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Ottobre 31, 2024
Focus

Annalisa Aceti: “Venditrici, non venditori, si nasce”

Direttrice Generale Sales &Marketing in Rizzoli Education (Gruppo Mondadori)


Vendite e marketing: cosa cambia con l’Intelligenza artificiale?

Se ne occupa, in un libro pubblicato di recente da FrancoAngeli, Annalisa Aceti, una delle prime donne in Italia a guidare grandi reti commerciali, oggi Direttrice Generale Sales &Marketing in Rizzoli Education (Gruppo Mondadori), con oltre due decenni di esperienza in cui ha gestito diverse reti di vendita, oltre 500 Agenzie Generali e guidato più di 3500 tra Promotrici e Promotori.

A lei la redazione di Aziendatop ha chiesto una previsione su come organizzare in futuro le reti commerciali tra intelligenza umana e quella artificiale.

Prima di arrivare alla questione centrale, c’è un aspetto su cui riflettere e che è quello dello snobismo con cui si guarda da sempre ai sales.

Un pomeriggio ho chiesto a un’amica di mia figlia impegnata in studi economici se lavorerebbe mai come venditrice. Un po’ imbarazzata, mi ha risposto che potrebbe essere il suo piano B o C, se proprio dopo la laurea le cose non dovessero andare per il meglio. Non si studia per diventare agenti di vendita. D’altronde, un atteggiamento simile si riscontra anche tra persone con molta più esperienza lavorativa. Chi fa il prodotto, chi cura l’iniziativa di marketing quasi si rammarica di vederli affidati a venditori e venditrici, questa sorta di male necessario incapace di valorizzare il loro lavoro. E invecele vendite meritano tutt’altra considerazione.  Chi vende risolve problemi reali, crea valore per il cliente e costruisce relazioni di consulenza durature.

Eppure parliamo di un aspetto centrale nell’attività di un’impresa, non facile.

Non è un lavoro che si improvvisa, richiede preparazione, qualità umane e competenze tecnologiche, intelligenza emotiva, profonda conoscenza del business, capacità di gestire una quantità sempre crescente di dati e informazioni. Iniziamo a raccontarlo.

Come?

Scrivo che le vendite diventano gentili, ma nel farlo pretendono per sé anche il rispetto che meritano.

Pensa che si investa poco in termini di risorse economiche e formazione sulla figura dei “commerciali”?

In questi anni ci sono stati investimenti senza precedenti in ricerca e sviluppo, nella marketing automation, nell’ottimizzazione dei processi produttivi. Poi, quando si tratta di formare chi porta effettivamente i ricavi in azienda, tutto questo sparisce.Ne parlavamo prima: c’è quest’idea che vendere sia facile, che basti essere estroversi e avere una buona parlantina. Non è così. I e le commerciali di oggi devono essere veri e propri consulenti strategici, capaci di capire profondamente il prodotto e le esigenze dei clienti. Devono saper analizzare informazioni, gestire relazioni complesse, negoziare a livelli anche alti. Ora, poi, con l’avvento dell’Intelligenza artificiale, diventa indispensabile un’azione di alfabetizzazione sui dati e la loro gestione. Aggiungo un dato.

Prego

È francamente allarmante che solo l’1,6% dei dirigenti Fortune 1000 la indichi come priorità di investimento.Aggiungo che cambiano anche le persone e la loro cultura del lavoro. Formazione oggi non significa replicare le modalità del passato con un semplice copia-e-incolla, ma promuovere lo scambio tra prospettive diverse per accendere e alimentare la scintilla dell’innovazione.

Nel suo libro (Vendite e marketing gentili) scrive che i commerciali sono per la maggior parte uomini e non tanto giovani e che occorrerebbero politiche che invertissero i trend. Ma se si va verso la demateralizzazione del lavoro, a che serve battersi perché resti umano, troppo umano il commerciale?

Ho iniziato a scrivere questo libro durante il Covid, quando i profeti della dematerializzazione del commerciale nel digitale cantavano già vittoria. Peccato che alla ripartenza, le aziende che avevano continuato a investire nelle proprie reti umane siano andate molto meglio delle rivali solo digitali. La tecnologia e l’automazione sono strumenti, non sostituti. Il vero valore dei e delle commerciali risiede nelle loro qualità umane, e il loro ruolo evolve di conseguenza. Non si tratta più di trasmettere informazioni, ma di co-creare soluzioni con il cliente, di anticipare bisogni, di guidare l’innovazione. Ecco perché è cruciale diversificare la forza vendita. Uomini, donne, giovani, senior: ogni gruppo porta prospettive uniche, approcci diversi alla risoluzione dei problemi, reti di relazioni differenti. In un mondo sempre più complesso e interconnesso, questa diversità diventa un vantaggio competitivo fondamentale anche perché rispecchia la diversità della società e quindi del mercato a cui l’azienda si rivolge.

Come l’Ai può potenziare vendite e marketing?

L’AI si inserisce nel funnel di vendita per avvicinare ancora di più le reti vendita alle persone. Consente infatti una personalizzazione su larga scala senza precedenti, e permette di offrire ai clienti esattamente ciò di cui hanno bisogno nel momento in cui ne hanno bisogno. Vanno in questa direzione anche gli strumenti di lead scoring, che portano a coltivare al meglio la relazione con i prospect più promettenti. Per questo scopo gli strumenti più utili sono quelli che dialogano al meglio con i dati a disposizione, come i CRM potenziati dall’AI (Salesforce Einstein, Hubspot). In prospettiva, è di notevole interesse commerciale, come testimoniato di recente anche da Walter Riviera di Intel a We Make Future, la combinazione di RAG (Retrieval-Augmented Generation) e Small Language Models (SLMs) per rispondere contestualmente a richieste in un ambito definito. Ma, a oggi, il modo più semplice – e anche economico – di integrare strumenti di intelligenza artificiale nelle vendite è legato alla content creation, dai chatbot come ChatGPT-4 e Claude 3.5 fino agli strumenti per i video come HeyGen, Midjourney per la generazione di immagini o Gamma.app per le presentazioni con i clienti.

I costi?

È chiaro che, in generale, i costi legati all’AI non sono indifferenti: dalle licenze alle soluzioni di implementazione, senza dimenticare la formazione delle persone e la manutenzione dei dati. Quando però si individuano le condizioni corrette per la loro applicazione, gli strumenti di AI hanno dei ROI davvero notevoli, che ne fanno un must have per rimanere competitivi.

Come devono cambiare leadership e organizzazione perché la figura del commerciale funzioni?

Un tempo, la leadership commerciale si basava sul paradigma del comando e del controllo: ci sono degli obiettivi, c’è un piano, ti dico cosa fare e controllo che lo fai. Ora a venditori e venditrici chiediamo di più, e cambia di conseguenza anche la loro relazione con il management. Non funzionano più i modelli direttivi concentrati ossessivamente sulle performance. Occorre incoraggiare l’innovazione, creando un ambiente aperto alla vulnerabilità e caratterizzato da un dialogo costruttivo. Si deve investire nella formazione, alla quale si accompagna la richiesta di percorsi di crescita, che vanno costruiti insieme. E’ indispensabile collaborare con il marketing, il supporto clienti e chi si occupa di prodotto. Io, a differenza di gran parte dei miei colleghi, ho iniziato a lavorare nel marketing, ed è per me incomprensibile che ci si ostini a riprodurre questa contrapposizione. Dai e dalle leader ci aspettiamo dei risultati, ed è giusto che sia così. Liberiamoci però da un’idea.

Quale?

Quella di uomini prometeici pronti a cambiare da soli le sorti di un’azienda. Il futuro delle vendite è per chi è capace di guidare con gentilezza, puntando su collaborazione, innovazione e inclusione.

Nell’immediato, per affrontare il futuro occorre creare da zero una nuova rete commerciale, inserire in quella esistente  nuovi sales che operino solo in modalità ibrida o riorganizzare la rete commerciale esistente partendo dalla riqualificazione delle competenze?

Non credo molto nella contrapposizione tra nuovi sales e rete commerciale esistente. Innanzitutto, perché i primi sono drammaticamente pochi. La crisi dei talenti nelle reti di vendita fa sì che oggi solo il 10% dei loro membri abbia meno di 35 anni, ed è molto difficile sostituire un venditore o una venditrice che se ne va. In secondo luogo, mi sembra una contrapposizione che ostacola l’innovazione. Chi entra nella rete ha bisogno del know how e dell’esperienza dei colleghi e delle colleghe con maggiore seniority. Allo stesso tempo, il confronto con i nuovi sales ibridi promuove la riqualificazione delle competenze dei più grandi, a partire da quelle digitali. È il reverse mentoring, che oltre a facilitare il trasferimento delle competenze, crea delle dinamiche bidirezionali, di simmetria tra le due parti in gioco. È un modo per conoscersi alla pari, perché se venditori e venditrici restano ingabbiati dentro le scatole degli stereotipi (i giovani, i senior…), rischiamo di rendere esplosiva la necessaria convivenza fino a cinque generazioni nelle nostre reti commerciali.

Dalla sua esperienza, “commerciali” un pò si nasce? Quali sono le doti più importanti?

Esistono certamente predisposizioni utili, come la capacità di mettersi nei panni del cliente, la capacità di incassare dei no, o la curiosità che spinge all’aggiornamento continuo. Sono però tutte competenze che possono essere sviluppate e affinate con l’esperienza e la formazione adeguata. Per di più, il digitale ha cambiato il ruolo, rendendolo accessibile a una gamma più ampia di personalità e stili comunicativi. Non serve più essere estroversi o aggressivi come stereotipicamente si pensava. Oggi, un approccio analitico o una spiccata abilità nell’uso dei dati possono essere altrettanto preziosi. Devo anche far notare che, l’idea secondo cui commerciali si nasca, viene spesso perpetuata da venditori – uomini – vecchio stampo, forse per proteggere il proprio status quo. Ma permettetemi una provocazione.

Dica

Se consideriamo la socializzazione di genere, forse dovremmo dire che si nasce venditrici e non venditori. Tradizionalmente, la socializzazione maschile enfatizza la competitività e la ricerca della vittoria a tutti i costi. Al contrario, quella femminile tende a valorizzare l’empatia, l’ascolto attivo e la capacità di prendersi cura dei bisogni altrui.

I nostri modelli di organizzazione del commerciale sono più produttivi rispetto a quelli di altri Paesi nel resto d’Europa?

Lavoro e ho lavorato per aziende che si confrontano con l’estero in particolare con il mercato EMEA, ed il modello di go to market fatto di reti commerciali esterne all’azienda di dimensioni più o meno grandi è assai raro. Possiamo trovare qualche analogia in questo momento in Spagna, Polonia e Turchia. Diversamente, il modello più utilizzato è quello dell’inside sales, personale interno che si occupa della relazione di vendita con i Key Client supportato da centri di telemarketing, da sistemi molto strutturati e sofisticati di lead generation e di e-commerce a cui si affidano la vendita dei prodotti a basso valore aggiunto e la relazione con il cliente in fase iniziale. Occorre anche osservare il tessuto economico italiano fatto prevalentemente di tante piccole aziende, per la maggior parte a conduzione familiare – sia nel mondo produttivo che in quello dei servizi- Basti pensare che in due CAP della città di Roma ci sono più studi legali di tutta la Francia. Questa capillarità può essere gestita solo attraverso reti altrettanto capillari. Per le aziende che devono gestire reti di grandi dimensioni è preferibile – anche dal punto di vista economico – avere una struttura esterna che opera con un buon livello di autonomia. In Italia, inoltre, esistono molte organizzazioni/enti che offrono servizi di previdenza, assicurativi e di consulenza verso agenti/incaricati alle vendite, promotori finanziari, editoriali e scientifici, ad esempio. Ed infine il cliente: chi gestisce l’impresa di famiglia gradisce e apprezza acquistare e investire per la propria azienda attraverso un rapporto umano basato sulla fiducia e sulla conoscenza diretta.

Previsioni di qui a cinque sei anni sull’evoluzione del commerciale in Italia?

Nell’attuale scenario di forte trasformazione, molte aziende stanno scegliendo una strategia distributiva multicanale o omni-channel combinando vendite dirette tramite rete commerciale, retail (negozi) e e-commerce  -siti on line– per offrire a ogni diversa tipologia di cliente il prodotto più adatto attraverso il canale più adatto.

In questo panorama, un quesito comune a molte aziende riguarda l’evoluzione e l’organizzazione delle reti commerciali. Che ruolo affidare loro e come inquadrarle?

Si possono rappresentare tre diversi approcci che sono il risultato della diversa combinazione di alcuni strumenti/dimensioni commerciali core: la segmentazione della customer base, la presenza di un call center o centro di telemarketing per l’azione di promozione diretta o a supporto degli agenti di vendita, la tipologia di inquadramento e remunerazione della rete commerciale e sistema di incentivazione, tools di vendita e sistemi di monitoraggio, training ed academy, personale non commerciale a supporto della vendita (Tecnici e Sales Specialist, Expert di prodotto, Trainer, Responsabili ufficio acquisti/gare, Manager del credito). Le sintetizzo così: Rete Commerciale Esterna. Questo modello è efficace nei settori B2C di servizi e prodotti ad alto valore aggiunto rispetto al mercato trade, nel B2B ad aziende medio piccole non dotate di una organizzazione interna strutturata. Rete Commerciale Esterna Organizzata dal Centro. Questo modello si adatta bene nei settori B2B e B2C con target di mercato dalle dimensioni medio – grandi (tanti clienti a cui offrire servizi di consulenza personalizzati). Rete Commerciale interna. Tale modello risulta applicabile in particolare nei segmenti del B2B molto concentrati  – il cui mercato è costituito da pochi ma grandi clienti – o nei settori in cui l’acquisto e la fruizione del prodotto si appoggia by design su diversi canali. Tuttavia, la realtà mostra che oggi molte aziende operano all’interno di una zona intermedia, un mix dei due estremi con vari gradi di grigio. La sfida sta nel trovare il giusto bilanciamento che si allinei con la visione e gli obiettivi aziendali.

E sulla vision, quali potrebbero essere i nuovi trend?

Le aziende si stanno confrontando con un nuovo concetto di crescita che dovrà essere sempre più sostenibile ed inclusiva, ed indirizzata alla soluzione di problemi concreti delle persone. Dunque, crescita etica. Saranno sentimenti come l’empatia, la fiducia e capacità come la comunicazione, il pensiero laterale, la collaborazione a permettere una maggiore vicinanza ai bisogni concreti delle persone. Questi sentimenti, queste capacità si esprimono nella negoziazione che sta alla base del lavoro di vendita. Sviluppando e mantenendo con i propri clienti relazioni eccellenti, comunicando in modo positivo e gentile in una logica win win le reti commerciali assumono un nuovo ruolo, quello di peacekeeper della relazione con il cliente.

Cinzia Ficco

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