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Dicembre 3, 2024
Management

Lavoro: meglio seguire la propria passione? “Non è sempre un buon consiglio”

Il manifesto provocatorio del prof Carl Newport, racchiuso nel suo ultimo libro


E’ importante amare ciò che si fa o fare ciò che si ama?

Confucio e Steve Jobs avevano le loro idee. Voi? Forse un libro, pubblicato di recente da Roi, potrebbe illuminarci.

Si intitola “Così bravo che non potranno ignorarti” e a scriverlo è stato Cal Newport ( in foto) Professore di Computer science alla Georgetown University, il quale assegna alla competenza più che alla passione un ruolo fondamentale nella realizzazione del lavoro dei propri sogni.

Per iniziare, chiediamoci in quanti possiamo dire di aver trovato un lavoro collegato alle nostre passioni e se siamo sicuri che sia quello che ci renderà felici.

Se fino a qualche tempo fa l’aforisma di Confucio – che ci dice di scegliere un lavoro che amiamo per non lavorare neppure un giorno nella nostra vita- veniva ripetuto come un mantra, ora sembra non avere più alcun appeal.  

La tesi del libro, portato in Italia dall’editore dopo il successo di Minimalismo digitale e Deep work , è propria questa. E lo stesso Newport invita i lettori a smetterla di raccontarsi e diffondere questa storia, e vedere il proprio lavoro e la propria motivazione da una prospettiva nuova e più realistica.

Perché alcune persone amano il proprio lavoro mentre tante altre no? 

Scorrendo le pagine, si comprende un punto fondamentale: ci sono molte e complesse ragioni che determinano la soddisfazione sul posto di lavoro, ma tra queste non c’è il concetto semplicistico di associare il proprio lavoro a una passione preesistente. Nella sua ricerca, Newport è giunto a tre conclusioni diverse e interessanti:

Le passioni lavorative sono rare. Poniamo il fatto che ognuno di noi abbia una passione, sia riuscito a far sì che si manifestasse, abbia avuto modo di svilupparla. Non è detto che questa teoria sia rilevante e possa tradursi nella scelta di un determinato percorso professionale: un duro primo colpo inferto alla teoria a cui siamo abituati.

La passione richiede tempo. Secondo la ricerca di Amy Wrzesniewski, docente a Yale, i dipendenti più felici e appassionati non sono quelli che hanno seguito la loro passione per ottenere un lavoro, ma quelli che hanno lavorato abbastanza a lungo da diventare bravi in quello che fanno. Hanno avuto quindi modo di sviluppare relazioni con i colleghi e di constatare come il loro lavoro possa essere un beneficio per gli altri.

La passione è un effetto collaterale della competenza. La motivazione richiede infatti il soddisfacimento di tre bisogni psicologici fondamentali: l’autonomia (la sensazione di avere il controllo sulla propria giornata), la competenza (la sensazione di essere bravi in ciò che si fa) e le relazioni.

Riuscire a lavorare bene, in un ambiente sano e stimolante, è meglio che trovare il lavoro giusto. Perché la verità è che qualunque lavoro, alla fine, ha i suoi difetti e non è di certo la passione a rendere ciò che facciamo ogni giorno un buon lavoro, un buon risultato, portandoci al successo, riempiendoci di felicità o regalandoci grandi soddisfazioni.

Quindi meglio smontare quella zona d’ombra che si nasconde dietro alle patinate didascalie social di instancabili workaholic o, peggio, a quell’ansia cronica e assillante che nascondiamo ai nostri amici, conoscenti o follower. Perché le stesse storie che ci vengono riproposte come un mantra negli anni diventando leggi non scritte, inviolabili verità, per l’autore, se le approfondiamo scopriamo essere false, ricostruite ad arte, vittime della scelta di narrazione più affascinante.

Il consiglio di Confucio, come quello di Steve Jobs (“Dovete trovare ciò che amate, perché l’unico modo per fare un ottimo lavoro è amare ciò che si fa”) sono dei cliché imperfetti e sbagliati: le passioni preesistenti  – che abbiamo visto essere rare – non sono il carburante giusto per percorrere la strada verso una carriera di successo. La passione arriva dopo l’impegno che abbiamo investito nel costruire qualcosa di valore, quando creiamo, giorno dopo giorno, il lavoro dei nostri sogni.

Lo stesso Jobs, se avesse deciso di seguire la sua passione, oggi sarebbe uno degli insegnanti più popolari di Los Altos Zen Center, invece ha fondato La Apple Computer, il risultato di un colpo di fortuna, un progetto a tempo perso inaspettatamente decollato. E così la storia di Jobs genera più domande che risposte: dovremmo opporci a una carriera troppo rigida e sperimentare invece tanti piccoli progetti, in attesa che uno di questi decolli? È importante quale campo di attività esploriamo? L’unica certezza è che, almeno per lui, segui la tua passione non è stato un consiglio particolarmente utile. 

Ciò che facciamo per vivere è molto meno importante di come lo facciamo.

Quindi, in quest’ottica, come possiamo costruire una carriera di successo o renderla tale? 

Secondo Newport, la risposta non dobbiamo cercarla nella sfera della passione, bensì in quella delle competenze. Aspetti, caratteristiche, attitudini che possono essere sviluppate nel tempo e con cui poter arrivare a dire di essere felici e soddisfatti del proprio lavoro, anche se non è necessariamente quello per cui si nutre una forte passione. Trascorrendo del tempo con professionisti molto diversi tra loro, da agricoltori a venture capitalist, da sceneggiatori a programmatori informatici, l’autore scopre la soddisfazione dell’artigiano: un mix reale di successo, felicità e gratificazione derivanti dalla gioia di fare il proprio lavoro.

Il libro è pubblicato da Roi nella collana Ottantaventi, curata da Andrea Giuliodori, il fondatore del blog Efficacemente https://www.efficacemente.com/ e può essere utile  ai giovani che vogliono costruirsi una carriera, ma al tempo stesso raccoglie consigli validi per i professionisti di ogni età, alla ricerca di una risposta sul senso del proprio lavoro.

La Redazione

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