Nasce il Manifesto filosofico: progetto di Fondazione Relazionésimo
La nuova ‘Era del Relazionésimo’ vuole offrire adeguate risposte al problema di questo momento storico: la solitudine sul lavoro. Stiamo parlando di un problema sociale ed economico che coinvolge milioni di persone, senza avere quelle adeguate soluzioni ad hoc. Tuttavia la solitudine sul lavoro registra preoccupanti conseguenze rispetto al grado di coinvolgimento dei dipendenti, sulla produttività, senza dimenticare le performance di un’organizzazione. Ed è proprio per invertire questa tendenza sociale che nasce in Italia il Manifesto, sostenuto da un pool di esperti tra sociologi, economisti e psicologi, al fine di aiutare le imprese ad entrare nella nuova “Era del Relazionésimo”. Si discute su queste tematiche filosofiche e sociologiche in questo momento storico, per intercettare soluzioni a beneficio di imprese e lavoratori, al fine di migliorare produzione e ambiente sociale.
Il progetto culturale
Il progetto di Fondazione Relazionésimo esprime l’esigenza di armonia, equilibrio e bellezza nella complessità contemporanea. A coniare il neologismo sono state proprio Ombretta Zulian e Ketty Panni, che reinterpretano, rinnovano e, allo stesso tempo, ritornano all’essenza della parola “economia” intesa come amministrazione e cura della “casa”. Il loro impegno per riuscire ad affermare l’importanza e il valore delle relazioni umane è supportato da un comitato scientifico di primo livello composto, tra gli altri, dalle seguenti personalità: Prof. Mauro Magatti, Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Relazionésimo e Ordinario di Sociologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Prof. Ugo Morelli, psicologo, studioso di scienze cognitive e scrittore, insegna Scienze Cognitive applicate al DIARC – Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli; Prof. Vittorio Gallese, neuroscienziato e Professore ordinario di Psicobiologia al Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma; Prof. Daniel Antenucci, ordinario di Bioecologia e direttore del Centro di Investigazione Marina, Università di Mar del Plata, Buenos Aires; Prof. Luigino Bruni, ordinario di Economia Politica presso l’Università LUMSA di Roma e dalla Prof.ssa Chiara Giaccardi, ordinaria di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Analisi del settore
Secondo un’indagine ripresa anche da Nature «sono più di 8 su 10 i dipendenti di Brasile, Cina, Germania, Regno Unito e Stati Uniti che dichiarano di sentirsi soli nei luoghi di lavoro (82%). A livello globale, il report State of the Global Workplace di Gallup ha rilevato come un dipendente su 5 si senta solo al lavoro mentre, tra i lavoratori italiani, uno su 4 (25%) dichiara di provare tristezza e isolamento ogni giorno. Tra le generazioni, secondo quanto riportato anche da Fortune, sono gli appartenenti alla Gen Z a sentirsi maggiormente isolati sul luogo di lavoro (30%), rispetto al 22% registrato nelle altre fasce d’età. In Giappone uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Tokyo ripreso dal Japan Times ha scoperto che una persona su 10 si sente “sempre sola” al lavoro, con la percentuale che aumenta tra coloro che lavorano per molte ore».
La solitudine sul lavoro
«L’impatto negativo della solitudine sul lavoro si estende ben oltre il benessere individuale, mentale e fisico, influendo anche su produttività, grado di coinvolgimento dei collaboratori e prestazioni dell’organizzazione. Uno studio della Campaign to End Loneliness promosso dalla Sheffield Hallam University ha rilevato che le persone che si sentono spesso sole hanno maggiori probabilità di dichiarare una minore soddisfazione lavorativa e un minore coinvolgimento sul luogo di lavoro. Un’altra ricerca pubblicata sull’Harvard Business Review ha rilevato che i dipendenti solitari sono meno produttivi e dimostrano un minore impegno nei confronti della propria organizzazione. Un trend negativo che ha effetti devastanti anche sull’intera economia globale. Nel Regno Unito si stima ad esempio che la solitudine dei lavoratori costi agli imprenditori, in termini di calo della produttività e aumento dei tassi di assenteismo e turnover, fino a 2,5 miliardi di sterline all’anno. Negli Stati Uniti, invece, come riportato da Harvard Business Review, l’assenteismo correlato allo stress attribuito alla solitudine costa ai datori di lavoro circa 154 miliardi di dollari all’anno».
Francesco Fravolini