Donando in modo mirato, si fa crescere un territorio, oltre all’azienda. I vantaggi del Daf
Imprese e filantropia: non è solo una questione di agevolazioni fiscali.
Un’azienda è spinta a fare del bene, cioè ad impegnarsi a sostenere cause sociali, ambientali e culturali tramite donazioni finanziarie, servizi e competenze per ragioni strategiche.
Si tratta infatti di un investimento fondamentale che consente di creare un valore condiviso e sostenibile nel tempo non solo per l’impresa, ma anche per la società, in un momento storico in cui i consumatori, i partner commerciali e gli stakeholder sono sempre più attenti ai valori delle aziende con cui collaborano. Essere un’impresa impegnata a livello sociale non solo migliora l’immagine del brand e la sua reputazione, ma genera anche fiducia, creando relazioni più solide e durature.
C’è ancora un altro aspetto da considerare. Le aziende che investono in filantropia tendono a creare un ambiente lavorativo più positivo, che favorisce il senso di appartenenza e soddisfazione tra i dipendenti. Le persone vogliono sentirsi parte di un’organizzazione che ha unimpatto positivo. Di conseguenza, il loro impegno e la loro produttività aumentano. E poi,sostenere progetti e comunità locali, quindi enti, istituzioni e organizzazioni no profit creaun network che può generare collaborazioni strategiche e nuove opportunità di business, dare accesso a mercati nuovi.
Ma, come si diceva agli inizi, ci sono anche i vantaggi fiscali. La filantropia può ridurre il carico fiscale, liberando risorse da reinvestire nella crescita dell’azienda.
Come fare filantropia? Con il supporto alle comunità locali sul territorio in cui l’azienda opera, contribuendo a progetti che tutelano l’ambiente, supportando la transizione ecologica, donando, sponsorizzando, sostenendo università, ong, o collaborando con enti impegnati a combattere la povertà e l’esclusione sociale.
Qual è la situazione in Italia rispetto al resto del mondo? “Intanto – secondo Marcello Gallo, presidente esecutivo del Fondo Filantropico Italiano, https://fondofilantropicoitaliano.it/ (realtà nata per far aumentare le donazioni in Italia, semplificandone l’iter) – occorre chiedersi quanto gli italiani siano ricchi. La ricchezza netta totale delle famiglie italiane è di 11.000 mld, mentre quella finanziaria lorda, escludendo il patrimonio immobiliare, è di 5600 mld. In Italia la ricchezza pro capite è di 185 mila euro, negli Usa di 550 mila euro, in Uk di 350 mila euro, in Francia di 445mila euro, in Germania di 260 mila euro. Siamo quindi un po’ meno ricchi di questi altri Paesi, ma doniamo anche molto meno di loro: nel nostro Paese, infatti, le donazioni ammontano complessivamente a 7,6 mld di euro l’anno, corrispondenti a 129€ per ognuno dei nostri connazionali, contro i 326€ degli americani, 651€ degli inglesi, 206€ dei francesi e 170€ dei tedeschi.
In Italia c’è un’alta frammentazione degli Enti del Terzo Settore , ben 363.499, mentre nel 47% dei casi la beneficenza viene fatta soprattutto per emergenze umanitarie e sanitarie, poi per la ricerca e il sostegno ai bambini abbandonati. Una volta fatta la donazione il rapporto, però, non progredisce, dal momento che non c’è coinvolgimento diretto e i donatori non si sentono parte di un processo”.
I numeri si riferiscono ai singoli, ma altrettanto bassa è la spinta a donare da parte delle imprese italiane.
La conferma arriva da Simonetta Schillaci, Vice Presidente di Fondo Filantropico italiano, che spiega: “Nel nostro Paese le risorse ci sono, le aziende donano, ma potrebbero fare di più. I piccoli e medi imprenditori – la stragrande maggioranza –sono prudenti sia negli investimenti che nelle donazioni. Nella maggior parte dei casi donano a pioggia, sulla base di rapporti personali o sulla base di spinte emotive forti come nel caso delle emergenze. Non sempre c’è una connessione con i valori e la cultura dell’azienda o con gli interessi del territorio. Eppure oggi c’è la possibilità di fare donazioni mirate, ricorrendo anche a strumenti di intermediazione filantropica”.
La vice presidente si riferisce al Daf (Donor-Advised Fund), un fondo filantropico vincolato ad uno specifico scopo, istituito all’interno di una fondazione già esistente come Fondo Filantropico Italiano che opera come «fondazione ombrello». Ogni fondo ha un proprio nome, funzionamento e modello di governance, che vengono stabiliti dal donatore con uno specifico regolamento.
I destinatari delle erogazioni possono essere solo progetti sociali. Si tratta di uno strumento decisamente snello, che non richiede la procedura di istituzione di una fondazione a sé stante, come l’iscrizione ad un Registro, un bilancio e un organo di vigilanza appositi.
Come fare donazioni efficaci? Secondo Schillaci, “dietro ogni operazione ci devono essere un’organizzazione e una strategia solide, un piano e un obiettivo concreti e misurabili: tutto il contrario dell’improvvisazione. E’ necessario che la donazione crei valore sul proprio territorio e che sia anche strategica per l’azienda. L’augurio è che in futuro nel nostro Paese cresca il numero di aziende e individui pronti a fare filantropia, visto che le risorse ci sono e se pensiamo che le stime parlano di un passaggio di ricchezza da una generazione all’altra nel 2028 pari a 180 mld di euro e nel 2033 di circa 300 mld di euro. Certamente per le imprese può aiutare la dichiarazione non finanziaria che va oltre i dati economici e riporta di azioni, strategie e risultati che dimostrano l’impegno messo in campo dall’organizzazione per migliorare la sostenibilità ambientale, l’inclusione e l’equità sociale, ma è necessario che l’azione filantropica venga decisa non solo per seguire una norma o per motivi fiscali (in Italia si può donare fino al 10% del reddito netto complessivo dichiarato con la possibilità di riportare sino al quarto anno eventuali eccedenze di imposta successiva, ndr). Si dona perché fa bene al Paese e perché l’imprenditore, che ha già creato valore con la sua azienda, assuma un impegno anche nei confronti della collettività”.
Cinzia Ficco