Non più un fattore tecnico, ma un vero e proprio pilastro strategico del business, che proietta l’azienda nel futuro: questo è il ruolo del dato nella data-driven company, il traguardo a cui la maggior parte delle organizzazioni sta cercando di giungere con tutte le proprie forze.
Si stima, infatti, che la trasformazione data-driven rientri nei piani dell’85% delle imprese italiane, ma l’iter, per molti, sembra ancora lungo. Secondo una ricerca globale, è solo il 16% delle aziende a definirsi davvero guidata dai dati, mentre la maggioranza, ovvero il 34%, si proclama semplicemente data aware, indicando di trovarsi ancora nella fase iniziale di riconoscimento dell’importanza dei dati, senza averli ancora integrati completamente nei propri processi.
Ma perché è così difficile? Per rispondere a questa domanda, è necessario prendere in considerazione tre diversi elementi, tra loro collegati.
1. La base di partenza non è tecnica, ma culturale
I tool, ed in particolare l’intelligenza artificiale, vengono tendenzialmente ritenuti dalle aziende il principale elemento abilitante della trasformazione data-driven. Eppure, investire in numerosi progetti di dati e analisi non è sufficiente per portare i dipendenti a integrare i dati nelle proprie attività quotidiane.
La sfida principale, infatti, è creare la cosiddetta “data culture”.
Ciò dipende dall’onnipresente resistenza al cambiamento, ma anche dalla profondità della trasformazione. Quest’ultima deve, infatti, sostituire i meccanismi consolidati, gli approcci intuitivi e quelli basati sull’esperienza con un vero e proprio metodo analitico che, per essere abbracciato, richiede un mindset ad hoc.
Data l’ampiezza del fenomeno, adottare un paradigma data-centric è quindi tutt’altro che banale ed implica in molti casi una trasformazione sistemica che non tutte le aziende hanno intrapreso e che ben poche hanno completato, tanto che in alcuni sondaggi 6 leader aziendali su 10 ammettono di non esserci riusciti.
2. I dati non si applicano solo al decision-making
I dati guidano i processi decisionali e sono resi disponibili per stimolare l’innovazione e creare valore per i clienti, ma non sono vincolati al solo decision-making. In una data-driven company, il dato migliora i processi e le relazioni interne ed esterne, oltre a supportare l’individuazione di opportunità di innovazione e sviluppo di nuovi prodotti, servizi e anche modelli di business.
Il vero potere del dato risiede nelle molteplici potenzialità dell’informazione, presupponendo, però, a livello aziendale, di sviluppare il pensiero critico e la lungimiranza necessari ad usare i dati per illuminare le opportunità future e i percorsi di crescita.
3. I dettagli tecnici sono comunque fondamentali
Come abbiamo visto, l’implementazione di strumenti e tecnologie avanzate non è sufficiente a realizzare il pieno potenziale dei risultati basati sui dati. Ma, pur non rappresentando il principale motivo di apprensione, la sfida tecnica non va sottovalutata.
Se fino a poco tempo fa, infatti, le imprese interpretavano i propri dati solo in ottica transazionale, vincolandoli a silos inadatti a supportare complesse attività di analisi, e la pecca risultava in primis culturale, oggi per abbatterli è necessario promuovere la cooperazione, modernizzare le infrastrutture e, soprattutto, adottare la giusta tecnologia, grazie a cui abilitare uno standard per la condivisione automatica delle informazioni.
La soluzione non è univoca: serve un approccio integrato
Il passaggio verso un modello data-centric non segue un percorso predefinito e spetta a ogni organizzazione identificare la strada migliore in base al proprio modello di business, alla maturità digitale di partenza e alla complessità dell’ecosistema organizzativo e informativo.
Tuttavia, indipendentemente dal punto di partenza, la chiave per costruire una strategia data-driven efficace consiste senza dubbio nell’adottare un approccio integrato, facendo sì che l’evoluzione tecnologica, culturale e organizzativa procedano di pari passo.
Il primo step in tal senso è l’impegno attivo del top management, che deve supportare la trasformazione con azioni concrete e assumersi la responsabilità del cambiamento. A livello organizzativo, la centralità del dato si ottiene promuovendo un approccio collaborativo tra competenze tecniche e di business, nonché integrando dati e analytics in ogni unità funzionale dell’azienda.
Più precisamente, i dati vanno democratizzati: devono essere accessibili in tutta l’organizzazione, facendo sì che tutti gli utenti dispongano di competenze di analisi (data literacy) proporzionate alle proprie necessità.
I dati stessi devono rispondere a precisi criteri: devono essere reperibili (findable), accessibili (accessible), interoperabili (interoperable) e riutilizzabili (reusable), viaggiando su architetture moderne di data management che coprano trasversalmente tutta l’organizzazione, integrino sorgenti di dati strutturati e non, e dispongano di metadati completi e descrittivi che facilitino la ricerca. In questo contesto, ad esempio, l’uso di synthetic data rappresenta una leva fondamentale per la democratizzazione dei dati, consentendo l’accesso sicuro e responsabile a informazioni utili, senza compromettere la privacy o la confidenzialità, favorendo così una condivisione più ampia e diffusa dei dati attraverso l’intera organizzazione.
Assicurata la qualità del dato, lo sviluppo di un solido quadro di governance sarà fondamentale per gestire le modalità di raccolta, archiviazione, accesso e utilizzo dei dati all’interno dell’organizzazione, garantendo la conformità agli standard legali e alle considerazioni etiche.
Infine, un’azienda moderna, che basa la propria competitività sullo sfruttamento delle potenzialità dei dati, deve essere pronta a sperimentare e adottare velocemente nuove metodologie e soluzioni, mettendo in discussione gli approcci tradizionali, nella coscienza che l’evoluzione data-driven non può che essere graduale e (molto) progressiva.
di Alessandra Girardo, General Manager Italia, Kirey Group.