scambio e discussione di alto livello.

    Sono previsti oltre 250 speaker C-level dell’area HR, provenienti dalle principali aziende e multinazionali. http://forumhr.it/

    Il programma

    Saranno affrontati diversi argomenti fondamentali per il futuro del lavoro. Dalle nuove tecnologie al servizio dell’Attrazione dei Talenti, alle sfide e opportunità nella Formazione Digitale, passando per le innovative pratiche di benessere e l’impegno per una maggiore sostenibilità sul luogo di lavoro, fino alla digitalizzazione dei processi e alla ridefinizione del concetto di workplace (luogo di lavoro).

    Il 14 novembre si svolge la serata di apertura dal titolo ‘Il futuro del lavoro: tra immaginazione e Ispirazione’, per prepararsi al mondo che verrà. Dalle 18 alle 22 c’è un’occasione per sfidare la mente e trovare l’ispirazione necessaria per affrontare il futuro del lavoro. Dalle 19,15 alle 20,15 è in programma un Talk Show esclusivo, l’Anteprima Forum Live, con ospiti speciali come Francesca Morichini, Chief HR Officer di Amplifon, affiancata da Opinion Leader, Manager, Innovatori ed Esperti. Condivideranno la loro visione sul futuro del lavoro, sia in Italia che nel mondo. Una serata all’insegna dell’ispirazione e dell’immaginazione, condotta da Renato Geremicca.

    Il 15 novembre è la giornata dedicata al talento, al recruiting, alla formazione, allo sviluppo e all’innovazione organizzativa e digitale, elementi chiave per sostenere e valorizzare il talento aziendale. Tra i principali argomenti del giorno, spiccano: Talent Attraction, Digital Learning, People Development, HR Transformation e People & Culture.

    Il 16 novembre sono al centro del dibattito le migliori pratiche aziendali che pongonole persone al centro, promuovendo il benessere dei dipendenti e sviluppando strategie perrendere il lavoro sostenibile.

    Gli argomenti chiave di questa giornata includono: Welfare &Benefits, Benessere Organizzativo, Work-Life Balance, Diversity, Equity & Inclusion (DE&I), eSalute e Sicurezza.

    Come partecipare al Forum

    La partecipazione riservata al Pubblico relativa alle Sessioni del 15 e 16 novembre è a pagamento. Il Ticket è di 50 Euro e NON include la partecipazione al Business Lunch. Il C-Level Management HR può richiedere l’invito gratuito direttamente dal sito, ed attendere in caso di posti liberi ed approvazione, la ricezione del QRCode valido per l’ingresso. La partecipazione riservata al Business Management relativa alle Sessioni del 15 e 16 novembre è a pagamento.

    Il Ticket è di 100 Euro ed include la partecipazione al Business Lunch in compagnia degli Speaker. La partecipazione alle Sessioni del 14 (Serata di Anteprima), 15 e 16 novembre è inclusa nell’iscrizione associativa (previa prenotazione) e comprende la partecipazione a tutti gli eventi 2024 inclusa la partecipazione attiva ai Tavoli Tematici.

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  • Cambiare il business per guidare il futuro. Torna il leadership Forum

    Cambiare il business per guidare il futuro. Torna il leadership Forum

    Si terrà al Teatro degli Arcimboldi dal 25 al 26 ottobre prossimi


    Cambiare il business oggi, per guidare il futuro: torna l’appuntamento annuale con il Leadership Forum, il 25 e 26 ottobre a Milano, al Teatro degli Arcimboldi.

    Due giorni insieme a business thinkers del panorama globale, esperti di management, del mondo accademico e culturale in un evento unico, per ispirare il cambiamento, sviluppare modelli per fare impresa in modo più sostenibile e ripensare insieme il futuro del business e della leadership.

    Tra gli speaker internazionali dell’edizione 2023 anche tre autori di ROI Edizioni, Indra Nooyi, Mo Gawdat e Jo Owen, disponibili per interviste, in inglese, in accordo con l’ufficio stampa. “Il futuro del lavoro” con MO GAWDAT

    Chief Business Officer di Google X dal 2013 al 2018, Mo Gawdat per 30 anni ha ricoperto posizioni di rilievo nella tech industry, collaborando con grandi aziende come Microsoft e IBM. Dal 2017 studia l’impatto dell’Intelligenza Artificiale sul futuro dell’umanità, indagando la correlazione tra tecnologie, felicità e benessere.

    È autore dei bestseller L’equazione della felicitàSuperintelligenti e Quella vocina nella tua testa, pubblicato da ROI Edizioni.

    Quella vocina nella tua testa è il libro in cui Mo Gawdat, guidato dalla sua esperienza nella programmazione e dai suoi studi in neuroscienze, spiega come – nonostante la loro incredibile complessità – i nostri cervelli si comportino in modo molto prevedibile e fornisce ai lettori un manuale per la felicità e dei semplici esercizi per aiutarli a rimodellare il loro modo di ragionare.

    L’incontro dedicato al futuro del lavoro “Intelligenza artificiale e felicità” con Mo Gawdat sarà mercoledì 25 ottobre, dalle 14:30 alle 15:45.

    “Leadership del futuro” con INDRA NOOYI

    CEO visionaria di PepsiCo dal 2006 al 2018, Indra Nooyi, oggi nel board di Amazon e Philips, nei suoi 24 anni in PepsiCo ha ricoperto i principali ruoli del top management ed è stata la promotrice di un approccio più salutare ed ecosostenibile e artefice dei processi di ristrutturazione, diversificazione e acquisizione che hanno accresciuto le revenue della società dell’80% e il rendimento totale per gli azionisti del 162%, superando il rating di S&P. Insignita di 15 lauree ad honorem dai maggiori atenei internazionali, è tra le 100 donne più potenti al mondo secondo Forbes.

    In La mia vita, tutta, uscito nel 2022 per ROI Edizioni, Indra Nooyi racconta la sua esperienza personale e professionale, di donna e di leader: una storia di empowerment femminile di grande ispirazione e di un progetto per la prosperità nel ventunesimo secolo, perché “con ottimismo e responsabilità possiamo trasformare la nostra società”.

    L’incontro dedicato a performance with purpose “Leadership del futuro” con Indra Nooyi sarà giovedì 26 ottobre, dalle 15:45 alle 17.

    “Team management” con JO OWEN

    Jo Owen è top manager di grandi aziende globali e imprenditore seriale. Ha fondato, assumendone la direzione strategica, Teach First: una società no-profit che introduce i migliori laureati del Regno Unito all’insegnamento scolastico prima di intraprendere la carriera manageriale.

    È autore di best seller sui temi della leadership e del management che sono stati tradotti in varie lingue. Hanno avuto complessivamente oltre cento edizioni in tutto il mondo. È l’unico al mondo ad aver vinto tre volte il Gold Medal Award del CMI con i suoi libri. Con Roi Edizioni ha pubblicato Le qualità dei leader.

    L’incontro dedicato al “Team management” con Jo Owen sarà giovedì 26 ottobre, dalle 09 alle 10.

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