21/10/2025
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Infelici sul lavoro: non è sempre colpa di capi malvagi o carichi stressanti

Ne parla Tessa West, docente di Psicologia alla New York University, autrice di un libro (FrancoAngeli)


Infelici sul lavoro: non è sempre colpa di capi malvagi, carichi stressanti e collaboratori irritanti.  Spesso le cause sono più profonde e vanno indagate con l’aiuto di uno psicoterapeuta. Non solo, le persone insoddisfatte sul lavoro parlano come chi si trova in crisi con il partner.

A queste conclusioni, dopo migliaia di interviste, è arrivata Tessa West (in foto), docente di Psicologia alla New York University, tessawestauthor.com che, di recente, ha scritto un libro, pubblicato da FrancoAngeli, intitolato Sei felice al lavoro? Una guida psicologica al lavoro che fa per te, in cui accompagna il lettore nell’esplorazione di cinque  tipologie di frustrazione professionale (crisi d’identità, deriva, esaurimento, sensazione del “secondo classificato” e sindrome del “genio incompreso”) e gli offre la possibilità di “conoscersi in profondità” attraverso un test di autovalutazione.

Tra le 400 persone che Tessa West ha intervistato in nove Paesi e ventidue settori industriali, circa il 41 per cento si è identificato con la categoria “Crisi d’Identità”, il 28 per cento con la categoria “Alla Deriva”, il 35 per cento con la categoria “Esaurito” e il 42 per cento con la categoria “Secondo Classificato” o “Genio Incompreso”. Ricordiamo che si può appartenere a più di una categoria: la media era di circa due. La categoria secondaria per la maggior parte delle persone era “Esaurito”.

In questo percorso di poco meno di 180 pagine il lettore riesce ad “interrogarsi” e a procedere verso il lavoro più giusto per la propria soddisfazione.

La redazione di Aziendatop l’ha intervistata.

Perché un libro sulla felicità al lavoro? Nelle sue indagini ha incontrato molte persone insoddisfatte?

Molte persone sono insoddisfatte della propria carriera e questo sembra essere un fenomeno globale. Ho intervistato persone provenienti da decine di Paesi e ho scoperto questa tendenza. La maggior parte delle persone che ho sentito era piuttosto infelice, persino quelle con lavori stabili, e spesso per alcune interessanti ragioni psicologiche che non mi aspettavo. È emersa una tendenza interessante: molte persone rifiutano l’idea che la loro carriera debba definirle, soprattutto le giovani generazioni, ma allo stesso tempo vogliono carriere con uno scopo e un significato. Questi sono due processi psicologici che spesso sono in contrasto tra loro. È difficile trovarli.

Quali sono le cause più comuni di infelicità sul lavoro? E perché dice che l’infelicità sul lavoro è la stessa che si prova in una relazione romantica?

Ci sono molte fonti psicologiche di infelicità sul lavoro, dal sentire che il lavoro non ti dà tanto quanto tu gli dai, al mettere in discussione quanto ti identifichi ancora con una carriera in cui hai investito così tanto tempo. Queste sono le più importanti. Quando pensi al rapporto con la tua carriera, i sentimenti che provi assomigliano molto a quelli che provi in una esperienza romantica: sentimenti di sottovalutazione, guardare questo lavoro e pensare non sei quello per cui ho cominciato. Chi è cambiato, sei stato tu o sono stato io? Adottare questa prospettiva relazionale può aiutarti a confrontarti con i tuoi sentimenti sul lavoro. Ho scoperto che gli stessi tipi di sentimenti che fanno mettere in discussione le nostre relazioni romantiche sono i tipi di sentimenti che ci fanno mettere in discussione i nostri rapporti con le nostre carriere.

Cosa, al contrario, rende le persone felici al lavoro e quale tipo di leadership può garantire la soddisfazione dei dipendenti?

La maggior parte di noi si concentra sulle caratteristiche strutturali del lavoro che ci rendono infelici, ad esempio, se lavoriamo da casa o il nostro stipendio. Ma la felicità può essere trovata in molti modi anche quando queste cose strutturali non sono ideali. La mia ricerca ha scoperto che il modo più semplice in cui possiamo tutti migliorare la felicità è ridurre i piccoli fattori di stress quotidiani. I leader possono mettere in atto piccoli passi per farlo, dal rendere alcune parti dell’ufficio angoli silenziosi per le persone che non possono lavorare quando gli altri parlano, all’offrire alle persone il controllo sulla temperatura ambiente. I leader possono iniziare da lì. Naturalmente, anche le cose fatte insieme contano. Ho scoperto che ci sono enormi lacune di comunicazione tra leader e dipendenti: le persone non imparano perché non sono state promosse e spesso perché lo sono state. Non sanno perché sono state apportate modifiche all’ufficio o alla politica del lavoro da casa. Dite le cose alle persone! Questa è la cosa migliore che i leader possano fare. E se non potete dirlo, dite loro:  Mi dispiace, ma non posso dirvi perché abbiamo cambiato quella politica. E’ meglio che non dire nulla.

Da quello che scrive, dietro ai problemi lavorativi ci sono problemi personali che non sono mai stati risolti, è così?

Non direi che ci sono problemi personali nel senso che porti con te un problema psicologico di vecchia data al lavoro. Per la maggior parte di noi, le fonti di infelicità sono di natura psicologica: i nostri sentimenti sono complessi e devono essere sviscerati nello stesso modo in cui devono essere sviscerati i problemi personali. Non possono essere risolti passando da un lavoro all’altro. Immagini, ad esempio, di voler lasciare il suo lavoro perché non può ottenere una promozione – e non ha idea del perché – e si senta poco apprezzata. Quando si chiede, nessuno dà spiegazioni. Lei non accetterebbe un nuovo lavoro se non fosse sicura che questo posto le darà il feedback di cui ha bisogno per ottenere una promozione. Questo approccio significa che si risolverebbe il problema prima di iniziare. Così non si imbatterebbe di nuovo nello stesso problema.

Pensa che la presenza di uno psicologo in azienda sia necessaria?

Io non lo consiglierei. Le persone dovrebbero trovare uno psicologo da sole, ma le aziende possono essere una grande risorsa per i riferimenti. Inoltre, non penso che i capi debbano svolgere il ruolo di terapeuta al lavoro. Non è il loro lavoro. Ma possono fare cose per rendere il posto di lavoro meno stressante.

Crede che una maggiore partecipazione dei dipendenti nei consigli di amministrazione possa aiutare a ridurre l’insoddisfazione?

Penso che dipenda dal lavoro del consiglio di amministrazione. In molte aziende, il cda consiglia alla C-Suite di prendere decisioni finanziarie complesse, qualcosa che la maggior parte dei dipendenti non può fare perché non ha le competenze giuste. Ciò che i dipendenti vogliono è che le loro posizioni siano ascoltate, e ciò significa che ci sono meccanismi per garantire che tali posizioni arrivino fino ai vertici. Se le loro opinioni muoiono al middle manager, ad esempio, spesso si sentono impotenti. Come se le loro voci non contassero.

Cosa intende per felicità al lavoro?

Non intendo che tu debba amare tutto del tuo lavoro in ogni momento. La felicità al lavoro è avere un lavoro che ti fa sentire a tuo agio nella tua pelle. Ti fa sentire bene con te stesso, come se appartenessi a quel posto, e ti si addice in termini di ciò che ti chiede e di ciò che trovi facile restituirgli. Come tutte le relazioni, una carriera felice consiste nel trovare una buona corrispondenza.

Le donne sono più felici degli uomini sul lavoro?

I dati suggeriscono che ciò è assolutamente falso. Le donne incontrano più ostacoli al successo rispetto agli uomini e affrontano più oneri rispetto agli uomini in termini di lavoro invisibile sul posto di lavoro – tipo aiutare in compiti per cui non ricevono credito – e a casa.

E’ vero che essere felici sul lavoro ci rende più produttivi?

Sì, la felicità assolutamente lo fa. Riduce lo stress, ci aiuta a far fronte alle difficoltà ed è correlata a una serie di cose importanti per andare avanti, come essere ben collegati sul lavoro, sapere a chi rivolgersi per chiedere aiuto. Quando siamo felici siamo anche più protetti dai grandi stress, e siamo meno propensi a portare a casa lo stress lavorativo. Anche i nostri familiari beneficiano quando siamo più felici sul lavoro.

Cinzia Ficco

Why a book on happiness at work? In your surveys have you encountered people who were not very satisfied?

Many people are discontent with their careers, and this seems to be a global phenomenon. I surveyed people from dozens of countries and found this trend. Most of the people I surveyed were pretty unhappy—even the ones in stable jobs—and often because of some interesting psychological reasons that I was not expecting. One interesting trend emerged: Many people are rejecting the idea that their careers should define them—especially the younger generation—but at the same time, they want careers with purpose and meaning. Those are two psychological processes that are often at odds with each other. It is tough to find that.

What are the most common reasons for unhappiness at work? And why do you say that unhappiness at work is the same as unhappiness in a romantic relationship?

There are a lot of psychological sources of unhappiness at work, from feeling like the job does not give as much to you as you give to it, to questioning how much you still identify with a career you’ve spent so much time investing in. Those are the big ones. When you think about your relationship with your career, the feelings you have look a lot like the feelings you have in a romantic one; feelings of underappreciation, looking at this job and thinking, “you are not what I signed up for. Who changed, was it you or was it me?” Adopting this relational perspective can help you grapple with your feelings at work. I found that same types of feelings that make us question our romantic relationships are the types of feelings that make us question our relationships with our careers.

What makes people happy at work? What kind of leadership provides greater satisfaction?

Most of us focus on structural features of work that make us unhappy—whether we work from home, our salary, for example. But happiness can be found in a lot of ways even when those structural things aren’t ideal. My research has found that the easiest way we can all improve happiness is by reducing small, daily stressors. Leaders can put small steps in place to do this, from making parts of the office “quiet spots” for people who cannot work when people are talking, to giving people control over room temperature. Leaders can start there. Of course, the big picture stuff matters too. I found that there are huge communication gaps between leaders and employees; people are not learning why they were not promoted, and often, why they were. They do not know why changes were made to the office or the work from home policy. Tell people things! That’s the single best thing leaders can do. And if you cannot tell them why, say it. “I am sorry I cannot tell you why we changed that policy” is better than saying nothing at all.

From what you say, behind the problems at work there are personal ones that were never solved, is that right?

I would not say there are personal problems in the sense that you are bringing some long-standing psychological issue with you to the job. For most of us, the sources of unhappiness are psychological in nature—our feelings are complex and need to be unpacked in the same way that personal problems need to be unpacked. They cannot be solved by hoping from job to job. Imagine, for example, that you want to leave your job because you cannot get promoted and you have no idea why and you feel underappreciated. When you ask, no one will tell you. You would not take a new job unless you make sure this place gives you the feedback you need to get promoted. That approach means you would be solving the issue before you start, so you do not run into the same problem again.

Do you think the presence of a psychologist in the company is necessary?

I would not suggest this. People should find a psychologist on their own, but companies can be a great resource for references. I also do not think bosses should play the role of therapist at work. It is not their job. But, they can do things to make the workplace less stressful.

Do you think more employee participation in boards of directors can help reduce dissatisfaction?

I think it depends on what the job of the board of directors is. In many companies, the board advises the C-Suite to make complex financial decisions—something that most employees don’t have the expertise to do. What employees do want is to have their perspectives heard, and that means there are mechanisms in place to make sure those perspectives work their way up to the top. If their opinions die at the middle manager, for example, then they often feel helpless. Like their voices do not matter.

What do you mean by happiness at work?

I do not mean loving everything about your job all of the time. Happiness is at work is having a job that makes you feel comfortable in your skin. It makes you feel good about yourself—like you belong here— and it fits you in terms of what it asks of you, and what you’re comfortable giving back to it. Like all relationships, a happy career is all about finding a good fit.

Are women happier than men?

The data suggest absolutely not. Women face more barriers to achievement than men, and face more burdens than men in terms of invisible labor at the workplace (helping tasks that they don’t get credit for) and at home.

Does being happy at work make you more productive? Are there any studies on this issue?

Yes, happiness absolutely does. It reduces stress, and it helps us cope with setbacks, and it is related to a bunch of things that are important for getting ahead, like being well-networked at work, knowing who to go to for help. When we are happy we are also more buffered from big stressors, and we are less likely to take work stress home with us. Our family members also benefit when we are happier at work.

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