Stefano Pellandini, ceo di Gea, società di consulenza, al fianco delle aziende dal 1965
Qual è lo stato di salute delle pmi italiane dopo il Covid e nonostante le due guerre in corso? Stanno reagendo bene agli shock? Cosa permette loro di resistere? Hanno gli strumenti per fronteggiare le sfide future?
L’abbiamo chiesto a Stefano Pellandini, Ceo di Gea, gea.it (consulenti di direzione al fianco delle pmi dal 1965,), che risponde: “In un quadro macro-economico sempre più complesso e incerto le nostre piccole e medie imprese si stanno dimostrando resilienti e in grado di adeguarsi con una certa agilità al mutato contesto competitivo. In questi anni, abbiamo riscontrato particolare solidità in alcuni settori tradizionali del Made in Italy quali: alimentare, industria dei macchinari, fashion, arredamento e design, e beni durevoli”.
Merito di cosa?
Possiamo citare diversi fattori abilitanti e sottostanti alle aziende che hanno saputo proseguire il loro percorso di crescita profittevole, come: una organizzazione snella che permette alle nostre pmi un veloce processo decisionale, innovazione continua misurabile negli investimenti in tecnologie e nuovi prodotti, eccellenza nel design/prodotto, propensione allo sviluppo internazionale e diversificazione in mercati e segmenti, una governance aperta che vede contributi di figure esterne e di diversi orizzonti come stimolo continuo, la capacità di fare squadra tramite consorzi e associazioni che tutelano gli interessi comuni.
Ma qual è oggi la difficoltà più grande per le pmi italiane, la mancanza di risorse economiche o il vuoto di skills interne per affrontare la transizione green o quella digitale?
Le pmi italiane hanno una situazione finanziaria più solida che in passato, anche grazie al crescente accantonamento degli utili di esercizio che ha consentito di ridurre la leva finanziaria. La piccola dimensione naturalmente limita i piani di investimento più ambiziosi, ma questo è un limite storico che gradualmente le pmi italiane riusciranno a superare con la crescita dimensionale. Le competenze manageriali sono certamente un limite, in particolare con riferimento a: capacità di presidiare allo stesso tempo sia il continuo miglioramento operativo, che il consolidamento e rafforzamento delle posizioni acquisite e della capacità di estendere e trasformare, guardando ad orizzonti di medio lungo termine; processi di innovazione e trasformazione digitale. Proprio riflettendo su questi temi è nata la practice GEA Digital, che ha l’obiettivo di accompagnare le aziende italiane nel percorso di transizione digitale.
Quali sono ancora oggi i preconcetti più resistenti nella testa degli imprenditori italiani? Si crede ancora che “piccolo sia sempre bello”?
L’industria italiana è ancora molto frammentata. Si pensi, ad esempio, all’alimentare, in cui circa 3000 aziende hanno un fatturato sopra i 5 milioni, ma solo 18 superano il miliardo di vendite annue. Alcune nostre ricerche mostrano che l’internazionalizzazione, ossia il competere sul mercato globale risulta proprio essere uno dei tratti in comune delle pmi di successo. Insomma, è ancora possibile per le pmi italiane confrontarsi con i grandi player internazionali, a patto di avere un posizionamento strategico chiaro e di puntare ai mercati internazionali.
Su quale modello di business sono concentrate le pmi italiane e su quali mercati?
Le pmi italiane tendono a specializzarsi sulle lavorazioni ad alto valore aggiunto e a offrire al cliente soluzioni con un alto grado di personalizzazione. In generale, i prodotti italiani sono ancora sinonimo di qualità e i mercati esteri sono strategici per gran parte delle pmi di successo. I mercati di riferimento risentono delle tensioni geopolitiche, ad esempio, dal 2022 molte pmi, costrette ad abbandonare il mercato russo, si sono riposizionate su altri mercati esteri con potenziale. Per alcuni settori come il food e il fashion, gli Stati Uniti rimangono uno dei mercati più importanti e profittevoli a cui guardare, insieme al Medio Oriente.
Quanto è competitivo il nostro tessuto produttivo e qual è il terreno su cui le pmi possono battere la concorrenza?
In passato GEA ha svolto degli studi sulla competitività del nostro tessuto produttivo, in cui, come è noto, le pmi hanno una incidenza sul valore aggiunto ben superiore alla media europea. I risultati hanno mostrato che la produttività delle aziende italiane è comparabile, se non addirittura più alta, rispetto ad aziende di pari dimensioni di altri Paesi europei come la Germania o la Francia. Quindi il problema del nostro tessuto produttivo non è tanto la competitività, ma la crescita dimensionale. Le pmi si adattano meglio e rispondono più velocemente alle dinamiche di mercato e ai mutamenti dello scenario competitivo, ma hanno limiti di efficienza e capacità di investimento derivanti dalla scala. In un periodo storico di grande volatilità, incertezza e disruption possono performare meglio della concorrenza e guadagnare quote di mercato, ma devono comunque puntare alla crescita.
Su cosa dovrebbe concentrarsi oggi Confindustria?
Confindustria potrebbe agevolare un confronto più incisivo con l’Unione Europea a supporto della manifattura italiana e delle sue filiere più strategiche. Il centro studi di Confindustria è un riferimento importante, si potrebbero raccogliere dati e analizzare meglio alcune tematiche verticali di settore o legate ai recenti trend tecnologici (intelligenza artificiale, realtà aumentata ecc.), per poi trasferire la conoscenza agli associati.
Quale Europa aspettarsi per veder volare le pmi italiane?
L’Europa necessita oggi di una politica industriale comune, per competere sul panorama globale con i grandi colossi di Stati Uniti e Cina. Alcuni target e obiettivi andranno ricalibrati in modo più realistico, penso, ad esempio, al Green Deal che rischia di penalizzare interi settori storici dell’industria italiana ed europea. Le nostre pmi, inoltre, potrebbero beneficiare di politiche europee più attente alla contraffazione e alla proprietà intellettuale: il made in Italy è tra più imitati al mondo, nei diversi settori in cui eccelle.