21/08/2025
Focus

Torino, Assiom Forex “L’Italia e l’Europa avrebbero bisogno di maggiore cultura dell’Equity”

Lettera di Massimo Mocio, presidente della più grande associazione di persone nel mondo finanziario


Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera di Massimo Mocio, presidente di ASSIOM FOREX al 31° Congresso annuale, iniziato ieri a Torino  con il supporto di Intesa Sanpaolo, in corso, alla presenza del governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta e dei ceo dei principali gruppi bancari italiani.

Questo Congresso rappresenta da sempre un’importante occasione di confronto con le Istituzioni, le banche e gli operatori di mercato e ci offre l’opportunità di discutere delle tematiche più rilevanti per affrontare al meglio questo nuovo anno, che si prospetta complesso, pieno di rischi ma anche di opportunità.

Il consensus di mercato prevede, per il 2025, una crescita economica più moderata in Europa rispetto agli Stati Uniti, ed un’inflazione in diminuzione a livello globale.

Al contempo, i timori che il commercio mondiale venga sempre più utilizzato “a fini strategici” alimenta un forte clima di incertezza, rendendo particolarmente ardua ogni previsione.

In un sistema “multipolare e frammentato”, le decisioni del Presidente Trump potrebbero obbligarci a riconsiderare le attuali prospettive – al ribasso per la crescita e al rialzo per l’inflazione – e, di conseguenza, le implicazioni per la politica monetaria.

Una risposta asincrona è prevedibile:

Le condizioni dell’economia americana non sembrano richiedere – al momento – una riduzione dei costi di finanziamento.

Al contrario, sarebbe auspicabile da parte della Banca Centrale Europea un’accelerazione nel taglio dei tassi, data l’importanza di ridurre al più presto l’onerosità dei costi di finanziamento per famiglie e imprese, al fine di stimolare la ripresa della domanda.

Infatti, sebbene la probabilità di uno scenario “stagflattivo” in Europa, rimanga molto bassa, il suo eventuale verificarsi comporterebbe inevitabilmente perdite rilevanti nei portafogli degli investitori, sia nel comparto obbligazionario che in quello azionario, vanificando i benefici della diversificazione, come già accaduto nel 2022.

Ricordiamo che i mercati, soprattutto quelli azionari, vengono da 2 anni eccellenti: per l’indice S&P500 sono stati i migliori due anni consecutivi del Nuovo Millennio!

Anche gli indici europei hanno performato molto bene: in particolare l’indice delle Banche europee ha ritrovato valori che non si vedevano dagli anni precedenti la “Crisi dei debiti sovrani” del 2011/2012.

Persiste, purtroppo, un divario molto importante in termini di crescita e di competitività tra Europa ed America; un divario che ha spinto tanti Economisti e commentatori a parlare di “US Exceptionalism” e di “European Pessimism”.

Tale “divaricazione delle prospettive” da un lato è alimentata dalla straordinaria capacità americana di mobilitare risorse per gli investimenti, soprattutto nel settore tecnologico, dall’altro dal dinamismo del mercato dei capitali americani, che favorisce l’innovazione e stimola la creatività.

Due caratteristiche che sembrano mancare all’Europa e sulle quali ritorneremo brevemente più avanti.

Se guardiamo ai trend di lungo periodo la superiorità americana nasce, in primis, dalla capacità di superare crisi epocali, con pragmaticità ed efficienza.

Permettetemi di fare un po’ di storia, visto che tanti di noi l’hanno vissuta in prima linea: la Grande crisi finanziaria” del 2007/2008 è una “classica crisi del credito” che determina profonde perdite nei bilanci di banche, imprese e Stati.

Evidentemente la Grande Depressione del ’29, ha insegnato agli Stati Uniti che il modo migliore per risolvere questo tipo di crisi è un approccio deciso: fare quello che noi chiameremmo il “mark to market” delle perdite e riconoscere che il sistema delle banche e delle grandi aziende ha due esigenze:

1)  ripulire i bilanci dalle perdite

2)  aumentare la dotazione di capitale;

si è subito riconosciuto, in particolare che il sistema bancario aveva bisogno di più “equity”, più capitale di rischio, per far fronte a future crisi.

E quindi in pochi mesi, è stato creato il TARP che ha assorbito circa 450 miliardi di crediti tossici, le banche sistemiche sono state salvate e ricapitalizzate.

In Europa niente di tutto questo è successo; in mancanza di un approccio comune si è lasciato che all’inizio gli Stati risolvessero in autonomia la crisi. Nessuno lo ricorda più, ma lo Stato tedesco ha speso più di 200 miliardi di euro per salvare le proprie banche.

Si sono create le condizioni per quella che gli economisti chiamano:  “balance sheet recession”, una recessione indotta dal tentativo di riparare gradualmente i danni fatti dalla crisi sui bilanci degli Stati, delle Banche e delle imprese.

Le risorse primarie, e soprattutto il risparmio, son stati spesi per ripagare, col tempo, i debiti accumulati.

E quindi per 15 anni l’Europa è entrata in uno scenario giapponese: deflazione, tassi zero o negativi, necessità di continui interventi statali per risolvere crisi ricorrenti.

Si è creato il cosiddetto “doom loop”, un circolo vizioso distruttivo, tra Banche e Stati, altamente indebitati.

È bene ricordare qualche numero: nel 2008 i PIL di America e d’Europa erano sostanzialmente equivalenti. Oggi l’economia americana è più grande di quella europea di 7 trilioni di dollari.

E venendo al presente: la crescita americana è, da poco, stata rivista al rialzo dal Fondo Monetario Internazionale al 2,7% per quest’anno, quella europea è ancora prevista inferiore all’1%.

La conseguenza di tutto questo è evidente: nel vecchio continente prevale una sorta di pessimismo “cosmico” economico.

Inoltre, è cresciuta la consapevolezza che, senza interventi adeguati, questo divario è destinato a crescere ulteriormente.

E soprattutto il risparmio dei cittadini europei migra e migrerà alla ricerca dei migliori rischi/rendimenti, andando a finanziare la crescita delle borse e del debito pubblico americano.

È questo, ora, il vero “Doom loop”, la spirale del pessimismo dell’Europa.

Questo a maggior ragione perché i mercati Europei dei capitali non sono integrati, e spesso non sono abbastanza profondi e liquidi.

Negli ultimi 25 anni, il valore della capitalizzazione delle borse mondiali è quadruplicato, raggiungendo gli 80 trilioni di dollari. Ebbene le borse americane rappresentano oggi i due terzi del totale. Le borse europee un misero 15%.

Nel vecchio continente, osserviamo una tendenza lenta, ma inesorabile: acquisizioni e fusioni di aziende quotate e un continuo susseguirsi di delisting, sono di gran lunga superiori ai nuovi collocamenti.

Nel periodo 2015-2022, vi sono state più di 1.000 società cancellate dai principali listini europei.

……………….

E fin qui direi che ci sono poche ragioni di ottimismo… ma è nelle fasi più critiche che l’Europa è in grado di rispondere, con slanci imprevisti e manovre comuni, di grande impatto ed efficacia.

Pensiamo a quanto avvenuto dopo la Pandemia, con i programmi di acquisto della Banca Centrale di titoli pubblici del “PEPP” (Pandemic Emergency Purchase Program) e con le misure del “SURE” (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency) e “Next Generation Eu”.

Occorre partire o ripartire dagli asset principali dell’Unione: un mercato di 400 milioni di consumatori, una manifattura che ha ancora in alcuni settori una supremazia tecnologica, e, soprattutto, mobilitare le imponenti risorse di risparmio – 33 trilioni di risparmi, come ricordava prima il Presidente del Cda di Intesa San Paolo, Gros Pietro  – che altrimenti andranno a finanziare altri mercati, altri rischi.

Quello che vale per l’Europa vale a maggior ragione per l’Italia, Paese nel quale il risparmio privato rappresenta forse l’asset più importante che abbiamo, e dove 1,8 trilioni di euro sono ancora parcheggiati nei depositi bancari.

Il requisito di tutto ciò è creare le condizioni per un vero mercato unico europeo dei capitali, preferibilmente accompagnato da una vera libertà di azione delle banche europee.

Sul tema della Banking Union ci siamo più volte soffermati, e non è questa la sede per fare approfondimenti: da market practitioner, diciamo solo che siamo ancora molto lontani.

Penso invece che, sul tema della Capital Market Union, passi avanti pragmatici si possano fare, in breve tempo.

Lo ha espresso bene lo stesso Governatore Fabio Panetta, in vari interventi.

Di cosa ha bisogno il mercato dei capitali europeo?

–       In primo luogo, di un “asset comune privo di rischio”;

–       e poi, di un “single rule book”, cioè di un contesto normativo più uniforme per i mercati degli stati membri.

–       Ed Infine, di risolvere la frammentazione estrema dei mercati, che fa sì che in Europa ci siano 14 controparti centrali e 32 clearing houses (mentre negli Stati Uniti ci sono due società di compensazione di titoli e un solo sistema di clearing).

A mio parere, aggiungo, che l’Italia e l’Europa avrebbero anche bisogno di più “Equity” o, meglio, di più “cultura dell’Equity”.

Che ci piaccia o no siamo un’”economia del debito”.

Ecco perché abbiamo impiegato 15 anni per uscire dalla grande crisi finanziaria.

Manca una cultura che ponga il capitale di rischio al centro di ogni progetto di sviluppo, di ogni azienda di successo, di ogni iniziativa infrastrutturale.

È questa “cultura dell’Equity”, del capitale di rischio che ha fatto sì che negli Stati Uniti tutte le “Magnifiche 7”, le società leader dei settori tecnologici – che oggi pesano per un terzo della capitalizzazione USA – siano state finanziate, fin dalla loro nascita, da capitali privati.

……………….

Ma torniamo alle precondizioni per un mercato unico dei capitali in Europa.

Elementi di ottimismo ci sono.

Il primo: l’Europa ha già posto le basi per un titolo di debito comune privo di rischio.

Parliamo, per la precisione, dei bond dell’Unione Europea emessi per finanziare i programmi SURE e Next Generation EU (NGEU) per circa 1 trilione di euro, dotati di una buona infrastruttura di mercato secondario, che garantisce agli investitori liquidità e spessore.

Sono a tutti gli effetti titoli dell’Unione, garantiti dal bilancio europeo, con la partecipazione solidale di tutti gli Stati membri.

Questo li rende, in prospettiva, potenzialmente equiparabili ai titoli di debito pubblico americano.

Che cosa li penalizza?

1)  Il programma termina nel 2026;  

2)  il mercato non gli attribuisce ancora un merito di credito adeguato al loro rating, sebbene tali titoli soddisfino la maggior parte dei criteri per essere considerati un’attività sicura.

Questi titoli vengono scambiati a sconto rispetto al Bund, ma quest’ultimo non può essere considerato un titolo privo di rischio. Il mercato se ne è reso conto nell’ultimo anno.

Infatti, il movimento del Bund verso il tasso swap – che è definitivamente il vero tasso privo di rischio – testimonia un peggioramento importante del merito creditizio della Germania.

Anche il movimento positivo del differenziale tra titoli italiani e tedeschi – che pensiamo possa continuare – è dovuto, in primis, ad un peggioramento relativo del rischio di credito tedesco. Analogo discorso vale per l’altro grande paese, la Francia.

Di fronte al deterioramento del merito creditizio nei singoli Paesi dell’Unione, risulta “inevitabilmente” conveniente per tutti, rendere strutturale l’emissione di un titolo di debito comune, definendo esplicitamente quali spese comuni finanziare: settori quali quello della difesa, della transizione energetica, dello sviluppo digitale. Gli americani hanno appena stanziato 500 miliardi per il programma di Artificial Intelligence denominato “Stargate”.

Il mercato apprezzerebbe grandemente un “safe asset” europeo, con un programma duraturo, anziché transitorio, riconoscendogli un elevato merito di credito.

……………….

Per quanto riguarda gli aspetti “più tecnici” necessari per un vero mercato unico dei capitali, apprezziamo la recente iniziativa della Commissione Europea, denominata Savings and Investment Union (SIU), e siamo pronti come Assiom Forex a collaborare per definirne i passaggi tecnici.

Altresì evidenziamo – come ripetutamente fatto da Mario Draghi – che bisogna agire con “urgenza e concretezza”.

Suggeriamo, quindi, di concentrarci sulle cose che si possono fare nel breve termine.

Per prima cosa, sfruttiamo la transizione digitale: i mercati nei prossimi anni non saranno più quelli che abbiamo conosciuto, gli impatti determinati dalla tokenizzazione degli asset e dall’intelligenza artificiale pongono sfide che vanno affrontate tempestivamente.

Su questo l’Europa non è in ritardo.

Sono già state effettuate emissioni di obbligazioni e commercial paper che sfruttano la Digital Ledger Technology, con regolamento “T-0” e valuta di banca centrale.

È un progetto che ha avuto grande successo, che il sistema bancario ha portato avanti in collaborazione con la Banca d’Italia; a questo riguardo ringrazio ancora pubblicamente la Vice Direttrice Generale, Dott.ssa Chiara Scotti, che ci ha supportato con grande impegno fin dall’inizio.

Ma ovviamente non basta: crediamo che sia necessaria un’accelerazione nella definizione e adozione dell’euro digitale, quale moneta di banca centrale.

Senza volerci dilungare in questioni più alte, dobbiamo essere consapevoli che oggi le “digital currency” possono essere uno strumento non solo di politica monetaria, ma un fondamentale asset, di valenza geopolitica.

Non è un caso che la Cina abbia già una valuta digitale di banca centrale e che gli americani non vorranno mai un dollaro digitale, ma favoriranno un ulteriore proliferare di “stablecoin” o, peggio, di “meme-Coin”, il cui valore intrinseco è totalmente dissociato da ogni logica monetaria ed economica.

L’euro digitale è un’opportunità per l’Europa per accelerare il recupero della sua centralità nei mercati, incrementando l’appetibilità dei propri asset nel lungo periodo.

Un “titolo comune europeo privo di rischio” e l’“euro digitale di banca centrale” sono le condizioni fondamentali per competere nello scenario odierno, in condizioni paritarie con il Treasury americano e con il dollaro, come riserve di valore internazionale.

…………..

Ma c’è almeno un ulteriore motivo in Europa per essere ottimisti: sono le eccellenti condizioni del sistema bancario.

Ormai da almeno un paio di anni, le banche non sono più il problema, ma la soluzione del problema. Oggi, sono un presupposto stabile e un fattore di sviluppo per l’economia europea.  

In assenza di un mercato unico dei capitali, gli istituti finanziari europei sono il maggior finanziatore di famiglie e imprese, nonché i principali custodi dell’ingente mole di risparmio dei cittadini europei.

Dopo anni di tassi negativi e di accantonamenti per ridurre i “Non Performing Loans”, i bilanci sono solidi, i livelli di capitale e liquidità elevati e – anche grazie al rialzo repentino dei tassi di interesse a breve termine -la redditività è in forte miglioramento.

Possiamo dire che ci siamo lasciati, definitivamente, alle spalle le eredità della Grande Crisi Finanziaria.

A conferma della percezione di una maggiore solidità del settore, le banche italiane sono tornate a quotare almeno il loro valore di libro, dopo essere scese fino a un quarto di tale valore.

In questo scenario ottimistico, è comunque essenziale tenere ben presenti quelli che sono dei rischi intrinseci dell’attività bancaria, tra cui quelli:

–      di carattere congiunturale,

–      regolamentare,

–      e, non ultimo, di struttura del mercato del credito.

In primo luogo, l’attuale fase di riduzione dei tassi e di debolezza del contesto economico comporteranno il contrarsi dei margini di interesse e, ceteris paribus, un potenziale aumento delle sofferenze.

Emergeranno gli istituti che si dimostreranno capaci di accelerare la transizione digitale e diversificare il business per preservare competitività e redditività.

Ma al contempo, la riduzione del costo del capitale, incrementerà la componente commissionale, legata alle attività di capital markets, investment banking ed asset management.

Quanto al rischio di Regolamentazione è fondamentale sfruttare una maggiore flessibilità nell’implementazione del pacchetto finale di regole di Basilea III, per evitare svantaggi competitivi alle nostre banche.

Il Regno Unito ha già optato per posticipare a gennaio 2027.

Al contempo, le dichiarazioni dell’amministrazione Trump sembrano indicare una riduzione significativa dei requisiti regolamentari per le banche americane.

Il campo non sarà più “livellato”: in mancanza di un adeguamento anche in Europa, si rischia di avere un impatto competitivo negativo e sproporzionato per gli istituti del Vecchio continente.

…………

Last but not least” – da ultimo ma non come ultimo – desidero richiamare la vostra attenzione sull’importanza della complementarità, ma al tempo stesso della crescente competizione tra banche e “soggetti finanziari non bancari”, nel finanziamento dell’economia reale europea.

Complice la stretta del credito seguita alla Grande Crisi Finanziaria, gli operatori di credito privato hanno ampliato il loro raggio d’azione, passando dai tradizionali leveraged buyout e investimenti in capitale privato di rischio, a strumenti creditizi più tradizionali, inclusi i “senior loans”, andando in concorrenza diretta con il settore bancario.

Questo cambiamento epocale nei mercati globali del credito sta ridefinendo le tradizionali fonti di valore del nostro settore: da un lato ci sono nuove opportunità per le banche in grado di “cooperare” con i nuovi attori (mediante la costituzione di joint venture ed attività in condivisione), ma dall’altro cresce il rischio di un contesto competitivo che favorisce gli arbitraggi regolamentari.

L’attenzione da parte delle Autorità sul sistema delle “Non Bank Financial Institutions” è già evidente: auspichiamo che il risultato ultimo della normativa sia quello di favorire la complementarietà delle attività con il sistema bancario, al fine di garantire le migliori condizioni, di breve e di lungo termine, per il finanziamento dell’economia reale.

CONCLUSIONI

Il 2025 si presenta come un anno carico di sfide che ci apprestiamo ad affrontare fiduciosi, alla luce degli importanti traguardi fin qui raggiunti.

Per gestire con lucidità le complessità attuali, un fattore chiave sarà dato dal prezioso bagaglio di competenze ed esperienze accumulato da chi – come molti di noi di Assiom Forex – ha saputo superare, con coraggio e passione, le grandi crisi del passato.

Sono competenze ed esperienze che da sempre ci impegniamo a trasmettere agli associati più giovani.

Per quel che concerne il mondo Associativo, dobbiamo ora essere pronti a traghettare le nostre organizzazioni verso una nuova dimensione, per essere in grado di cogliere le opportunità che sicuramente emergeranno, per accrescere la nostra autorevolezza e promuovere la cultura finanziaria del sistema.

In questo percorso, Assiom Forex – la più grande associazione di persone nel mondo finanziario in Europa – si porrà come soggetto aggregatore per le tante organizzazioni italiane ed estere che agiscono sui mercati finanziari.

Siamo certi che Assiom Forex, con i suoi Associati e con il supporto delle nostre Banche e delle Istituzioni, continuerà a essere in prima linea per rendere i nostri mercati ancora più efficienti e sicuri, per le famiglie e le imprese, per i risparmiatori e gli investitori, italiani ed europei.

E’ con questo messaggio, di impegno e di speranza, che ringrazio ancora tutti Voi per la partecipazione e per l’attenzione”.

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