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Ottobre 11, 2024
Diritto

LE MOLESTIE SESSUALI SUL LUOGO DI LAVORO

ACCERTAMENTO DELLA RESPONSABILITA’


Le molestie sessuali sul luogo di lavoro, incidendo sulla salute e la serenità (anche professionale) del lavoratore, comportano l’obbligo di tutela a carico del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., sicché deve ritenersi legittimo il licenziamento irrogato al dipendente che abbia molestato sessualmente una collega sul luogo di lavoro, a nulla rilevando la mancata previsione della suddetta ipotesi nel codice disciplinare.

In questi termini ha deciso la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20239 del 2023,

depositata il 26 settembre.

La vicenda giudiziaria

Nel dicembre del 2017, un ente giuridico avente natura di Fondazione, a seguito di rituale esperimento della procedura disciplinare di cui all’art. 7, l. 300/1970, licenziava per giusta causa un lavoratore, sulla scia di una serie di gravi elementi debitamente contestati, che facevano riferimento a due episodi (indicati nel rispetto del principio di specificità che deve informare la contestazione disciplinare): il primo, risalente alla fine di ottobre, avrebbe configurato sic et simpliciter un’ipotesi di molestie, per essere stato il dipendente accusato di aver palpeggiato una collega durante l’orario di lavoro; nella seconda occasione, collocata nel luglio precedente, aveva invece rivolto dei commenti gravemente inopportuni e alla presenza di altri nei confronti di un’altra collega.

Le molestie sessuali sul luogo di lavoro, incidendo sulla salute e la serenità (anche professionale) del lavoratore, comportano l’obbligo di tutela a carico del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., sicché deve ritenersi legittimo il licenziamento irrogato a dipendente che abbia molestato sessualmente una collega sul luogo di lavoro, a nulla rilevando la mancata previsione della suddetta ipotesi nel codice disciplinare e senza che, in contrario, possa dedursi che il datore di lavoro è controparte di tutti i lavoratori, sia uomini che donne, e non può perciò essere chiamato ad un ruolo protettivo delle seconde nei confronti dei primi, giacché, per un verso, le molestie sessuali possono avere come vittima entrambi i sessi e, per altro verso, il datore di lavoro ha in ogni caso l’obbligo, a norma dell’art. 2087 cit., di adottare i provvedimenti che risultino idonei a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori, tra i quali rientra l’eventuale licenziamento dell’autore delle molestie sessuali (Cass. 18 settembre 2009 n. 20272).

Le azioni moleste possono dar luogo anche al risarcimento dei danni in capo al datore di lavoro (cfr. ad esempio Cass. 12318/2010 per un caso in cui la Corte ha ritenuto “correttamente motivata la sentenza impugnata, che, con riferimento alle molestie sessuali subite da un lavoratrice, aveva liquidato equitativamente il danno non patrimoniale, utilizzando, quanto al danno morale, il criterio dell’odiosità della condotta lesiva nei confronti di persona in posizione di soggezione, e, quanto al danno esistenziale, quello della rilevanza del clima di intimidazione creato nell’ambiente lavorativo dal comportamento del datore di lavoro e del peggioramento delle relazioni interne al nucleo familiare della lavoratrice molestata in conseguenza dell’illecito subito”).

Nel caso in esame, la Corte d’Appello riformava la sentenza di primo grado, che aveva dato ragione al lavoratore, dichiarando il licenziamento legittimo, con tutte le conseguenze del caso.

Il ricorso per Cassazione

Il lavoratore ricorreva dunque in Cassazione, affidando il ricorso a tre motivi di impugnazione.

La Cassazione, esaminati tutti i motivi del ricorso, li riteneva trattabili congiuntamente, riconducendoli allo scioglimento di un’unica matassa.

La Cassazione smentiva la ricostruzione del ricorrente, ricordando come già il Tribunale di primo grado (dunque l’autorità che aveva emesso la sentenza più favorevole al ricorrente) avesse già evidenziato le finalità tutt’altro che goliardiche della condotta del lavoratore, certamente non riducibile a mero cameratismo, e anzi volto a causare una mortificazione psicologica della destinataria della sua pacca, a fortiori in ragione del ruolo gerarchicamente sovraordinato svolto dal ricorrente (cui le due dipendenti destinatarie dei comportamenti contestati si rivolgevano dandogli del “lei”).

Per tutte le ragioni sopra riportate, la Cassazione rigettava il ricorso, valutando definitivamente come legittimo il licenziamento irrogato e condannando il lavoratore al pagamento delle spese processuali.

La violenza di genere

La violenza contro le donne basata sul genere è un fenomeno spesso sommerso e molto diffuso, che assume molteplici forme più o meno gravi: violenza fisica, violenza sessuale, violenza psicologica, violenza economica, stalking, omicidio. Come riporta annualmente l’Istat, il fenomeno è molto diffuso, da nord a sud dell’Italia.

Trascorsi i dodici mesi richiesti dalle procedure internazionali, il 29 ottobre 2022, è entrata definitivamente in vigore in Italia la Convenzione n.190 dell’OIL (approvata il 21 giugno 2019 e ratificata in Italia con la Legge n. 4 del 15 giugno 2021). Come già puntualmente esplicitato con circolare del 3 novembre 2021, nella quale si anticipava la data dell’entrata in vigore nell’anno 2021, a causa di un impedimento burocratico avvenuto nel procedimento di ratifica svolto dal Ministero del lavoro italiano, anziché effettuarsi in un unico atto è stato necessario ricorrere ad un duplice passaggio istituzionale che ha allungato i tempi.

La Convenzione OIL 190 si distingue in particolare per quattro elementi:

– Primo, riconosce che le molestie e la violenza di genere colpiscono sproporzionalmente donne e ragazze.

– Secondo, rileva che la violenza domestica può avere ripercussioni sull’occupazione, la salute, la sicurezza delle persone colpite.

– Terzo, stabilisce un ambito di applicazione molto ampio, ovvero tutti i settori, sia privati che pubblici, dell’economia formale e informale, di aree urbane o rurali, indipendentemente dallo status contrattuale delle lavoratrici e dei lavoratori.

Infine, si applica a casi di molestie e violenza che si verificano in occasione del lavoro (posto di lavoro), in connessione con il lavoro (luoghi destinati alla pausa, al pranzo, spogliatoi, bagni, uffici retribuzione, alloggi messi a disposizione dal datore di lavoro) o che scaturiscono dal lavoro (durante gli spostamenti per recarsi al lavoro, spostamenti o viaggi di lavoro, formazione o eventi correlati al lavoro).

In questo scenario normativo si inserisce compiutamente la decisione della Suprema Corte del 26 settembre scorso, che costituisce affermazione e ribadimento di un principio ormai fatto proprio dalla giurisprudenza.

Prof. Avv. Pasquale Dui

Avvocato in Milano

Professore a contratto di diritto del lavoro


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