E’ quanto si legge nel Position Paper realizzato da 54 aziende italiane
Le aziende puntano su formazione, partnership e coinvolgimento degli stakeholder
Il Position Paper sulla Governance Trasformativa realizzato da 54 aziende italiane è stato presentato all’High-Level Political Forum di New York
Sostenibilità e strategie innovative sono le scelte adottate dalle imprese.
È quanto emerge in occasione dell’High-Level Political Forum di New York, l’UN Global Compact Network Italia (UNGCN Italia) dove è stato presentato il suo Position Paper sul tema della Governance Trasformativa. Il documento, realizzato con il supporto allargato di 54 aziende aderenti a UNGCN Italia, evidenzia le strategie innovative implementate dalle imprese per integrare la sostenibilità nelle proprie operation. C’è una visione economica del futuro nella quale le imprese decidono di scommettere guardando sempre più alla sostenibilità come a una priorità esclusiva da raggiungere.
Conviene ricordare che le aziende italiane riconoscono il ruolo cruciale al livello di competitività e di guida verso un cambiamento sociale, economico e ambientale, in linea con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Il Position Paper, intitolato “La Governance Trasformativa come driver di condotta responsabile per un business più etico, prospero e sostenibile”, delinea diverse strategie chiave adottate da queste aziende. Il documento è stato lanciato di recente nel corso di un evento promosso in collaborazione con la Rappresentanza Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite, sottolineando l’impegno dell’Italia nel promuovere pratiche aziendali sostenibili sulla scena globale. Il Position Paper è stato presentato al pubblico da Marco Frey (in foto) e Daniela Bernacchi, rispettivamente Presidente e Executive Director dell’UN Global Compact Network Italia.
Position Paper
Presenta 20 case history che dimostrano il forte potenziale trasformativo di una governance sostenibile. Tra le azioni più innovative messe in campo dalle imprese italiane, sono da evidenziare la creazione di Comitati interni ed esterni per supportare il Consiglio di amministrazione nell’elaborazione di strategie di sostenibilità, in particolare nelle azioni per il clima; l’implementazione di programmi di formazione rivolti a dipendenti, fornitori e generazioni future, anche attraverso la collaborazione con le scuole; il coinvolgimento degli stakeholder con la creazione di meccanismi di ascolto, consultazione e attivazione anche al livello locale; l’avvio di progetti di partnership con il Terzo Settore, orientati a favorire l’azione di contrasto al cambiamento climatico, l’ampliamento dell’accessibilità e qualità dei servizi primari per la popolazione e la costruzione della cultura dello sviluppo sostenibile dentro e fuori le organizzazioni.
Il Position Paper è stato realizzato da un gruppo di lavoro composto da 54 aziende aderenti a UN Global Compact, di seguito citate in ordine alfabetico: A2A; ACEA; Aeroporti di Roma; Andriani; Automobili Lamborghini; Benetton; CAP Holding; Carbonsink; Cassa Depositi e Prestiti; Edison; Enav; Enel; Eni; Erg; Esselunga; Feralpi Siderurgica; Ferrovie dello Stato Italiane, Ferrari; Fincantieri; FNM Group; Gruppo De Cecco; Gruppo Hera; Gruppo Sofidel; Gruppo Unipol; ICAM Cioccolato; illycaffè; INWIT; Iren; Italmobiliare; Italyum; Legance – Avvocati Associati; Leonardo; Leroy Merlin Italia; Lundbeck Italia; Maire; Marcegaglia Steel; Mindoor (Boyden Italy); Moncler; Nestlé Italy; Pirelli & C; Poste Italiane; Prada; Prometeon Tyre; Prysmian, RCS Mediagroup; RINA; Saipem; Save The Duck; SEA – Società Esercizi Aeroportuali; SNAM; Terna; Tod’s; TPER; Volvo Trucks Italia.
Con Marco Frey, Presidente di UNGCN Italia, scendiamo nel dettaglio per conoscere le diverse sfaccettature economiche.
Perché le aziende investono nella sostenibilità?
«A dieci anni circa dal 2015, anno in cui le Nazioni Unite hanno lanciato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile – declinandola in un percorso di lungo termine, articolato a sua volta in 17 obiettivi globali – possiamo riconoscere l’esistenza di molteplici driver a supporto di un riorientamento del business in una prospettiva strategica fondata sulla sostenibilità e l’equità. Anzitutto, il ruolo dei consumatori sempre più sensibili e informati rispetto ai temi della sostenibilità (ambiente, diritti umani, dimensione sociale, impatto sulla comunità, ecc.) e – quindi – molto più attenti che in passato a valutare il profilo etico degli acquisti, di cui approfondiscono anche provenienza e governo della filiera di produzione. Questa consapevolezza crescente e diffusa esercita una pressione diretta sui produttori di beni finiti e destinati al consumo, ma anche indiretta – seguendo un effetto che può definirsi a cascata – sui produttori di beni intermedi, ossia le aziende che offrono prodotti o servizi ad altre aziende e che si collocano all’interno delle catene di fornitura. Non solo i consumatori, ma anche gli investitori e gli enti di credito rispondono sempre di più a criteri ESG per l’erogazione di finanziamenti al settore privato. Basta ricordare come nel suo piano strategico 2023-2025, Banca d’Italia abbia espresso l’intenzione di integrare la tradizionale analisi dei rischi economico-finanziari con quella dei rischi che scaturiscono da fattori ambientali, sociali e di governance; e – quindi – di sostenere la “transizione ordinata verso un’economia a basse emissioni”, privilegiando nella selezione dei titoli le imprese con performance climatiche migliori e che sono orientate alla riduzione delle proprie emissioni (best in class). Come risultato, l’intensità di CO2 media ponderata delle azioni e obbligazioni del portafoglio finanziario in euro di Banca d’Italia è diminuita rispettivamente del 4 e dell’11% tra il 2022 e il 2023. (Fonte: RISC-2024.pdf (bancaditalia.it).) Dallo stesso Rapporto emerge come il valore nominale delle obbligazioni green, social e sustainable in circolazione nel nostro Paese alla fine del 2023 era di circa 90 miliardi di euro, prevalentemente rappresentato da obbligazioni verdi (86 per cento del totale), seguite dai titoli sociali (10 per cento) e sostenibili (4 per cento). La spinta propulsiva non riguarda però solo gli aspetti ambientali: anche il profilo di sostenibilità sociale delle aziende deve essere attenzionato e sviluppato. La transizione giusta verso un mondo prospero, equo e inclusivo, non può prescindere da una ricollocazione delle persone al centro, facendo ogni sforzo – al livello sia pubblico che privato – per garantire la partecipazione di tutti e tutte alla sfera economica e produttiva del Paese, l’assenza di qualsiasi forma di discriminazione sul lavoro, la valorizzazione delle diversità ed unicità dei singoli individui, per diffondere una reale condizione di benessere dei lavoratori e delle lavoratrici all’interno delle organizzazioni. La sostenibilità sociale dell’impresa si può estendere anche alla sua dimensione esterna, e declinarsi nell’attivazione di reti e partnership per il benessere della comunità di riferimento insieme ad attori non profit, pubblici o privati. Due temi sono particolarmente rilevanti: l’accesso completo ai servizi e beni, soprattutto quelli essenziali e di prima necessità, prestando particolare attenzione alle categorie fragili della popolazione. Poi, la valutazione e il monitoraggio dell’impatto che le operation aziendali generano sulla comunità esterna, e quindi l’apertura di canali di dialogo e confronto con essa al fine di favorire rapporti fondati su sinergie positive e sull’accettabilità. La dimensione ambientale e quella sociale della sostenibilità risultano essere fortemente interconnesse e, quindi, è impensabile ipotizzare l’affermazione di un nuovo modus pensandi e operandi a supporto di una, senza considerare la stessa attenzione per l’altra. Un ulteriore driver che va menzionato è sicuramente quello dell’evoluzione della normativa in materia. Sul piano europeo, la CSDDD, direttiva sulla due diligence approvata lo scorso aprile, obbligherà dal 2026 le aziende con più di 1.000 dipendenti a prevenire e limitare gli impatti negativi sui diritti umani e l’ambiente derivanti dalle proprie operation e da quelle dei fornitori, interessandoquindi indirettamente anche le PMI poste lungo le filiere, in termini di rispetto dei criteri disostenibilità e rendicontazione. Nella stessa direzione va la CSRD, direttiva sul sustainability reporting, che estende l’obbligo in tal senso, oltre che a tutte le grandi imprese e ai gruppi (in questo caso la soglia è 500 addetti), anche alle PMI quotate a partire dal 2027. Infine,l’approccio sostenibile fa bene al business, non solo al livello reputazionale, ma anche dimitigazione dei rischi, di incremento del benessere e quindi della produttività delle persone inazienda, di stabilità delle catene di fornitura, ecc. Il tutto, ovviamente, si traduce in un vantaggioeconomico nel lungo periodo e nella creazione di shared value per la collettività».
Che modello di impresa sta avanzando nel XXI secolo?
«Come UNGCN Italia ci confrontiamo costantemente con aziende guidate da una leadership sempre più sensibile, consapevole e impegnata sui temi della sostenibilità. Lavorando sulle tre dimensioni della sostenibilità ambientale, sociale ed economica, e tenendo sempre come riferimento il principio DNSH (Do No Significant Harm) nei propri impatti sulle comunità, promuoviamo quotidianamente un coinvolgimento sempre più attivo sui temi dello sviluppo sostenibile da parte dei massimi vertici aziendali. Senza questa attivazione è difficile – se non impossibile – immaginare un avanzamento ambizioso ed efficace lungo il percorso tracciato dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Per questo, ad esempio, il “Manifesto delle Imprese per le Persone e la Società”, iniziativa lanciata dallo UNGCN Italia poco più di un anno fa, è una call to action rivolta direttamente a CEO e Presidenti di aziende italiane di qualsiasi settore produttivo e dimensione, aderenti o esterne al Global Compact delle Nazioni Unite. A questa chiamata per un impegno più audace ed esteso sulla dimensione sociale della sostenibilità, hanno già risposto oltre 150 leader d’impresa. L’attivazione della leadership non significa che la sostenibilità d’impresa sia un tema da affrontare top-down da parte di poche figure chiave, anzi. Essa si caratterizza sempre di più come un riorientamento e una trasformazione di tipo culturale che permea qualsiasi livello e funzione all’interno delle organizzazioni, arrivando ad interessare e influenzare anche gli stakeholder esterni, come i fornitori e le comunità locali. I ruoli manageriali hanno sicuramente la responsabilità di operare come nuclei propulsivi di questo cambiamento ma l’effetto atteso è “a cascata” e si auspica che il percorso di avanzamento verso un modello di business sempre più sostenibile sia portato avanti dalle imprese secondo una modalità “inclusiva e partecipata”, ossia con il contributo attivo di tutta l’organizzazione, per favorire appunto un vero cambiamento culturale. Oltre l’elemento cruciale del coinvolgimento dei vertici aziendali, merita di essere menzionato anche quello dell’interconnessione con altri attori economici e sociali, che apre a sinergie, collaborazioni e partenariati fra aziende sostenibili, o fra queste e il settore non profit. L’azienda del XXI secolo è impegnata ai vertici per lo sviluppo sostenibile e agisce sempre meno come attore isolato, anche nell’ottica di avanzamento dei 17 SDGs. Le aziende sostenibili oggigiorno agiscono come elementi di una rete, mettendo a disposizione e in condivisione know-how, risorse finanziarie, tecnologiche e infrastrutturali per sostenere l’approccio ambizioso e innovativo alla “giusta transizione” verso un modo prospero, equo, inclusivo ed in armonia con la Natura; arricchendosi, a loro volta, dell’esperienza sul campo, e quindi della posizione di prossimità, che le organizzazioni stakeholder garantiscono rispetto a diversi ambiti dello sviluppo sostenibile (sia in ambito sociale sia ambientale)».
Cosa significa “Governance Trasformativa”?
«Nel contesto attuale in cui Governi, imprese e individui si trovano a vivere e operare, caratterizzato da crisi climatica, incertezza economica, instabilità geopolitica e crescenti disuguaglianze sociali, è più che mai urgente e necessario mobilitare la comunità internazionale verso obiettivi comuni di prosperità, inclusione e sostenibilità. In questo scenario, come confermano anche i dati dell’Edelman Trust Barometer 2023, il settore privato riveste un ruolo cruciale, in qualità di attore competente in grado di rispondere alle sfide globali, migliorando il benessere dei lavoratori, promuovendo un modo di fare business più responsabile, inclusivo, prospero e sostenibile; rafforzando un clima di fiducia con le istituzioni pubbliche e la società civile, e comunicando al mercato in modo trasparente le informazioni relative agli impatti ESG delle proprie attività, impegnandosi così anche nel contrasto al cambiamento climatico. È quindi partendo dalla necessità di un impegno sempre crescente in questa direzione, che l’UN Global Compact ha proposto una nuova visione (e ambizione) del concetto di corporate governance: la cosiddetta Governance Trasformativa. Secondo questo approccio, infatti, la sostenibilità agisce da fattore di accelerazione sia al livello interno all’azienda – orientando il purpose in ottica di pianificazione strategica e allineamento dei processi – sia al livello esterno, coinvolgendo gli stakeholder classici (fornitori, clienti/ consumatori, settore finanziario) e allargando lo spettro anche agli attori dell’ecosistema nel quale l’azienda opera (istituzioni, terzo settore). Il concetto di Governance Trasformativa – approfondito proprio nell’ultimo Position Paper redatto da UNGCN Italia e presentato durante l’High-Level Political Forum 2024 di New York – può assumere diverse forme e concretizzarsi in varie tipologie di attività: al livello di pianificazione strategica (obiettivi) e risk assessment; in termini di formazione ed engagement dei dipendenti per creare una consapevolezza diffusa; o, come ulteriore esempio, nell’adozione di processi aziendali di due diligence che si basano su considerazioni di tipo ambientale e sociale. Guardando alla dimensione esterna, l’approccio di Governance Trasformativa punta non solo a sensibilizzare stakeholder tradizionali, quali fornitori, Istituzioni e comunità, ma anche a dar vita a partnership strutturate con il terzo settore per aumentare l’impatto sul territorio e ad alleanze strategiche con associazioni di categoria con cui condividere le best practices».
Il cambiamento climatico come viene vissuto dalle aziende?
«Il cambiamento climatico sta plasmando una nuova realtà e rappresenta un rischio ma anche un’opportunità per le aziende, chiamate a sviluppare strategie di transizione praticabili verso modelli economici più sostenibili che limitino il riscaldamento globale a 1,5°C, rispetto all’era preindustriale, in linea con l’Accordo di Parigi e gli obiettivi di neutralità climatica dell’UE. Da un sondaggio condotto nell’aprile 2024 dalla Climate Governance Initative, su un campione di 400 amministratori delegati in 20 paesi, è emerso che il 93% degli intervistati si sente nella posizione di poter influenzare la direzione della propria organizzazione quando si parla di clima e che l’84% si ritiene molto coinvolto nell’argomento e motivato ad agire. Nonostante questa prospettiva positiva, però, i progressi concreti sono ancora in ritardo rispetto all’azione. Al livello globale, infatti, solo il 40% dei Consigli di amministrazione sta attualmente mettendo in campo una qualche forma di reporting correlato al clima. Al livello nazionale, la situazione è più o meno simile. La ricerca “L’impegno delle aziende italiane per il net-zero (2023)” realizzata da IPSOS e UNGCN Italia e presentata durante la COP28 di Dubai, conferma questa tendenza. Lo studio evidenzia infatti che l’88% delle imprese italiane riconosce che la sostenibilità dovrebbe orientare tutte le scelte aziendali, eppure, solo una su 5 dichiara di avere adottato un piano per contrastare il cambiamento climatico e appena il 17% ha fissato obiettivi di riduzione delle proprie emissioni di gas climalteranti. Diventa dunque fondamentale lavorare, da un lato, per consolidare e accelerare i progressi delle aziende virtuose e, dall’altro, per coinvolgere le imprese che non hanno ancora affrontato la questione climatica. Il nostro Network, in quest’ottica, dedica già da diversi anni un percorso di accelerazione per le imprese sulla Climate Ambition. Dalla nostra ricerca, emerge che le aziende che fanno parte dell’UN Global Compact rivelano differenze significative rispetto all’universo di riferimento. Se si considerano infatti solo le risposte degli aderenti italiani a UNGC, il 64% di essi ha già definito un programma di contrasto al cambiamento climatico (contro una media nazionale del 22%) e 8 aderenti su 10 calcolano le proprie emissioni (contro una media nazionale di un’impresa su 10). La strada è impegnativa, ma rappresenta non solo un’urgente necessità per il futuro del pianeta, ma anche un’opportunità unica di crescita per le imprese. Piani concreti per la riduzione delle emissioni, implementazione di modelli di business circolari, coinvolgimento e accompagnamento delle catene di fornitura affinché diventino anch’esse protagoniste nel processo di transizione nella prospettiva dello Scope 3: sono queste le principali azioni concrete che il settore privato può mettere in campo per il raggiungimento degli obiettivi net-zero».
Quale futuro si delinea per l’economia italiana?
«Il nostro Paese, dopo uno sviluppo straordinario del dopoguerra, si trova in una situazione critica dal punto di vista della competitività da quasi trent’anni. Eppure, le capacità di resilienza dell’economia italiana sono elevatissime e una parte significativa delle nostre imprese sa esaltarsi nelle difficoltà. La sostenibilità è l’approccio corretto per garantire uno sviluppo più equilibrato rispetto al secolo scorso e la doppia transizione, ecologica e digitale, la strada principale per rilanciare la competitività dell’Europa e dell’Italia. In questa duplice prospettiva, il potenziale ancora da sviluppare resta elevato, ma se guardiamo allo spaccato di aziende italiane che partecipano al Global Compact delle Nazioni Unite, le tendenze sono positive e l’impegno per uno sviluppo sostenibile basato sull’innovazione è sempre più diffuso e maturo. Bisogna anche essere consapevoli che questo sforzo congiunto, pubblico e privato, profit e non-profit, sembra stia ponendo un argine anche alle conseguenze delle molteplici conflittualità che caratterizzano questa epoca storica: le guerre e le crisi umanitarie (povertà ed esodi di massa), le guerre e gli enormi impatti ecologici ed energetici, le emergenze sanitarie (ma la lista sarebbe anche più lunga). In questo scenario di forte instabilità geopolitica ed economica, lo sviluppo sostenibile costituisce un riferimento per un futuro migliore. La base di aderenti business al Network italiano del Global Compact cresce di oltre 100 nuove membership l’anno. Inoltre, è sempre più bilanciata la partecipazione di grandi aziende e PMI, a dimostrazione che la sostenibilità non è solo appannaggio dei big player. Oggi ci confrontiamo con oltre 550 attori business italiani, a cui rivolgiamo i nostri programmi di attività e che coinvolgiamo nell’azione di valorizzazione delle buone pratiche di sostenibilità. Molto spazio è riservato alla promozione di ciò che di buono le nostre imprese fanno, sia nell’ambito di eventi che di programmi, ma anche al livello media. Ogni anno, oltre 2.000 uomini e donne d’azienda prendono parte, ripetutamente e continuativamente, a iniziative e percorsi promossi da UNGCN Italia, portando la loro testimonianza di impegno, in una logica di peer-to-peer learning che faccia crescere la consapevolezza in un’ottica sistemica di miglioramento del contributo delle imprese ad una società migliore. Il Global Compact ONU cresce anche al livello mondiale: le aziende partecipanti nel mondo sono più di 21.000. Lo scopo del nostro Network non è, infatti, solo quello di sostenere e guidare l’impegno per lo sviluppo sostenibile dei suoi aderenti, ma anche di ispirare nuove realtà a fare altrettanto in una prospettiva internazionale. Il perimetro della nostra rete si sposta, quindi, anno dopo anno per accogliere nuovi volti, nuove sensibilità e professionalità. Lo scambio quotidiano si fa sempre più vivace e si arricchisce di nuove storie, rendendo il nostro spazio interno sempre più fertile e favorevole alla nascita di sinergie, azioni collettive e partnership fra imprese, per costruire insieme il mondo che vogliamo».
Analisi del settore
«Le cinque aziende italiane classificate tra le 100 più sostenibili al mondo nella classifica Global 100 di Corporate Knights sono ERG SpA (28° posto); Intesa Sanpaolo SpA (57° posto); Pirelli & C. SpA (61° posto); UniCredit SpA (88° posto); Assicurazioni Generali SpA (91° posto). La classifica Global 100 di Corporate Knights – si legge nel Documento – valuta le prestazioni di sostenibilità di oltre 6.700 aziende quotate in borsa con un fatturato superiore a 1 miliardo di dollari, sulla base di 25 indicatori di performance relativi a temi come sostenibilità ambientale, attenzione alle risorse umane, uguaglianza di uguaglianza genere e investimenti ESG. Nell’edizione 2024 del Global 100, le aziende ai primi posti hanno destinato il 55% dei loro investimenti a progetti sostenibili, rispetto al 47% dell’anno precedente, a fronte di una media del 17% per l’intero universo delle società quotate».
Normativa legislativa UE
È stata approvata definitivamente il 5 luglio 2024 la Direttiva CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), anche conosciuta come Supply Chain Act, con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Questa Direttiva impone un cambiamento sostanziale delle imprese dell’UE poiché prevede nuovi standard di responsabilità e sostenibilità, con significative implicazioni sia per le grandi multinazionali sia per le piccole e medie imprese (PMI). La Direttiva CSDDD si configura come un ulteriore passo verso il rafforzamento delle norme di rendicontazione di sostenibilità con riferimento ai criteri ESG. La Direttiva CSDDD diventerà legge dal 26 luglio 2024.
Francesco Fravolini