Parla Biancamaria Cavallini, psicologa del lavoro, autrice di un libro (FrancoAngeli)
“Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ogni anno nel mondo si perdono circa 1000 miliardi di dollari a causa di ansia e depressione. Dato che si riflette in 12 miliardi di assenze annue dal lavoro correlate a problemi psicologici. A queste, si aggiungono una diminuzione dell’engagement e della performance e un aumento del turnover. Gli effetti? Problemi che coinvolgono ogni livello organizzativo, danneggiando la crescita e lo sviluppo delle aziende”.
E’ quanto afferma Biancamaria Cavallini, psicologa del lavoro, Consigliera d’Amministrazione e Direttrice Operativa di Mindwork (società che si occupa di benessere psicologico per le aziende), autrice di un libro, pubblicato di recente da FrancoAngeli e intitolato Ritorno al benessere.
Ne abbiamo parlato.
Se è un ritorno significa che un tempo si lavorava in condizioni migliori.
Da un certo punto di vista, il leitmotiv si stava meglio quando si stava peggio vale anche per il benessere in azienda. A ben pensarci, in passato era prassi vivere il luogo di lavoro come una comunità, in cui il supporto reciproco era spontaneo. Certo, non c’era la stessa attenzione alla tutela della salute e della sicurezza di oggi, ma senz’altro c’era un noi molto forte, che permetteva di mitigare malessere e stress. Oggi, in una società in cui è l’ io a dominare, non è un caso che nelle aziende sia necessario codificare e proceduralizzare le iniziative in ottica di benessere.
Cioè?
È come se ci fosse necessità di strutturare – a volte meccanicamente – ciò che ieri era spontaneo.
In genere, cosa provoca stress, burnout, ansia, depressione in una azienda?
Stress, burnout, ansia e depressione sono vissuti molto diversi tra loro. Ognuno ha le sue cause e la sua sintomatologia. Spesso si pensa che il malessere provenga tutto dalle stesse fonti, ma non è così. Scrivendo Ritorno al benessere ho formalizzato una distinzione che secondo me è funzionale in quanto immediata: ansia, stress e burnout rappresentano, rispettivamente, futuro, presente e passato.
In che senso?
Parto dal binomio più semplice, ossia quello tra futuro e ansia, dal momento che quest’ultima è anche definita paura anticipatoria. Del futuro, dunque. Il legame tra stress e presente è meno immediato. I vissuti stressanti si originano quando le richieste superano le risorse a disposizione. Il fatto, è che il carico lo si avverte in quello che è il proprio presente. Il peso – e costo – psicologico dello stress è sempre circostanziale. Non è proiettato al futuro o retroattivo. Il burnout, infine, è rappresentato dal passato poiché possiamo considerarlo uno stress diventato cronico, dal momento che non è stato precedentemente gestito. Discorso a parte va fatto per la depressione. Sebbene alcune teorie (Schonfeld, Bianchi & Palazzi, 2018) ipotizzino che il burnout rifletta un processo depressivo in risposta a uno stress irrisolvibile.
Chi è più a rischio in azienda?
Il benessere va sempre letto in chiave bio-psico-sociale. Pertanto il contesto e i fattori esterni giocano un ruolo essenziale. Ecco perché è così necessario lavorare sulla cultura organizzativa e sugli aspetti legati all’organizzazione del lavoro. Rispetto al legame tra età e genere, da una parte, e burnout dall’altra, va senz’altro ricordato che le donne lavoratrici sono più esposte, soprattutto se hanno una famiglia. Cresce infatti la difficoltà di conciliare i ruoli di vita e mantenere un equilibrio tra responsabilità professionali e familiari, gravando sullo stress percepito. Più avanti si va con l’età, più è probabile che al carico si aggiunga anche il ruolo di caregiver. Perché occuparsene? Ricordo sempre che investire in benessere significa investire anche in performance. Il contrario, invece, non è possibile. Investire sulla performance non porta benefici anche al benessere. Anzi. E anche la letteratura è ormai concorde nel correlare benessere e risultati (Kuang at al., 2023).
Che differenza c’è tra benessere psicologico e salute mentale?
La salute mentale si riferisce maggiormente alla sfera medica e dunque alla patologia. Benessere psicologico è un termine più ampio e più vicino alla Psicologia, che non pone necessariamente l’accento sul malessere, anzi. Anche se ovviamente va considerato che il malessere è parte integrante del più ampio concetto di benessere. Quest’ultimo non può infatti esistere senza il primo, dal momento che il nostro stare bene dipende anche dalla nostra capacità di fronteggiare sfide e problemi. Pensare che per raggiungere il benessere sia necessario eliminare il malessere, fa male tanto alle persone quanto alle aziende. Il dolore e la sofferenza esistono. E va bene così. Dobbiamo però essere in grado di poterli fronteggiare. Questo è il vero benessere.
Perché tra le piccole aziende il tema salute dei dipendenti non entra nella testa degli imprenditori?
Si fatica ancora a capire che benessere e performance sono due facce della stessa medaglia e che quando le persone stanno bene lavorano bene. La resistenza è legata all’incapacità costi che si fatica a vedere come investimento. Manca senz’altro consapevolezza. Ed è inevitabilmente una questione anche generazionale. Le PMI italiane sono generalmente guidate da persone appartenenti a generazioni per le quali andare dallo psicologo era – e in alcuni casi ancora è – fonte di stigma.
Cinzia Ficco