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  • Molti imprenditori non vanno più in banca e si autofinanziano

    Molti imprenditori non vanno più in banca e si autofinanziano

    Studio della CGIA di Mestre


    Forse ci siamo sbagliati. Pensavamo che in questi ultimi 15 anni fossero state le banche ad aver chiuso i rubinetti del credito alle aziende italiane, invece pare sia avvenuto l’esatto contrario. Sono gli imprenditori che avrebbero deciso di non rivolgersi più agli istituti di credito, risolvendo lo storico problema della mancanza di liquidità attraverso il ricorso all’autofinanziamento. Come? Apportando capitali propri (di imprenditori e soci) o di terzi (attraverso il mercato dei capitali e l’azionariato diffuso). A sostegno di questa chiave di lettura segnaliamo anche la decisa diminuzione della domanda di credito avvenuta in questi anni da parte delle imprese, poiché, a seguito anche dei buoni risultati economici ottenuti, molte attività rimaste sul mercato hanno aumentato i risparmi e conseguentemente il loro utilizzo per far fronte alle spese correnti e agli investimenti.  La tendenza macroeconomica appena delineata non ha coinvolto indistintamente tutte le realtà produttive e commerciali del Paese. È verosimile che, per molte micro imprese, alla contrazione dei prestiti non sia seguita alcuna forma di autofinanziamento, bensì un progressivo deterioramento economico/finanziario che le avrebbe fatte scivolare nell’area grigia dell’insolvenza o, peggio ancora, a rivolgersi al mercato del credito illegale. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA. 

    ·        Imprese: in quasi 15 anni -329 miliardi di prestiti, ma +300 miliardi di risparmi

    A fine dicembre del 2011 (inizio della crisi dei debiti sovrani), i prestiti bancari alle imprese italiane ammontavano a 995 miliardi di euro, verso la fine del 2024, invece, la quota è scesa a 666 (-329 miliardi di euro pari a una contrazione del 33 per cento). Per contro, nello stesso arco temporale i depositi bancari delle aziende sono passati da 219 miliardi a 519 (+300 miliardi pari a un incremento del 137 per cento). La contrazione del credito alle attività economiche è riconducibile alla combinazione di più fattori e in aggiunta a quelli richiamati più sopra vanno aggiunte le importanti trasformazioni registrate dal sistema bancario e imposte dalla Banca Centrale Europea (BCE) che, a seguito delle crisi finanziarie avvenute in questi ultimi decenni, ha introdotto dei parametri molto stringenti nella valutazione del merito e del rischio di credito. Dopodiché, è utile ricordare che tutti gli istituti bancari sono stati costretti ad aumentare notevolmente il livello di patrimonializzazione, con misure che hanno indotto il sistema creditizio a razionalizzare i prestiti alle imprese meno insolventi, riducendo così il rischio di veder aumentare la platea dei crediti deteriorati che sono stati ridotti grazie alla vendita delle sofferenze (mercato delle cartolarizzazioni). 

    ·        Aiuti in calo anche al netto delle cartolarizzazioni

    In questi 13 anni (2011-2024) ci sono state molte fasi in cui il credito alle imprese è sceso: negli anni dal 2012 al 2015, nel 2019 e nella prima parte del 2020 e a partire dal 2023 sino ad oggi. Va evidenziato che la fase di crescita molto sostenuta verificatasi tra la metà del 2020 fino al 2022 è stata ottenuta a seguito delle misure introdotte per fronteggiare la crisi pandemica. Ricordiamo che il governo Conte 2 e quello Draghi hanno approvato alcuni provvedimenti a sostegno del credito (compresa la garanzia statale al 100 per cento sui prestiti) che hanno consentito di incrementare i prestiti alle società non finanziarie corretti per le cartolarizzazioni e le altre cessioni.

    ·        In Ue, invece, i prestiti sono aumentati, con punte record in Francia e in Germania

    Secondo i dati della BCE, tra il 2011 e il 2023 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili per un confronto europeo), non tutti i paesi monitorati hanno subito una contrazione dei prestiti bancari alle imprese. Anzi. Il dato medio dell’Area dell’Euro, ad esempio, è stato pari al +4,3 per cento (+188,6 miliardi di euro), con picchi positivi, per i big, del +61,4 per cento in Francia e del +46 per cento in Germania che, in valore assoluto, possono contare su un’esposizione degli istituti di credito verso le attività economiche che, rispetto al nostro importo, a Parigi è più del doppio e a Berlino, invece, è leggermente inferiore al doppio. Segnaliamo che tra le nazioni economicamente più importanti solo la Spagna ha registrato una flessione superiore alla nostra. Se in Italia la riduzione è stata del 30,9 per cento, Madrid ha visto scendere i prestiti del 46,7 per cento. In difficoltà anche le aziende dei Paesi Bassi che hanno subito una riduzione dell’8,1 per cento.

    ·        Prestiti: in forte calo soprattutto nel Centro-Sud. Record a Siena

    Tra il novembre 2011 (periodo di picco massimo dei prestiti erogati alle imprese) e lo stesso mese del 2024 (ultimo dato disponibile), la maggiore contrazione delle consistenze si è verificata nel Centro (-42,6 per cento) e nel Sud (-42,4 per cento). In termini assoluti, invece, la riduzione più importante ha interessato proprio quest’ultima ripartizione geografica con un calo di 118,1 miliardi. A livello provinciale le flessioni più significative si sono verificate a Siena (-59,1 per cento), Savona (-58,9), Siracusa (-56,8), Novara (-53,8) e Rovigo (-52,4). Le uniche province che hanno ottenuto un risultato anticipato dal segno più sono state Trieste (+1,4 per cento) e Bolzano (+1,5). Il dato medio nazionale è stato del -34,9 per cento.

    ·        I risparmi sono cresciuti soprattutto a Nordest. Cremona, Bolzano e Enna le più “formiche”

    Sempre tra novembre 2011 e novembre 2024, sul fronte dei depositi il Nordest è la macro area che ha subito l’incremento più importante pari al 178 per cento (vedi Tab. 4). La provincia con le imprese che hanno accumulato più depositi è Cremona, dove sono aumentati del 298,3 per cento. Seguono Bolzano con il +281,6, Enna con il +278,9, Salerno con il +270 e Potenza con il 257,7 per cento. L’unica provincia d’Italia che ha visto diminuire i risparmi è stata Siena con il -20,1 per cento.

    La Redazione

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  • Sos usura: in aumento le PMI segnalate alla Centrale dei rischi della Banca d’Italia

    Sos usura: in aumento le PMI segnalate alla Centrale dei rischi della Banca d’Italia

    Nell’ultimo anno situazione in peggioramento soprattutto a Benevento, Chieti, Savona, Rieti e Lecce


    Sono quasi 118mila le imprese italiane che si trovano a rischio usura. Dopo anni in cui erano in calo, rispetto a un anno fa il numero complessivo di queste realtà è cresciuto di oltre 2.600 unità.

    Si tratta prevalentemente di artigiani, esercenti, commercianti o piccoli imprenditori che sono scivolati nell’area dell’insolvenza e, conseguentemente, sono stati segnalati dagli intermediari finanziari alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. Di fatto, questa schedatura preclude a queste attività di accedere a un nuovo prestito. A denunciarlo è l’Ufficio studi CGIA.

    • Un’impresa a rischio su 3 è al Sud. Nell’ultimo anno la situazione è fortemente peggiorata a Benevento, Chieti, Savona, Rieti e Lecce

    A livello provinciale, il numero più elevato di imprese segnalate come insolventi si concentra nelle grandi aree metropolitane. Al 30 giugno scorso, Roma era al primo posto con 10.827 aziende: subito dopo troviamo Milano con 6.834, Napoli con 6.003, Torino con 4.605 e Firenze con 2.433. Rispetto a 12 mesi prima, in termini percentuali, il peggioramento ha interessato innanzitutto Benevento con il +17,3% di imprese affidate con sofferenze (in valore assoluto +97). Seguono Chieti con il +13,9% (+101), Savona con il +12,4% (+62), Rieti con il +11,8% (+25) e Lecce con il +11,4% (+179). Se analizziamo i dati per ripartizione territoriale, ci accorgiamo che l’area più a rischio è il Sud: qui si contano 39.538 aziende in sofferenza (pari al 33,6% del totale), seguono il Nordovest con 29.471 imprese (25% del totale), il Centro con 29.027 (24,7% del totale) e infine il Nordest con 19.677 (16,7% del totale) (vedi Tab. 2).

    • L’usura si “pratica” al Sud, ma i soldi vengono poi reimpiegati al Nord

    Se il Mezzogiorno è l’area geografica d’Italia più a rischio usura, i proventi di queste attività illegali vengono sempre più reinvestiti al Nord. Negli ultimi tempi, infatti, le indagini effettuate dalla Direzione Investigativa Antimafia dimostrano come il denaro contante proveniente dalle attività criminali primarie, come l’usura, venga reimpiegato con sempre maggiore frequenza in determinate aree dell’Italia, soprattutto settentrionale (Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Toscana, ecc.).

    • Molti imprenditori insolventi anche perché non pagati

    Chi finisce nella black list della Centrale dei Rischi difficilmente può beneficiare di  aiuto economico dal sistema bancario, rischiando, molto più degli altri, di chiudere o, peggio ancora, di scivolare tra le braccia degli usurai. Per evitare che questa criticità si diffonda, la CGIA continua a chiedere con forza il potenziamento delle risorse a disposizione del “Fondo di prevenzione dell’usura”. Strumento, quest’ultimo, in grado di costituire l’unico valido aiuto a chi si trova in questa situazione di vulnerabilità. È bene ricordare che gli imprenditori che vengono segnalati alla Centrale Rischi della Banca d’Italia non sempre lo devono a una cattiva gestione finanziaria della propria azienda. Nella maggioranza dei casi, infatti, questa situazione si verifica a seguito dell’impossibilità da parte di molti piccoli imprenditori di riscuotere con regolarità i pagamenti dei propri committenti o per essere “caduti” in un fallimento che ha coinvolto proprio questi ultimi.

    • Per combattere l’usura, il legislatore ha previsto due fondi: di prevenzione e di solidarietà

    Il “Fondo di prevenzione dell’usura” è stato introdotto con la legge n° 108/1996 e ha cominciato a operare nel 1998. Questo fondo è stato introdotto per l’erogazione di contributi a Consorzi o Cooperative di garanzia collettiva fidi oppure a Fondazioni e Associazioni riconosciute per la prevenzione del fenomeno dell’usura. Il “Fondo di prevenzione” prevede due tipi di contribuzione. La prima è destinata ai Confidi a garanzia dei finanziamenti concessi dalle banche alle attività economiche. La seconda è riconosciuta alle fondazioni o alle associazioni contro l’usura che sono riconosciute dal MEF. Queste associazioni consentono alle persone in grave difficoltà economica (lavoratori dipendenti e pensionati) di accedere al credito in sicurezza.

    Dal 1998 al 2022, ai Confidi e alle Fondazioni lo Stato ha erogato 711 milioni di euro; tali risorse hanno garantito finanziamenti per un importo complessivo pari a oltre 2 miliardi di euro. Nel 2022 ai due enti erogatori (Confidi e Fondazioni) sono stati assegnati complessivamente 33,7 milioni di euro: di cui 23,6 milioni ai primi e 10,1 milioni di euro ai secondi. Cifre importanti che, però, secondo l’Ufficio studi della CGIA andrebbero implementate: le crisi che si sono succedute in questi ultimi 15 anni, purtroppo, hanno spinto molte attività sull’orlo del fallimento. Attività che se non vengono aiutate rischiano di scivolare nell’insolvenza o, nella peggiore delle ipotesi, nella rete tesa da coloro che vogliono impossessarsene con l’inganno, alimentando così l’economia criminale.

    Il “Fondo di solidarietà”, invece, offre agli operatori economici, ai commercianti, agli artigiani, ai liberi professionisti che hanno denunciato gli usurai, l’occasione di reinserirsi nell’economia legale attraverso l’elargizione di un mutuo senza interessi da restituire entro 10 anni, il cui importo è commisurato agli interessi usurari effettivamente pagati e, in casi di particolare gravità, può tenere conto anche di ulteriori danni subiti. Attualmente è la Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici Spa (Consap) a erogare i finanziamenti. Dal 2000 al 2023, Consap ha stipulato 1.660 contratti e le somme concesse a titolo di mutuo sfiorano complessivamente i 145 milioni di euro.

    • Il rischio usura si espande anche a causa del credit crunch

    Ad eccezione degli anni caratterizzati dalla crisi pandemica, dal 2011 ad oggi sono crollati i prestiti bancari alle imprese italiane. A fronte dei 1.017 miliardi di euro erogati verso la fine del 2011, siamo scesi a 711,6 miliardi del febbraio 2020 (inizio pandemia). Dopo l’incremento avvenuto durante il periodo Covid che ad agosto 2022 aveva innalzato lo stock erogato a 757,6 miliardi di euro, è ripresa la riduzione e a settembre di quest’anno si è attestata a 667 miliardi.

    In 12 anni, rispetto al picco massimo erogato nel 2011, le imprese hanno perso 350 miliardi di prestiti bancari, pari al -52,4%. Gli effetti della crisi del debito sovrano (2012-2013), le restrizioni normative imposte dalla BCE alle banche per limitare la proliferazione degli NPL e, in parte, anche il calo della domanda di credito, sono le cause di questa caduta verticale. Pertanto, non è da escludere, anzi, che la chiusura dei rubinetti del credito praticata dal sistema bancario abbia contribuito a “spingere” involontariamente molti lavoratori autonomi e altrettanti piccoli imprenditori a corto di liquidità verso le organizzazioni malavitose che, mai come nei momenti difficili, hanno la necessità di reinvestire nell’economia legale i denari provenienti dalle attività criminali.

    Ufficio Studi CGIA Mestre

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  • Instant payment: come la GenAI può gestire al meglio le frodi?

    Instant payment: come la GenAI può gestire al meglio le frodi?


    Il mercato delle frodi digitali è sempre attivo. Oggi, nell’ambito dei pagamenti digitali, per esempio, assistiamo a tre tipologie differenti di frode:

    1. Le cosiddette “third party fraud”, ossia quelle messe a punto da terze parti (che non sono clienti di un istituto finanziario o di un player del settore pagamenti), spesso simulando il comportamento dei clienti reali per accedere in modo fraudolento ai servizi bancari);
    2. Le frodi che hanno come obiettivo quello di rubare dati, identità e denaro dei clienti di una banca, un istituto finanziario o un gestore di pagamenti utilizzando i dati reali per creare identità fittizie (syntetic identity) al fine di accedere e utilizzare i servizi finanziari in modo fraudolento (per esempio nell’ambito di finanziamenti per acquistare beni o servizi in modo rapido e con addebiti dilazionati, sempre più diffuso come il Buy now Pay Later;
    3. Le frodi messe a segno da clienti reali di una azienda (aumentate notevolmente durante la pandemia 2020-2021 ed oggi in crescita costante).

    Benché si tratti di tre macro-tipologie differenti di frode, ciò che le accomuna è lo scopo, ossia rubare denaro, fare in modo che una somma arrivi al frodatore anziché al legittimo destinatario. Questa considerazione può sembrare banale, ma va vista alla luce dei prossimi possibili scenari entro i quali saranno attivati in modo diffuso i pagamenti e i bonifici istantanei, che implicano una gestione antifrode in real-time da parte degli istituti finanziari.

    Se un trasferimento di denaro, un pagamento via carta di credito o di debito, un bonifico, oggi hanno qualche giorno di “incubazione” prima che la transazione venga effettivamente contabilizzata tra le parti (tempo entro il quale può essere massificata l’attività anti frode, senza trascurare ovviamente tutte le fasi legate alla prevenzione), con i pagamenti istantanei questo tempo si riduce da giorni a 10 secondi.

    Un cambiamento enorme che implica necessariamente un ripensamento delle politiche strategiche – e delle scelte tecnologiche – per il risk management e la gestione anti frode, in particolare per la tracciabilità e l’analisi in tempo reale dei pagamenti.

    Agire sull’anello debole non basta

    Quando si tratta di sicurezza dei pagamenti, il consumatore è quasi sempre l’anello debole del meccanismo, perché meno preparato e più esposto agli attacchi. Tralasciando le frodi messe a segno dai clienti bancari, che hanno differente natura e presuppongono un atteggiamento criminale di base (a partire dalla la volontà di frodare una banca o un ente finanziario), la stragrande maggioranza delle frodi avviene in realtà all’insaputa dei clienti.

    Basti pensare all’aumento degli attacchi di phishing, vishing e smishing. Attacchi che si fanno sempre più sofisticati con tecniche e meccanismi di social engineering e che, con l’ampia diffusione dei sistemi basati su tecniche di intelligenza artificiale, risultano sempre più efficaci nel loro scopo di frode. Un esempio  sono gli attacchi con deep fake, che si avvalgono di sistemi che riproducono la voce di un familiare che chiede supporto economico in una situazione di difficoltà.

    Non si può quindi demandare ai singoli utenti la responsabilità di controllo e sicurezza. Chi opera nell’ambito dei servizi di pagamento deve farsi carico della mitigazione dei rischi e della gestione delle frodi. Supportare la clientela per migliorarne la cosiddetta “postura di sicurezza” (con una maggiore conoscenza dei rischi e un più efficace approccio culturale alla prevenzione), benché di fondamentale importanza, non basta. Sono le banche, gli enti finanziari, i gestori di servizi di pagamento e, più in generali, gli operatori in ambito economico-finanziario, a doversi dotare di strategie e tecnologie efficaci per la protezione degli utenti (e della transazioni) lungo tutto il customer journey.

    Advanced Analytics e Intelligenza Artificiale per l’anti frode in real-time

    È fondamentale che la prevenzione, la detenzione e la gestione delle frodi siano attivati in tutti i touch point, cioè  per i cosiddetti “customer moments” degli utenti, che accedono o utilizzano  un sistema o servizio collegato alla banca fino  a quando si effettua una operazione dispositiva.

    Ancora una volta, possono sembrare considerazioni banali, ma oggi vanno lette nell’ambito dell’arrivo di nuovi scenari, quelli legati ai pagamenti istantanei, che cambieranno completamente “le regole del gioco”. Sarà sempre più critico dotarsi di sistemi di analisi in real-time, capaci di intercettare per tempo (ricordiamoci, in un tempo sempre più sottile, fino all’istantaneità) possibili frodi, senza al contempo causare disservizi e frizioni negli utenti (per esempio bloccando pagamenti validi per “eccesso di controllo”).

    La Generative AI per migliorare la protezione delle transazioni digitali

    Una delle principali criticità e delle sfide più ardue – per chi deve “attrezzarsi” a fare l’analisi in real-time dei dati e degli eventi – riguarda l’addestramento di modelli di analisi su ampie base dati. Una risposta a questa problematica arriva dall’uso dell’Intelligenza Artificiale generativa per la creazione di dati sintetici.

    Nello specifico, l’impego di metodi e simulazioni per creare dati con proprietà statistiche del mondo reale, senza quindi usare dati reali degli utenti – spesso dati sensibili e protetti dalla privacy – ma creando dati anonimi che hanno però le stesse proprietà statistiche – e quindi lo stesso valore – per poter essere utilizzati dai modelli di analisi, in particolare per le fasi di training di modelli.

    Oggi il quadro normativo europeo agevola e accelera l’innovazione in ambito FinTech, avendo come obiettivo quello di garantire ai consumatori servizi sempre più ampi, digitali e semplici. La complessità che c’è “dietro le quinte” non deve avere impatti sulle persone. Per chi opera nel settore, questo comporta il dover affrontare sempre sfide nuove e dover innalzare sempre di più l’asticella della sicurezza, soprattutto nel campo dell’anti-frode.

    Di contro, la forte accelerazione dell’Intelligenza Artificiale e la maturità delle tecnologie di Advanced Analytics, “innervate” con le più avanzate tecniche di Intelligenza Artificiale “enterprise grade” sono oggi la miglior risposta alle imminenti sfide come quella della gestione real-time della sicurezza dei pagamenti istantanei.

    Di Carmelo Garofalo, Fraud & Security Intelligence Practice Manager, SAS

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  • Mutui in contrazione nel 2024 (-0,9%), ma in ripresa dal 2025 (+1,7%) in Italia

    Mutui in contrazione nel 2024 (-0,9%), ma in ripresa dal 2025 (+1,7%) in Italia

    È quanto emerge dall‘ EY European Bank Lending Economic Forecast 2024


    Il credito bancario al settore privato in Italia si contrarrà per il secondo anno consecutivo (-1,7% nel 2024), per poi tornare a crescere del 2,4% nel 2025 e del 3,1% nel 2026, in linea con le altre maggiori economie dell’Eurozona.

    È quanto emerge dall’EY European Bank Lending Economic Forecast 2024analisi della congiuntura creditizia europea, finalizzata ad approfondire l’evoluzione dei prestiti al settore privato e a prevederne gli andamenti.

    Secondo lo studio di EYsi stima per il 2024 un’ulteriore contrazione dello 0,9% dei mutui ipotecari dopo quella dello 0,5% del 2023, mentre si prospetta un aumento dell’1,7% nel 2025 e del 3,0% nel 2026.

    Si prevede un rallentamento della crescita del credito al consumo, che si attesterà al 3,5% quest’anno rispetto al 5,4% del 2023, mentre i prestiti alle imprese subiranno una contrazione per il quarto anno consecutivo (-3,4% nel 2024), prima di tornare a crescere del 2,4% nel 2025 e del 2,7% nel 2026.

    Stefano Battista, Italy Financial Services Market Leader di EY, commenta: “In Italia, alla vitalità del credito al consumo si contrappone la debolezza dei prestiti alle imprese iniziata durante la crisi del debito dell’Eurozona, fragilità che influenza la domanda complessiva di credito. Tuttavia, la prevista riduzione dei tassi di interesse e l’attenuarsi verso i livelli attesi dell’inflazione al 2% porteranno ad una ripresa della domanda di credito già a partire dal 2025.

    Per il settore bancario questa è una grande opportunità per orientare la propria agenda verso la trasformazione e lo sviluppo, con un rinnovo degli investimenti in innovazione di prodotto e tecnologie, di cui l’Artificial Intelligence rappresenterà una componente essenziale. Inoltre, rimarrà prioritaria la necessità di continuare a migliorare la customer experience per favorire la crescente domanda di servizi da parte della clientela”.

    L’erogazione di mutui rimane debole, ma è destinata a migliorare gradualmente

    Il settore dei mutui in Italia, dopo un calo nel 2023, rimane fragile, ma mostra segnali di miglioramento. I tassi ipotecari, saliti al 4,5% alla fine dell’anno scorso a causa delle politiche restrittive della BCE, hanno iniziato a scendere, attestandosi al 3,6% a maggio 2024. Nonostante l’aumento dei tassi, i prezzi delle abitazioni sono cresciuti dell’1,3% nel 2023, aiutati da una migliore situazione economica. Le transazioni immobiliari sono diminuite, contribuendo a stabilizzare i prezzi.

    Nel complesso, l’andamento dei tassi della BCE influenzerà il mercato dei mutui nel breve termine, ma con il progressivo taglio dei tassi si prevede una ripresa nei prossimi anni con una crescita del prestito ipotecario dell’1,7% nel 2025 e del 3% nel 2026, leggermente inferiore rispetto alla media europea (2,8% nel 2025, e 4,1% nel 2026).

    Credito al consumo forte sostenuto dai miglioramenti dell’economia

    La crescita del credito al consumo in Italia, pur rallentando all’inizio del 2024, mantiene un ritmo solido del 4% sostenuto dai miglioramenti nei fondamentali economici, dalla riduzione dell’inflazione, dall’aumento dei salari nominali e da un mercato del lavoro forte. Nonostante la ripresa dei redditi reali, si stima che il tasso di risparmio rimarrà elevato, limitando l’aumento dei consumi privati che si prevede sarà graduale: 0,2% nel 2024 e 1% nel 2025. Nel complesso, il credito al consumo netto dovrebbe crescere del 3,5% nel 2024 (contro una media europea dello 0,9%), per poi salire al 4,9% nel 2025 e al 5,7% nel 2026, l’incremento più significativo tra le principali economie del continente europeo.

    Prestiti alle imprese ancora in calo

    Le aziende italiane hanno ripreso a ridurre il loro indebitamento, un processo iniziato con la crisi del debito dell’Eurozona e interrotto solo temporaneamente negli anni 2020-2021 grazie ai prestiti agevolati garantiti dal governo. Nel secondo trimestre, i prestiti netti alle imprese sono scesi del 4%, portando il debito aziendale al livello più basso dal 2005, pari a circa il 30% del PIL, ben al di sotto del 40% del 2020 e del picco del 55% del 2010. Si stima per il 2024 una riduzione dei prestiti alle aziende del 3,4% (la contrazione più significativa tra le maggiori economie dell’Eurozona), che poi torneranno a crescere negli anni successivi (2,4 nel 2025 e 2,7 nel 2026).

    Gli investimenti privati in Italia sono influenzati dalla riduzione degli incentivi nel comparto delle costruzioni che ha avuto inizio a gennaio e si prevede un rallentamento nel settore entro fine anno. Gli investimenti non residenziali dovrebbero invece aumentare con il miglioramento dell’economia globale e l’allentamento monetario.

    NPL a livelli contenuti, ma ancora superiori rispetto ad altre economie dell’Eurozona

    Gli NPL in Italia, pur avendo raggiunto livelli superiori a quelli di altre economie dell’Eurozona, si sono ora attestati attorno al 3% sul totale dei prestiti lordi, ben al di sotto della media del 12,5% riscontrata nel periodo di picco tra il 2015 e il 2019. Questo dato è anche legato alla regolamentazione europea più stringente e alla gestione prudente delle banche italiane.

    Livelli contenuti di debito rispetto ai redditi, che riflettono la continua riduzione dell’indebitamento da parte di famiglie e aziende a seguito della crisi finanziaria globale e della crisi del debito dell’Eurozona, dovrebbero ulteriormente aiutare a minimizzare eventuali futuri incrementi di NPL.

    Ad esempio, nel primo trimestre del 2024, in Italia la quota di NPL era equivalente a poco più del 20% del PIL, molto inferiore rispetto a quello delle altre economie dell’Eurozona. Si prevedono incrementi marginali nel 2025 e nel 2026, intorno al 3,5%, un aumento modesto rispetto agli standard del passato (il rapporto NPL è salito dal 5% nel 2009 al 9,7% nel 2012, prima di superare il 16% nel 2015).

    Conclude Filippo Mastropietro, Banking & Capital Markets Leader di EY in Italia: “In previsione di un ritorno ad una politica monetaria meno restrittiva ci si aspetta anche una naturale ripresa del credito verso famiglie e imprese. In parallelo, maggiori volumi di erogato, uniti ad un contesto inflattivo ancora sopra i livelli di guardia e ad uno scenario macroeconomico incerto e volatile, potrebbero necessitare di maggiore attenzione da parte delle banche verso la qualità del credito, sulla quale si sono riscontrati primi segnali di nuovo deterioramento nella prima parte del 2024. In generale l’outlook rimane comunque positivo e grazie al progressivo miglioramento di alcuni fondamentali dell’economia italiana, nel 2025 – per la prima volta dal 2018 – non si attendono contrazioni nelle diverse categorie del credito. Questa previsione offre l’opportunità alle banche di riequilibrare le priorità aziendali: la necessaria attenzione posta negli scorsi anni sul miglioramento della qualità degli attivi e dei ratio patrimoniali ha creato una solida base sulla quale il settore bancario può ora costruire un’agenda più orientata alla crescita. Nei prossimi anni, infatti, ci aspettiamo un focus ancora maggiore su tecnologia trasformativa, innovazione e sostenibilità“.

    La Redazione

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